Tra le alte colline circostanti la cittadina di Ukiah, capoluogo della contea di Mendocina, in California, è situato un vigneto. In realtà, come è noto, ce ne sono molti: siamo dopo tutto, in prossimità del principale centro vinicolo degli Stati Uniti. Questo particolare terreno tuttavia, di proprietà dell’ingegnere novantenne Max Schlienger, sta cercando da svariati anni di vendere un qualcosa di potenzialmente assai più importante dei semplici frutti della terra. Una realtà che appare evidente, quando si osserva il groviglio di tubi con svolte a gomito che sorge dal terreno lievemente smosso, per andare a convergere in quella che sembrerebbe essere a tutti gli effetti una condotta ad anello, in PVC e rialzata a circa due metri dal suolo, chiusa in una struttura metallica dalla funzione incerta. Almeno finché, dal punto di vista privilegiato al centro del sito, non si ode un sibilo potente, come lo sbuffo di un antico animale. Che lascia presagire, neanche a dirlo, l’avvicinarsi di qualcosa d’incredibile: sotto ogni punto di vista rilevante, fatta eccezione per alcune mancanze, si tratta indubbiamente di un treno in scala 1/6. Il modellino di un treno futuro, che dovrà funzionare esclusivamente grazie alla forza dell’aria compressa.
Ora per ovvie ragioni, in questo particolare momento storico, sarebbe difficile non tentare di associare istintivamente un simile concetto all’Hyperloop One, il discusso “tubo sotterraneo” dell’imprenditore di origini sudafricane Elon Musk, che entro il prossimo anno dovrebbe iniziare ad offrire viaggi di prova a coraggiosi passeggeri in viaggio tra Los Angeles e San Francisco e ritorno, ad una velocità superiore a quella di un comune aereo di linea. Ma la realtà è che una simile idea ha origini molto più lontane, la cui evoluzione può essere percorsa a ritroso fino alla metà del XVII secolo, quando lo scienziato, politico e giurista tedesco Otto Von Guericke ebbe l’idea, per la prima volta nella storia fino a quel momento, di avvicinare due speciali ciotole metalliche formando una sfera cava, dalla quale poi rimuovere tutta l’aria all’interno tramite una valvola di sua concezione. In questa maniera era stato creato, in maniera del tutto artificiale, il vuoto. E non importa quanto i presenti tentassero di separare i due oggetti con muscoli, leve o paletti, il differenziale atmosferico rispetto all’atmosfera terrestre non permetteva di battere questo sigillo perfetto, a meno di aprire la presa d’aria o spaccare le ciotole letteralmente a metà. Il nome formale dell’esperimento fu Sfera di Magdeburg, e per molti anni nessuno pensò di trovargli un’applicazione nel mondo dei trasporti. Finché agli inizi del XIX secolo, l’inventore scozzese di epoca vittoriana William Murdoch non ebbe l’intuizione di costruire dei lunghi tubi, con un sigillo mobile all’interno. Il quale doveva essere, per l’idonea funzione del macchinario, a sua volta cavo. Così che rimuovendo l’aria da una delle due estremità, la stessa forza che teneva uniti i succitati emisferi tendesse a risucchiarlo fino a destinazione. All’interno di un tale barattolo, quindi, poteva esserci di tutto: documenti, denaro e soprattutto posta, destinata ad una consegna più rapida di quella offerta da un qualsiasi piccione viaggiatore.
Ma lo stesso principio alla base del progetto odierno di Max Schlienger, fin quasi ai più minuti dettagli, possiamo trovarlo nel 1843, quando il celebre imprenditore nel campo dell’ingegneria inglese Isambard Kingdom Brunel visita la ferrovia dimostrativa Dalkey a Dublino. Essa sfruttava il funzionamento di un treno privo di caldaia, dotato però di una struttura metallica in mezzo alle ruote, concepita per occupare un tubo sottostante del tutto simile a quello della posta pneumatica. Tramite la rimozione dell’aria all’interno di quest’ultimo, il veicolo prendeva spontaneamente a muoversi, in forza dello stesso principio dimostrato due secoli prima in Germania. Quest’uomo che fu una grande figura storica nazionale, colpito profondamente dall’ingegnosità dell’idea, acquistò il brevetto e fece costruire un tratto funzionante tra Exeter e Plymouth, della lunghezza di 32 Km. Ma non ci volle molto, perché dovesse scontrarsi con difficoltà fin troppo reali: il sigillo a tenuta stagna presente nella parte superiore del tubo, attraverso cui veniva fatto passare l’aggancio del sigillo al treno, era fatto di cuoio, protetto dall’umidità e la marcescenza grazie ad abbondanti quantità di sego. Un grasso di origine animale che tendeva, inevitabilmente, ad attirare grandi quantità di topi. Questo sogno per un primo veicolo silenzioso, rapido e privo delle cupe emissioni della tipica caldaia, finì quindi in quegli anni, per l’istintiva voracità di uno dei più piccoli, e furbi tra tutti i mammiferi viventi.
