L’arido mistero dei nani dell’Anatolia

Il piccolo popolo, la congrega sepolta, la gente del sottosuolo, i fabbri degli Dei. Per tutte le diversità che sussistono tra le culture dei diversi angoli del pianeta, c’è almeno una distinzione che tende ad essere evidenziata, da Oriente a Occidente, dal Meridione al Settentrione: che possono esserci due motivi, per essere molto più bassi del normale. Il primo è una condizione clinica, indubbiamente assai problematica ma spesso superabile, sopratutto nella società contemporanea. Il secondo, un diritto di nascita, nonché una fortuna ancestrale. Perché i Nani, quelli che in lingua inglese si distinguono per la maniera in cui si scrive il plurale (dwarves invece che dwarfs) sono un concetto che alberga alla base di una quantità innumerevole di miti, leggende e congetture. Ritrovandosi associati alle correnti di pensiero più diverse. Secondo i cultori dell’ipotesi extraterrestre, essi sarebbero i discendenti dei primi alieni giunti sulla terra. Per chi l’evoluzione è un fatto speculativo, potrebbero trovarsi collegati all’estinta specie neandertaliana, dei nostri fratelli decisamente meno loquaci eppure secondo alcuni antropologi, marcatamente più intelligenti di noi. In molti, cercando i segreti agli albori della nostra stessa esistenza, si sono avventurati in giungle, caverne o hanno risalito irti sentieri montani, seguendo voci di popolo e dicerie che avrebbero dovuti condurli, ipoteticamente, fino alle genti di Norðri, Suðri, Austri e Vestri, per non parlare dei loro discendenti fiabeschi descritti nell’opera dei fratelli Grimm. C’è almeno un luogo, tuttavia, dove nessuno aveva pensato di recarsi con questa missione, almeno fino all’epoca dell’immediato dopoguerra: uno dei più remoti deserti dell’Asia Minore.
Ovviamente, la gente della regione conosceva il villaggio di Makhunik, col quale le genti nomadi erano solite, occasionalmente, intrattenere della limitata attività commerciale. Ma si tratta di un’esperienza che possiamo rivivere a pieno soltanto attraverso gli occhi del fantomatico primo esploratore occidentale. Intento a procedere col suo veicolo, rigorosamente a motore, lungo il desolato territorio di Dasht-e Lut (la “Pianura Vuota”) uno dei luoghi più spogli e caldi del pianeta, dove in epoca moderna sono state registrate temperature in grado di raggiungere, per più di un’ora, la cifra impressionante di 70 gradi. Non qui tuttavia, e non ora. Più ci si spinge verso l’Afghanistan, verso est, maggiormente i venti umidi che soffiano dal golfo di Oman creano quel particolare microclima, che fin dall’epoca antica fu indissolubilmente legato al cosiddetto grano di Khorasan (Triticum turanicum) da cui viene tratta la farina kamut. Tutt’altro che stupefacente dovrebbe apparire, dunque, il dato secondo cui qui non soltanto ebbe modo d’espandersi un popolo, ma sorsero e furono superate diverse importanti civiltà: dall’impero dei Parti, spina nel fianco dell’espansione romana, fino alla dinastia Sassanide, ultimo regno dell’Arabia classica finito nel 651, esattamente 31 dopo la fondazione dell’Islam. “A quale di loro…” Potrebbe quindi chiedersi il nostro visitatore ipotetico: “Sarebbe mai potuto appartenere QUESTO?” La scena dev’essersi presentata, allora come appare ancora oggi, in maniera piuttosto imprevista e surreale: svariate dozzine di piccole case quasi invisibili, paragonate da alcuni commentatori a funghi mimetizzati nella sabbia del deserto. Dai tetti piatti e le pareti in mattoni di fango, ciascuna caratterizzata da due singolari aspetti: in primo luogo, una porta piccolissima, al punto che molte persone di dimensioni normali avrebbero avuto notevoli difficoltà ad entrarvi. Il che conduceva all’altezza complessiva degli edifici in questione, raramente maggiore di un metro e cinquanta. Ora, è ragionevole pensare che negli anni successivi al 1945, gli abitanti di questo luogo avessero già significative difficoltà ad utilizzare al meglio questi ambienti. Benché si riporta che una parte significativa di costoro, ancora in quell’epoca, fossero in media più bassi di 20-30 cm rispetto ai loro connazionali. Ma si narra come già dall’inizio del secolo scorso, le genti di Makhunik avessero un’altezza inferiore di un metro e più, rappresentando in effetti, il singolo popolo più basso della storia acclarata.
Di ipotesi per giustificare un tale inspiegabile fatto, a quanto ci viene dato di sapere, ne sono state fatte parecchie. Ma forse la più affascinante, per quanto improbabile, resta quella che lo lega ad un particolare ritrovamento archeologico effettuato non troppo lontano da qui nel 2005. Per trovare informazioni sul quale, tutto quello che serve fare oggi è visitare uno dei molti siti sul tema dell’ufologia, le scie chimiche e gli altri complotti per nascondere sconvolgenti verità del Cosmo…

Strano destino, quello di attraversare i secoli soltanto per essere studiati ed analizzati da un’intera generazione di archeologi, appartenenti ad un mondo privo di punti di riferimento residui. Immagino che non pochi, vorrebbero poter comunicare alle mummie il nostro rispetto e rammarico nel disturbare il sonno infinito dell’Oltretomba.

