Mentre il corso delle ore scorre vorticosamente attorno al mozzo dei secondi, a cui è connesso dall’estendersi a raggiera dei minuti, lo spazio cosmico che abbraccia lo sferoide gira, e gira ancora tutto attorno alla coscienza collettiva della collettiva umanità. Ed è questo, fondamentalmente, ciò che avrebbe senso intendere quando si parla di Ruota del Tempo. Un principio secondo cui le epoche, rincorrendosi l’un l’altra, tendono a tornare sempre al punto di partenza. Ma è lo scenario stesso, per la naturale e comprovata deriva delle cosiddette stelle fisse, che continua la sua progressione orizzontale verso l’infinito. Piedi, zoccoli ed infine ruote: veicoli di un veicolo più grande. Quando gli abitanti della Terra, stanchi di arrancare faticosamente tra le circostanze, hanno deciso che determinate particelle di materia, se assemblate nella maniera corretta, potessero divenire veicoli, autocarri, carrelli di aeroplano. Ma come sempre avviene in natura, non ci si può spostare da A e B senza che almeno una parte di noi subisca un cambio di programma, scivolando gradualmente verso il punto di deriva C e D… D, come Dynashpere (soprannome per gli amici: Jumbo) l’invenzione brevettata nel 1930 dal Dr. J.A. Purves di Taunton, Somerset nel Regno Unito. Un ingegnere che quando guardava le automobili in marcia sulle strade di scorrimento, non poteva fare a meno di esibire un’espressione infastidita, mentre ponderava nella mente matematica questo spreco inutile dell’energia del movimento. Già, QUATTRO ruote… Come gli erbivori con gli occhi perennemente rivolti a terra, mentre cercano con gli occhi e con l’olfatto una precipua fonte di cibo. Che sazia senza concedere soddisfazioni. Quando non è forse l’uomo, nobile tra gli animali, ad aver ricevuto la mansione d’elevarsi sopra i limiti delle scienze fisiche nell’empireo di una condizione superiore, addirittura illuminata?
Sembra quasi di sentirlo illustrare le teorie: “Signori, signore, benvenuti. Oggi su questa bella spiaggia di Weston-super-Mare, MIO FIGLIO salirà a bordo del veicolo destinato a rimpiazzare le automobili nel giro di una generazione o due. Lui si siederà, premendo l’acceleratore ed inclinandosi da un lato all’altro, per voltarsi in corso d’opera. In poco tempo, arriverà fino agli scogli, per tornare subito da voi. Ed allora avrete appreso, finalmente, il significato della dei termini: Efficienza e Velocità!” Dissolvenza, rombo di un piccolo motore, il pilota che si siede al posto di guida situato presso l’arco inferiore della ruota dal diametro di circa tre metri, composta da una struttura a reticolato lievemente toroidale, affinché la parte a contatto con il suolo sia inferiore alla complessiva larghezza del battistrada. Con un ghigno, il rampollo dai capelli separati al centro preme avanti una grande leva, mettendo in moto il meccanismo che indurrà il suo seggio a risalire, in maniera rapida e continua, questo grosso anello senza un senso apparente. Finché la forza gravitazionale del pianeta, facendo finalmente il suo lavoro, contrasterà una simile tendenza tramite l’induzione naturale di un rotolamento, sufficiente a spingere in avanti l’assurdo apparato. Ecco, dunque, ciò di cui stiamo parlando: un monociclo a motore, il primo in effetti della storia, con la singolare capacità di mantenere al centro il suo passeggero e/o conducente. Vi sono alcuni significativi vantaggi, ed almeno uno svantaggio, in tale soluzione eclettica al problema degli spostamenti: in primo luogo, e questo era il cruccio fondamentale del Dr. Purves, la potenza necessaria a far spostare un oggetto tanto grande, tramite questo approccio, rimaneva di molto inferiore a quella di un mezzo di trasporto convenzionale: appena 2,5 cavalli macchina (o 6, a seconda delle fonti) generati da un motore Douglas raffreddato ad aria con tre marce, sufficienti a raggiungere la velocità considerevole di 40-48 Km/h. E persino meno di questo per la seconda ruota più piccola, le cui prestazioni non ci sono note, il cui fornitore di potenza risultava essere un motore elettrico a corrente continua. Il veicolo risulta essere, inoltre, inerentemente adatto al fuoristrada, considerata la vastità del suo diametro e la solidità della struttura di metallo. A patto che colui o coloro che si trovano a bordo siano pronti ad accettare, senza troppe remore, il problema imprevisto della cosiddetta gerbillizzazione; la tendenza, sgradita eppure inevitabile a quei tempi, della postazione motorizzata a risalire di un certo tratto la parte convessa della ruota, ogni qualvolta si frena o si accelera bruscamente. Proprio come un gerbillo (o altro piccolo roditore domestico) che tenti goffamente di scendere dalla sua ruota. Rimaneva inoltre, d’altra parte, il piccolo problema di riuscire a CURVARE…