Nel 1864, tuttavia, ci fu un nuovo tentativo: nel parco di Londra del Crystal Palace, usato oltre 10 anni prima per la storica Esposizione Mondiale, Thomas Webster Rammell pensa di sovradimensionare il concetto alla base di un simile meccanismo, che nel frattempo aveva trovato ampia diffusione soprattutto negli uffici, le banche e gli ospedali (dove in effetti si usa ancora, per la rapida e sicura consegna di campioni clinici di vario tipo). Egli costruì, dunque, una vera e propria capsula sufficientemente grande da contenere delle persone, inserita all’interno di un tubo a tenuta stagna lungo all’incirca 550 metri. L’oggetto era largo quasi quanto lo spazio che doveva percorrere (3 metri circa) mentre gli ultimi centimetri necessari al suo scorrimento venivano coperti da un collare di setole particolarmente fitte, in grado d’impedire un facile passaggio dell’aria. Un poderoso compressore a vapore quindi, tra i più potenti mai costruiti, si occupava di fornire l’energia utile allo spostamento dello strano “vagone”. L’idea colpì molto il pubblico, con la gente di Londra e dintorni che continuò a pagare per il giro di prova lungo l’intero estendersi dei circa due mesi attraverso cui l’apparato rimase in opera, finché uno studio effettivo di fattibilità non basto a dimostrare come, in effetti, la ferrovia normale avesse un costo inferiore per chilometro percorso, nonché ostacoli alla manutenzione decisamente meno problematici o significativi. Tutti i vagoni/sigillo vennero quindi rimossi.
Ma il sogno dell’energia motrice pneumatica non era ancora finito: soltanto 5 anni dopo, Alfred Ely Beach fa costruire, nel sottosuolo di New York, quella che potrebbe definirsi a tutti gli effetti la sua prima metropolitana. Un tubo tra Warren Street e Broadway, di 2,4 metri di diametro e lungo 95, in grado di far muovere una serie di capsule contenenti fino a 22 persone ciascuna, ad una velocità superiore con una via più diretta rispetto a qualsiasi carrozza su strada. Egli decide, inoltre, avendo imparato dal rinomato aspetto squallido dei primi treni metropolitani di Londra, di rendere la sua stazione principale un vero e proprio luogo di ritrovo alla moda, con divani, tavoli e persino un pianoforte. Gli stessi sedili delle capsule vengono poi rivestiti e abbelliti, con arredi di pregio e rifiniture dall’alto valore decorativo. La linea resta in opera, questa volta, per un periodo di tre interi anni, nel corso dei quali vende una quantità stimata di oltre un milione di biglietti. Nonostante il costo elevato, a quel punto, appare evidente che l’interesse del pubblico a spostarsi con l’energia dell’aria c’è. O quanto meno, manchi qualsiasi tipo d’istintiva avversione.
La connessione con il presente per tutto questo, ritengo sia piuttosto evidente: non è forse vero che anche l’Hyperloop One dovrà muoversi, grazie al differenziale di pressione, all’interno di un tubo sepolto nelle viscere della Terra? Benché fondando, la sua estrema e presunta velocità, sull’accorgimento di un’ambiente quasi del tutto privo di attrito, grazie al getto ridirezionato dalla turbina di prua verso gli ugelli a cuscino d’aria sottostanti, come in una sorta di hovercraft ultraveloce e resistente ai terremoti (siamo, dopo tutto, pur sempre in California) un punto, quest’ultimo, su cui il treno pneumatico sopraelevato proposto da Max Schlienger con la sua compagnia Flight Rail Corp dovrà necessariamente soprassedere.
La serie di vantaggi offerti da un treno pneumatico, che sia del tipo proposto da Schlieger/Brunel o Musk/Beach, è sempre fondata sullo stesso nocciolo della questione: posizionare i motori all’interno di un sistema chiuso, piuttosto che sul vettore stesso, potrà renderlo infinitamente più compatto, rapido e scattante. Riducendo i tempi di accelerazione, aumentando i gradienti che possono essere affrontati a pieno carico ed almeno nel caso dell’avveniristico Hyperloop One, riuscendo addirittura a fluttuare a distanza di sicurezza dal suolo, aumentando esponenzialmente le velocità che possono venire raggiunte. Certo: nessuno pensa di poter paragonare la portata rivoluzionaria dell’invenzione di un veterano dei vini californiani, rispetto a quella di uno dei principali capi d’azienda di questo secondo decennio degli anni 2000. Che sta già sognando di andare su Marte, mentre le sue automobili elettriche prodotte sotto il marchio Tesla, dotate di sistemi per la guida automatica, diventano un simbolo di un futuro che appare sempre più drammaticamente preoccupante e vicino.
Ma è anche possibile che un qualcosa di più piccolo, semplice e meno costoso possa trovare un’applicazione immediata, nel risolvere i problemi circoscritti di un particolare luogo geografico o fascia d’utenza. Come in tutti i casi della tecnologia odierna, soltanto col tempo si potrà realmente dire di aver compreso la verità. Fortuna vuole che sia proprio questa sostanziale ignoranza, come il vuoto all’interno del tubo ferroviario, a spingerci con forte e implacabile convinzione.