Come avviene in tutte le migliori storie d’avventura, la storia inizia con un furto. Quello portato a termine, attraverso un periodo di svariati mesi, da una truppa non autorizzata di scavatori, presso l’importante fortezza storica di Gudiz nella provincia di Kerman, appartenuta agli albori della già citata dinastia Sassanide. Un luogo già indissolubilmente associato secondo le fantasie popolari alla terra di Lilliput citata ne “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift  (1726) per l’esistenza in loco di alcune rovine stranamente poco elevate, in questo non dissimili dalle case ancora in uso nel villaggio di Makhunik. Verso la fine del 2005, quindi, tra i reperti trafugati da questo gruppo, inclusivi di recipienti di terracotta, antichi emblemi ed oggetti rituali di vario tipo, fu sequestrato in Germania qualcosa di totalmente surreale: una minuscola mummia alta esattamente 25 cm, risalente secondo le prime ipotesi ad oltre 5.000 anni fa. I cui proprietari abusivi, in quel momento, stavano cercando di vendere a un collezionista privato in Germania per la modica cifra di 3 milioni di dollari americani. Ora, un ritrovamento simile tende sempre ad avere un’alta rilevanza mediatica, in forza delle sue origini e della natura imprescindibilmente misteriosa. In questo caso, tuttavia, c’erano diversi spunti d’analisi ulteriori: in primo luogo, perché nessuno dei popoli che si sono succeduti nell’Anatolia ha mai avuto l’usanza di mummificare i defunti. E poi, era possibile effettuare un ardito collegamento: possibile (ed per alcuni tutto è sempre possibile, s’intende) che il piccolo defunto fosse un rappresentante del popolo che in un’epoca molto lontana, corrispondente probabilmente al neolitico terrestre, aveva abitato l’intera zona del Khorasan? E che le genti particolarmente basse di cui parlano le cronache locali non fossero altro, in ultima analisi, che i loro lontanissimi discendenti?
La storia ebbe presto un’ampia diffusione sulle testate internazionali, mentre ampio spazio veniva dato alle ipotesi, piuttosto azzardate, secondo cui l’individuo fosse stato al momento della morte un minuscolo ragazzo di 15-16 anni. La reazione di sdegno della comunità accademica fu immediata e il più possibile pervasiva: Farzad Forouzanfar, antropologo dell’Ente per la Cultura e il Turismo Iraniano, dichiarò ai giornali che i resti mummificati, in realtà non più antichi di 400 anni, appartenevano molto probabilmente a un bambino nato prematuro. Aggiungendo, inoltre, che la mummificazione può essere anche un processo naturale, non del tutto inaudito a queste latitudini e con un clima secco come quello del territorio di Dasht-e Lut. Fa un po’ sorridere inoltre l’affermazione dell’archeologo Mirabedin Kaboli, il quale affermò: “Le rovine si erodono col passare degli anni. Ci sono alcuni tratti dell’antica fortezza di Gudiz in cui le mura rimaste sono alte 5 cm. Dovremmo forse pensare che gli abitanti di questo luogo fossero alti 5 cm?” Fu da quel momento in poi, grosso modo, che la teoria dei nani nell’antica Persia perse molti dei suoi sostenitori, benché rimanesse ancora almeno un dubbio da dirimere. Quello relativo all’acclarata e quasi certa bassa statura, nonché le piccole case, risalenti a poco più di un secolo nel piccolo villaggio di Makhunik.

I popoli del Khorasan settentrionale presentano una statura assolutamente normale, probabilmente ed usanze non dissimili da quelle di altre genti nomadi dell’Asia Minore. Di certo, essi avevano accesso ad un’alimentazione e condizioni di vita più favorevoli.

Il che ci porta alla più probabile, per non dire un po’ deludente, delle ipotesi riportate a margine dell’insolita questione. La scienza moderna ha riconosciuto al giorno d’oggi l’esistenza di popolazioni in determinate zone geografiche dalla statura inferiore, spesso trovando giustificazione nelle tre possibili cause della genetica, l’alimentazione e lo stile di vita. Le quali convergono, sotto molti punti di vista, nella probabile storia recente delle comunità più isolate del Khorasan. Immaginate voi la vita di queste poche decine di famiglie, completamente isolate dal resto della loro civiltà coeva, per l’assenza di strade, veicoli e moderni strumenti di comunicazione. Limitando proprio per questo la loro dieta alla sola coltivazione agricola, senza molte delle proteine necessarie per raggiungere una statura comparabile a quella del resto del consorzio umano. Per non parlare della continuativa assenza di visitatori stranieri o nuovi abitanti, generalmente conduttiva alla potenziale procreazione tra consanguinei. Aggiungete dunque ad un codice genetico ridondante, probabilmente conduttivo ad occasionali casi di nanismo, il problema non da poco dell’acqua, proveniente da falde che oggi sappiamo essere contaminate da tracce non propriamente trascurabili di mercurio. Dipingendo un quadro complessivo che  tutto considerato, difficilmente potrebbe essere completamente slegato dal mistero delle piccole case e di coloro che le hanno costruite.
Il che non dovrebbe, a mio parere, privare di tutto il suo fascino una tale comunità, edificata ai margini del deserto primordiale. Fatta di gente capace, in un modo o nell’altro, di attraversare incolume i secoli senza fine, coltivando figurativamente e letteralmente lo stile dei vita dei propri antenati. Tanto che forse, come spesso avviene, dovremmo riconoscere almeno una scintilla di verità nella leggendaria laboriosità dei nani mitologici (o dei loro discendenti). Da alcuni reportage reperibili online, sembrerebbe che anche la loro testardaggine abbia una base nei fatti, visto come le genti di Makhunik rifiutino categoricamente ogni forma di televisione o telefono cellulare, considerati strumenti del demonio. Ma non la venuta dei turisti, fonte affidabile di guadagno nell’epoca dei ritrovati commerci con gli stranieri. Anche questo è un segno imprescindibile della modernità. In un certo senso, anche Tolkien ne aveva parlato.

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