Italiani: popolo di artisti, tartarughe ninja e navigatori. Qual’è il potere di un nome? Nell’opinione di Kevin Eastman e Peter Laird, ideatori del più famoso team di anfibi supereroi sovradimensionati dal mutagene e addestrati da un rattone delle fogne di New York, abbastanza. Da voler creare quell’associazione, artista marziale/artista rinascimentale, andando a ripescar gli appellativi di alcuni dei più famosi nostri compatrioti, grandi pittori, scultori ed almeno in un singolo caso, scienziati ante-litteram dello Stivale. Un’operazione che in effetti, aveva qualche insigne precedente. Al punto che quando la compagnia dei trasporti Pullman di Chicago (già, proprio loro) aveva costruito nel 1929 sei carrozze passeggeri ferroviarie particolarmente lussuose, volle fare il possibile affinché la comunicazione pubblicitaria sui giornali rimanesse impressa al grande pubblico statunitense. Il che incluse, guarda caso, battezzarle con il nome di famosi esploratori: David Livingstone, Robert Peary, Roald Amundsen, Henry Stanley, Marco Polo e… Ferdinando Magellano. Ovviamente, all’epoca determinati cartoni animati e fumetti ancora non esistevano. Altrimenti in molti avrebbero capito che fra tutte, proprio l’ultima vettura avrebbe avuto un epico destino. Dopo tutto, ci fu soltanto una prima circumnavigazione del globo, e soltanto un grande uomo in grado di compierla al servizio del re di Spagna Carlo V…
Già, il re. La figura politica dotata del potere universale, capace di decidere la rotta e il senso di un’intera nazione. Proprio come, in epoca di guerra, il presidente americano. Facciamo un balzo in avanti fino al 1942: Franklin Delano Roosevelt, secondo del suo nome, è il fiero condottiero che, con pugno di ferro e ancor più solida sedia a rotelle, dirige l’ardua politica estera degli Stati Uniti mentre Europa, Asia ed Africa bruciano sotto una pioggia di bombe. In un’epoca in cui nessuna telecomunicazione, non importa quanto fosse complesso il codice, non poteva essere realmente sicura, mentre già vengono stilati gli accordi segreti che avrebbero portato, entro un paio d’anni, al solido legame dei cosiddetti Alleati (contro il nazismo, il fascismo e gli altri totalitarismi di allora) spostarsi fisicamente da un luogo all’altro era pressoché un dovere. Ma imbarcarsi su un aereo, all’epoca, era ancora impensabile per un presidente: chi avrebbe mai potuto proteggerlo, lassù, nel caso in cui qualcosa fosse andato storto? Così l’uomo, o per meglio dire qualcuno facente parte del suo staff, pensò bene di elaborare un metodo affinché uno spostamento su rotaie fosse non soltanto possibile, ma pratico, sicuro e conveniente. Il che incluse fin da subito, come avrete già desunto dal mio titolo, l’acquisto dalla prestigiosa Pullman dell’ormai desueta Ferdinand Magellan, una carrozza giudicata sufficiente allo scopo.
I vantaggi erano palesi: impiegare un mezzo prodotto in serie, per quanto raro, permetteva ipoteticamente di nasconderlo in un deposito ferroviario. Inoltre, corrispondendo ad uno standard veicolare di pregio, sarebbe stato facile ottenere la precedenza ovunque andava. Perfetto, come si dice, con qualche piccolo cambiamento: la carrozza venne condotta fino Washington, dove ebbero inizio i lavori di rinnovamento. In primo luogo, si rivestì di una solida corazza la sua parte esterna, con piastre di uno spessore massimo di 15 mm. Quindi, ogni vetro venne sostituito con pannelli laminati a 12 strati, ragionevolmente impervi a qualsiasi proiettile conosciuto. A quel punto tale scatola, diventata del tutto inapribile, venne fornita di un rudimentale sistema di aria condizionata, basato su tubi raffreddati con il ghiaccio e una serie di ventilatori in grado di far ricircolare l’aria. Ma i cambiamenti non finivano certo qui. Si rimossero due dei cinque scompartimenti originari, ampliando rispettivamente quello doppio, dedicato a presidente e first lady con tanto di bagno comunicante e la sala da pranzo, trasformata per l’occasione in sala conferenze, con tanto di massiccio tavolo di mogano e sedie pendant. Comparvero due botole di fuga, nel caso in cui i passeggeri dovessero essere evacuati. Venne inoltre ampliato il ponte posteriore panoramico, originariamente usato dai facoltosi passeggeri per prendere un po’ d’aria durante il viaggio, trasformandolo in un vero e proprio palco, con tanto di altoparlanti integrati, che il capo di stato avrebbe potuto usare per rivolgersi alla nazione, nel caso in cui se ne fosse presentata la necessità. Il risultato fu un vero e proprio mostro, dal peso di 129 tonnellate contro le 72 delle altre cinque carrozze pullman (considerate che un moderno carro armato M1A2 Abrams, a pieno carico, ne pesa 62). Quindi, il viaggio ebbe inizio…
Il presidente Franklin D. Roosevelt, benché fosse rimasto semi-paralizzato negli arti inferiori a causa della poliomelite contratta in giovane età, non amava mostrarsi debole, facendo il possibile per rimanere in piedi ogni qualvolta dei fotografi erano presenti. Perciò era molto importante, per lui, poter viaggiare rapidamente e in segreto. Il Ferdinand Magellan fu quindi fornito di un discreto ascensore per persone affette da invalidità, in grado di scomparire dopo l’utilizzo, e in abbinamento al treno fu fornita una speciale sedia a rotelle larga il giusto per spostarsi da una stanza all’altra della carrozza. A quanto si riporta, egli era assolutamente entusiasta del treno e ne fece un uso assiduo nel corso del suo mandato: oltre 50.000 miglia, a partire dal viaggio storico che l’avrebbe portato a bordo dell’idrovolante (prima volta che un presidente lasciava il suolo americano) diretto alla conferenza di Casablanca, per decidere che cosa fare del baffuto dittatore europeo. A bordo del Magellan visitò piazze dei discorsi, fabbriche, campi di addestramento e uffici del servizio segreto, ogni volta facendo valere la sua insigne presenza e potendo così basare le proprie decisioni sulla base di informazioni di prima mano. Quando poi nel 1945, proprio sul finire del grande sforzo bellico che aveva dominato il culmine della sua carriera politica, morì mentre era in carica per un’emorragia cerebrale presso la sua casa per le vacanze a Warm Springs, fu questo stesso treno a riportare la sua salma presso il Campidoglio di stato, riecheggiando il famoso viaggio compiuto dalla salma del defunto Abraham Lincoln nel 1865.
