La vita, dal punto di vista di un lemure, dev’essere piena di stimoli interessanti. E non sto affatto parlando di quei katta dalla coda ad anelli dei cartoni animati, che cantano You gotta move it, move it […] con in testa un cappello fatto in foglie di banano. Bensì dei veri, piccoli animali che popolano le notti arboricole della quarta isola più grande del mondo, consumando senza remore gli insetti e la frutta che costituiscono la base della sua dieta. In un paradiso, frequentato da qualche diavolo, dove l’unico pericolo naturale è l’attività carnivora del fossa (Cryptoprocta ferox) una ragionevole approssimazione di quello che potrebbe essere un incrocio tra una faina e un gatto. La cui dieta si compone, per il 50% di codesti Strepsirrini, componenti del secondo e più localizzato sottordine dei primati. Eterno avversario in una lotta equilibrata, in cui scaltrezza, agilità ed attente percezioni bastano ad assicurare una rapida fuga o l’ottima cattura, garantendo un equilibrio e selezione naturale tra le specie di uno dei poli residui dell’originaria biodiversità terrestre. Immaginate, dunque, la sorpresa di ciascuna delle due parti sin qui citate, quando a partire dal 2008 la foresta locale ha iniziato a popolarsi di un nuovo elemento, il letterale terzo incomodo che avrebbe scardinato letteralmente ogni presupposto acquisito: una creatura saltellante, stridente, marrone e bitorzoluta, appartenente alla genia dei Bufonidae, quelli che comunemente vengono detti rospi.
Tutto è iniziato, a quanto si è riusciti a ricostruire, nell’area del porto di Toamasina situato nella parte nord-occidentale dell’isola, principale svincolo dei commerci verso la parte meridionale dell’Asia e perché no, l’Australia. Le specifiche modalità non sono chiare, mentre il dipanarsi effettivo degli eventi, purtroppo, lo è in maniera fin troppo evidente. Probabilmente si è trattato di un container, secondo alcuni diretto verso gli stabilimenti dell’azienda metallurgica Ambatovy, esportatrice di nickel e cobalto nonché una delle più importanti realtà del commercio malgascio. Nel quale, accidentalmente, doveva essersi introdotta un’intera famiglia di clandestini provenienti dal Pakistan, dall’India o dal Myanmar… Non persone, purtroppo, ma qualcosa di molto più inconsapevole ed al tempo stesso (proprio per questo) infinitamente più pericoloso. Il Duttaphrynus melanostictus, anche detto rospo asiatico comune, è una creatura piuttosto in linea con ciò che ci si aspetta il più delle volte da questa famiglia di animali. Abitatore di stagni o corsi d’acqua a flusso lento, spesso nascosto sotto pietre o piante a foglia larga, cacciatore delle zone più illuminate dove tendono naturalmente a concentrarsi gli insetti. Se volessimo tuttavia identificare un paio di tratti distintivi, bastanti a farlo emergere tra i suoi simili e distanti parenti, essi sarebbero la natura particolarmente efficace del muco protettivo che lo ricopre, e una tendenza alla rapida e inarrestabile proliferazione. Una combinazione particolarmente pericolosa, specie quando si considera che il suddetto veleno, in caso di fagocitazione anche parziale del gracidante ospite indesiderato, può anche causare un rapido arresto cardiaco, per le quantità ingenti di bufotenina, un composto a base di glicolidi che può causare anche la morte negli umani. Figuratevi, quindi, in creature che pesano soltanto una frazione di noi, abituate a considerare il mondo la propria ostrica, e ciascuna nuova perla che compare innanzi un dono personale della natura nei loro confronti. La segregazione isolana, generalmente, rende le specie che abitano un luogo particolarmente vulnerabili all’introduzione di predatori esterni, nei confronti dei quali risultano irrimediabilmente indifesi. Ma nel caso del Madagascar, luogo dove esiste un ragionevole equilibrio di carnivori e prede, il rischio profilato risulta essere del tipo completamente opposto: non c’è bersaglio più facile, in effetti, per la fagocitazione a scopo alimentare, di un anfibio intento a riposarsi in prossimità dell’acqua. Il problema, semmai, è riuscire a digerirlo senza pagarne le conseguenze….
Sono anni, ormai, che la situazione del Madagascar continua a peggiorare progressivamente, in maniera analoga a quanto successo a partire dagli anni ’30 in Australia, con il terribile e famoso rospo delle canne. Il problema delle infestazioni a vasto spettro è che all’inizio risultano difficili da individuare, mentre una volta fatta mente locale sul problema, esso diventa letteralmente irrisolvibile salvo investire quantità spropositate di risorse, tempo e denaro. Così che l’unico passo che ci resta, a quel punto, è generalmente fare un conteggio dei danni, annotando quante specie native hanno sofferto, e quante, addirittura, rischiano adesso l’estinzione a causa dell’incidente. Sarebbe questa, dopo tutto, una delle conseguenze più nefaste della globalizzazione, concettualmente simile alla venuta di una multinazionale all’interno di un sistema economico chiuso, capace di far sostituirsi al volume d’affari che in precedenza veniva gestito in maniera per lo più locale. Esistono in effetti alcune teorie, opera di scienziati particolarmente ottimisti, che vedono tale tendenza come un processo che oltre a distruggere, favorisce in qualche modo la biodiversità. Poiché crea una sorta di super-ecologia, senza limiti né confini, in cui specie più forti si propagano nei quattro angoli del globo, dando luogo a nuovi presupposti di evoluzione, per lo più benefici, tra le rispettive popolazioni indigene pre-esistenti. Il problema, in tale ipotesi, resta tuttavia il fattore del tempo: nel momento in cui l’uomo, attraverso l’interscambio e i commerci accelera in maniera spropositata la diffusione dei suddetti, chi può realmente dire se la natura è veramente in grado di reagire in maniera sufficientemente veloce… Ed inoltre, come ci si difende, senza interventi esterni, dal pericolo di un muco che ogni cosa pervade, riuscendo persino a contaminare i corsi d’acqua a seguito di un’eccessiva sovrappopolazione del rospo?