Ovviamente, la questione guidabilità non era poi così difficile da risolvere in senso pratico e diretto: bastava che il conducente, analogamente a chiunque pretendesse di dirigere un motociclo facesse il possibile per spostare il proprio peso da una parte e dell’altra (in fondo due ruote oppure una, che differenza volete che ci sia?) Esistono in effetti alcune fotografie, in cui il figlio di Purves si sporgeva pericolosamente fuori dal bizzarro veicolo, come un marinaio alle prese con un vento di bonaccia tra le onde dell’oceano in tempesta. Ciò detto, difficilmente una simile soluzione sarebbe risultata pratica nel futuro previsto dall’inventore, che aveva descritto alla stampa schiere di Dynasphere dal peso di svariate tonnellate in marcia sulle autostrade, con al centro vere e proprie cabine concepite per proteggersi dagli elementi. Fin da subito, dunque, egli descrisse al suo pubblico di radio e cinegiornali l’intenzione di approntare un sistema di sterzata assistita, tramite la rotazione di un semplice e più che mai familiare volante. Soluzione approntata in tempo per il secondo film, girato durante una sessione di test presso il circuito automobilistico di Brooklands, nel Surrey inglese. All’apertura del quale, nella posizione di comando siede questa volta una donna dagli eleganti cappotto e cappello (forse la moglie dell’inventore?) illustra la facilità con cui, stavolta, sarà possibile navigare a bordo della Jumbo-ruota ampiamente riveduta e corretta.
Essendo purtroppo andati perduti i prototipi, forse durante la requisizione di materiali metallici per lo sforzo bellico del secondo conflitto mondiale, e poiché il brevetto si riferisce unicamente alla prima versione del mezzo, nessuno sa realmente come funzionasse tale sistema di controllo, benché soluzioni avanzate come l’integrazione di un volano sembrino ragionevolmente poco probabili. Lasciando il posto, probabilmente, ad una serie di ingranaggi in grado di riequilibrare il peso, in una maniera forse non eccessivamente sofisticata eppure innegabilmente funzionale. Si parlò del resto, negli articoli coévi, di un particolare interesse da parte di Purves per i disegni e l’opera rinascimentale di Leonardo da Vinci, da cui affermava di aver tratto ispirazione per costruire il suo moderno capolavoro. Impossibile non pensare, in tale ottica, al carro semovente che l’insigne predecessore italiano aveva concepito come approccio allo spostamento delle scenografie teatrali, spinto innanzi da due ingranaggi a molla e fatto curvare grazie all’impiego di altrettanti tiranti. Un’ingegnosa realizzazione che purtroppo, almeno allo stato dei fatti attuali, non sembra destinata a trovare collocazione nella civiltà contemporanea dei consumi. Forse perché considerata troppo insicura, o macchinosa, rispetto all’impiego di una semplice coppia di ruote sterzanti. Ma è proprio l’efficienza, a quel punto, che non può fare a meno di svanire nell’orizzonte posteriore degli eventi. Assieme ad un senso lato di quello che poteva essere ma purtroppo, non è mai stato.
Ancora oggi l’ammirazione della cultura di massa per le ruote veicolari appare più che mai evidente. Mezzi prediletti di numerosi supereroi e guerrieri stradali, membri di istrioniche ensemble post-apocalittiche o personaggi dei videogiochi più amati delle ultime generazioni. Ruote a motore apparivano nel terzo film dei Man in Black, usate dai protagonisti per un rocambolesco inseguimento tra le strade cittadine. Non troppo dissimili, concettualmente, da quella impiegata famosamente per fuggire dal robo-generale Grievous nel sesto film di Guerre Stellari, La Vendetta dei Sith. Simili veicoli appaiono inoltre nel gioco strategico Emperor of Dune, in Mega-Man 4, Kirby e di conseguenza, Super Smash Bros, come velate suggestioni al fatto che “non siamo più nel Kansas” ma in una landa dai misteriosi abitanti, e le ancor più misteriose soluzioni dinamiche ai problemi di tutti i giorni.
Spostarsi, viaggiare, muoversi da un punto all’altro… Ci sono molti modi di farlo, incluso restare semplicemente immobili, mentre il mondo ti gira attorno. Ed è proprio per questo che i migliori scienziati ed ingegneri si costruiscono attorno una gabbia, che possa ruotare nel senso diametralmente opposto. Nei casi più fortunati, quindi, la moltitudine capisce, facendo il possibile per andargli dietro. Altre volte restiamo qui, guardando l’insolito e adeguando i segnali stradali. Dopo tutto, se aveva ragione, prima o poi la Ruota finirà il suo giro. E sarà proprio lui, sotto l’occhio scrutatore del pubblico ludibrio, a fare ritorno al punto di partenza.