A che gli succedette, come da mandato costituzionale, il suo vicepresidente in carica da appena 65 giorni Harry Truman, ereditando direttamente uno dei più grandi dilemmi della storia americana: usare, oppure non usare, la bomba atomica sulle ultime roccaforti del popolo giapponese? Ma tralasciando il triste esito di una simile barbarie di guerra (ce n’erano state molte altre, più o meno note…) possiamo dire che il suo impiego del formidabile treno sarebbe stato primariamente di tipo elettorale: quando nel 1948, dato per sicuro perdente alle rielezioni, iniziò un viaggio lungo 28.000 miglia in giro per la nazione, avendo compreso, lui per primo, come il nascente mezzo televisivo non fosse ancora abbastanza per fare breccia nei cuori e nelle menti delle persone. Famosi sarebbero rimasti i suoi accorati discorsi, di un candidato che tutti davano per perdente. Così come la foto, emblematica, di lui sorridente che tiene in mano il Chicago Daily Tribune nel giorno successivo alle elezioni, giornale la cui prima pagina annuncia a lettere cubitali “Dewey batte Truman!”. Ma il candidato repubblicano, come c’insegna la storia, aveva perso. E il quotidiano, causa stampa anticipata per uno sciopero, aveva sbagliato in pieno.
Poco propenso agli spostamenti, nonostante le diverse crisi affrontate nel corso dei suoi mandati, Truman non avrebbe più usato granché la carrozza dopo la sua famosa campagna elettorale. Pare che a differenza di Roosevelt, egli fosse piuttosto impaziente e insistesse spesso affinché il macchinista la facesse spostare ad un minimo di 80 miglia orarie (il che, visto il uso peso, non era pratico né economicamente funzionale). Il suo successore nel 1953, quindi, Dwight D. Eisenhower, fece un sempre maggior uso del primo Air Force One propriamente detto, un Douglas DC-6 modificato con la famosa testa d’aquila disegnata sotto la cabina di pilotaggio, relegando lo storico treno soltanto agli spostamenti da e verso la sua fattoria di Gettysburg, in Pennsylvania.
Il povero vecchio Ferdinand, designato come un surplus governativo, venne quindi messo da parte ufficialmente nel 1958, venendo offerto allo Smithsonian affinché venisse esposto per il pubblico interesse. Ma la prestigiosa istituzione, in assenza di uno spazio adeguato, rifiutò e il vagone venne quindi spostato presso il Gold Coast Railroad Museum di Miami, vicino al famoso zoo della città. Primo veicolo ad essere designato un “luogo storico nazionale” avrebbe quindi vissuto una breve seconda giovinezza nel 1984, quando il presidente Ronald Reagan lo usò per una singola fermata della sua campagna di rielezione in Ohio, nel corso di quello che gli americani definiscono il whistletop tour (giro di discorsi “al fischio del treno”) ma l’evento non rappresentò altro che un’esperienza volutamente vetusta, mirata ad affascinare i potenziali elettori. Che come sappiamo assai bene, funzionò a pieno.
Che avrebbero detto di tutto questo Leonardo, Michelangelo, Donatello e Raffaello? Che cosa avrebbero pensato del nome di un loro quasi-compatriota e quasi-contemporaneo, primo scopritore della rotta di tutte le rotte, l’unica in grado di ritornare al punto esatto da cui era partita? Forse avrebbero impugnato le loro armi da ninja, scambiando un simile leviatano corazzato per il Tecnodromo, quartier generale del malefico Clan del Piede. Oppure, in un raro attimo d’introspezione, si sarebbero chiesti che cosa mai dovrebbe importare, di tutto questo, ad un gruppo di tartarughe mutanti. Che dopo tutto la loro corazza ce l’hanno già, perfettamente incorporata. E non hanno bisogno di locomotive, ma pizze, pizze in quantità industriale.