Caso vuole che in effetti, qualcosa ci sia. Nelle regioni asiatiche in cui è naturalmente diffuso il D. melanostictus, in effetti, i carnivori locali tendono a sviluppare una serie di mutazioni genetiche che gli permettono di metabolizzare, spesso senza alcuna conseguenza, le pericolose sostanze che ricoprono il gracchiante spuntino verde-marrone. Il che avviene, per quanto ci è dato di comprendere, attraverso numerose generazioni di mangiatori, sacrificati coraggiosamente sull’altare della LD50 (unità di misura degli effetti letali di una sostanza). Ora il Madagascar, almeno da un punto di vista teorico, potrebbe avere un piccolo vantaggio nella questione: sembra infatti che alcune piante dell’isola, in maniera totalmente incidentale, producano un veleno chimicamente affine ai glicolidi del rospo. Esse sono, tuttavia, per lo più erbivore, permettendo di individuare un solo predatore possibile della diabolica creatura: l’antsangy dalla coda bianca (Brachytarsomys albicauda) un roditore onnivoro non particolarmente prolifico né vorace. Il che lascia presagire un immediato futuro in cui l’unico ostacolo alla condanna autodistruttiva del rospo appare essere l’intervento umano, possibilmente tramite uno sforzo coordinato sull’intero territorio infestato. Che corrisponde ancora oggi, per fortuna, ad una singola striscia di 350 Km lontana dalle foreste dei lemuri e dei fossa, che potrebbe tuttavia espandersi in maniera esponenziale nel momento in cui il nemico dovesse raggiungere i canali d’irrigazione costruiti dai loro coabitanti, vere e proprie autostrade verso l’apoteosi dei rospi.
Svariati naturalisti e biologi hanno concordato nell’affermare che, se le autorità fossero state coscienti della propagazione del rospo delle canne in Australia ad uno stadio equivalente a quello della situazione corrente malgascia, non si sarebbe badato a spese nell’eradicarlo in maniera totale e completamente priva di rimorsi. È tutt’ora largamente incalcolabile il danno arrecato alle specie endemiche, sia tra i predatori che le potenziali prede dei rospi, nel corso dell’ultimo secolo di propagazione totalmente fuori controllo del piccolo Attila proveniente dall’Est. Per non parlare dei saltuari casi d’avvelenamento da parte degli umani, che entrano accidentalmente in contatto con gli anfibi o ancora peggio, pensano malauguratamente di trasformarli in un pranzo dalle implicazioni particolarmente nefaste. Tra le misure adottate fino ad ora, possiamo annoverare la fornitura agli abitanti della zona di Toamasina di bastoni metallici appuntiti, impiegati per uccidere a vista gli appartenenti alla specie introdotta. Oltre a imprese collettive dal maggior grado di organizzazione, durante le quali i rospi asiatici vengono radunati in dei secchi e anestetizzati con l’etanolo, prima di procedere a immediata decapitazione in serie. Tuttavia le risorse limitate, soprattutto in campo finanziario, degli abitanti della principale isola africana, hanno grandemente rallentato e limitato i passi che è possibile compiere nell’arginare questo incombente disastro. Si stima dunque che ad oggi, la popolazione locale del D. melanostictus sia ormai di svariati milioni, con proiezioni che tendono a aumentare ulteriormente.
Il mondo gira, dunque, ma nessuno può conoscere il domani. È possibile che la popolazione di creature isolane, come avvenuto in altri luoghi letterali centinaia di migliaia di anni fa, riesca a sviluppare il gene dell’immunità nei confronti della bufotenina, trasformando la propria debolezza in una forza in grado di sfidare il volgere delle ere. Come può anche essere che proprio l’uomo, causa involontaria del disastro, riesca a trovare un metodo per porvi rimedio in maniera sufficientemente tempestiva. Ciò che noi sappiamo, ad ogni modo, è che la biodiversità non serve certo a mantenere in vita le specie più amate da grandi e piccini: poiché un Madagascar completamente popolato dai rospi, non sarebbe solamente poco interessante. Ma nel giro di pochi anni, andrebbe incontro ad un totale collasso per la mancanza di risorse da sfruttare. Proprio noi consumatori bipedi, vittime e allo stesso tempo carnefici d’infinite multinazionali, conosciamo fin troppo bene l’evolversi di queste situazioni.