L’abate Etgal guardava gli stranieri in avvicinamento con la loro demoniaca macchina volante. Sentì come un brivido lungo il collo, mentre nella sua mente formava il pensiero: “In nome del Santo Arcangelo, questa storia non finirà bene.” Di certo lui, che aveva conosciuto le conseguenze di un invasione vichinga verificatosi qualche tempo addietro, aveva ottime ragioni di temere ogni forma di novità e l’arrivo di sconosciuti. Sedendosi sulla panca di pietra che si trovava ai confini più estremi dell’eremo meridionale, affacciò il suo sguardo oltre la rupe alta almeno 80 metri, mormorando fra se e se una preghiera a San Finnian, fondatore di questo luogo remoto. Quindi con un profondo sospiro, si alzò, fece otto passi verso il baratro, e saltò verso l’azzurro dell’oceano sottostante. Una brezza leggera, tipica dell’Irlanda nei mesi di primavera, lo raccolse al volo per trasportarlo all’altro capo dell’isola di Sceilig Mhór.
“Che cosa vuoi dire, CREDI che abbiamo rovesciato un nido? Lo sai quanti permessi ci sono voluti per poter girare quassù? E cosa succederà, quando informeremo le autorità dell’accaduto?” L’individuo senza nome, posto a capo della grande produzione hollywoodiana, guardò con espressione truce il pilota di elicottero. Quest’ultimo appariva contrito ma fondamentalmente, anche un po’ perplesso. “Mr. [REDACTED] che cosa le devo dire… C’era un solo posto, in tutta questa dannata roccia, in cui potessimo atterrare: l’orto sopraelevato tra le mura del monastero. E ci avevano detto che andava bene, ci avevano detto così. Però la vede anche lei quella terra smossa? E quell’uovo rotto? Lì c’era una famigliola di berte minori, sono pronto a giurarci. E allora mi dica adesso, dove sono i pulcini?” Sui presenti calò immediatamente il silenzio. Tutti ricordavano, bene o male, l’allucinante spezzone della BBC, in cui i piccoli dell’oca facciabianca saltavano giù dalle scogliere scozzesi, nel tentativo di spiccare il volo. E il terribile destino che aspettava, inevitabilmente, tutti quelli che non riuscivano a farlo. “Vuoi dire che… Beh, potrebbero essersi spaventati, aver… Aver spiccato il volo per mettersi in salvo. No?” Fu in quel momento che l’uomo della produzione sentì, all’improvviso, un suono mai udito prima. Come un frastuono disarticolato proveniente dalla costa sottostante, le cui modulazioni si dimostrarono provenienti, nel giro di qualche secondo, da un’assembramento di uccelli marini agitati. Lentamente, un passo alla volta, si avvicinò al ciglio assieme al pilota, quindi entrambi guardarono verso il basso. La scena si stava svolgendo all’incirca 25-30 metri più in basso, su uno sperone di roccia. Una coppia di giovani uccelli, simili a piumini grigiastri, si erano radunati al margine estremo dello spazio a disposizione. Altri tre, letteralmente smembrati e trasformati in letterali mucchietti di ossa e piume, erano già stati scarnificati dai loro carnefici infernali. Una dozzina di gabbiani, gli occhi giallastri spalancati per la gioia malefica, si spintonavano a vicenda, nel tentativo di guadagnarsi l’accesso all’ultima portata di questo banchetto fuori programma.
Mentre fuori si svolgeva l’orribile dramma, l’addetto alla supervisione delle location cinematografiche stava facendo il suo ingresso nella cupola di pietra della Cella F, tipico clochán rappresentativo del sesto/settimo secolo dopo Cristo. Il piccolo edificio, messo insieme secondo il principio dell’arco a mensola condiviso da innumerevoli culture di tutto il mondo, era sorprendentemente luminoso all’interno e riparato dalla brezza marina. Tutta la luce proveniva dal singolo oculo di forma circolare e il diametro di circa 30 cm, situato verticalmente sotto il tetto del singolo ambiente pietroso. “[REDACTED], vieni a vedere!” Con l’espressione ancora un po’ scossa, il capo della produzione si affacciò dall’arco dell’unico ingresso previsto dagli antichi monaci. Osservò attentamente l’ampiezza dell’ambiente, il suo fascino quasi preistorico e misterioso. Quindi annuì pensieroso, mentre con una scrollata di spalle, esprimeva un pensiero sulla falsariga di: “Ma si, tanto ormai abbiamo pagato…” E con un gesto consumato, tirò fuori il bloc-notes dal taschino della camicia. Afferrata la penna con la mano destra, fece allora un segno di spunta sulla sua lista, alla voce “tempio Jedi”. Fu in quel preciso momento, mentre il collega era già uscito per andare a supervisionare l’edificio dell’oratorio grande, che l’aria parve convergere in un singolo punto. Di fronte al suo sguardo incredulo, tra macchie di muschio verde-ocra, iniziò a prendere forma lo spettro di Obi Wan Kenobi.
Il Realismo magico è una corrente pittorica, filosofica e di pensiero, secondo cui l’oggettività umana non può mai completamente prescindere da suggestioni fantastiche, oniriche o poco probabili. Venendo, piuttosto, influenzata dalle situazioni di contesto, finché i pensieri non prendono forma quasi tangibile, dando luogo a visioni che meritano di essere rappresentate. Meritano di essere narrate. E qualche volta, persino inventate. Non sono molti i luoghi di questo mondo, dopo tutto, ad essere intrisi di un carico di misticismo superiore a quello della piccola isola di Skellig Michael con la sua sorella minore, Little Skellig, situate a circa 12 chilometri dalla costa sud-occidentale della Terra Verde per eccellenza. Dove ci si ricorda, in maniera pressoché spontanea, che i padroni di un tale nazione devono il loro nome a un leggendario eroe, il quale secondo la leggenda venne sepolto proprio tra simili scogli, dopo essere annegato a causa delle stregonerie dei Tuatha Dé Danann, popolo indigeno dedito alla venerazione degli antichi dei. Il suo nome era Ir, e la sua discendenza, un’importante fattore: il padre Míl Espáine, in un’altra vita, aveva avuto nome Milesius, ed era stato un soldato romano al servizio degli ultimi Imperatori. Prima di decidere, grazie a un colloquio con il Destino, di dover partire alla volta d’Irlanda.
Ma non c’è bisogno di risalire tanto addietro, per giustificare l’importanza storica e culturale di un luogo tanto solitario, inserito dall’UNESCO nei patrimoni di più alta importanza a beneficio dell’intera umanità. Perché Skelling Michael, come dimostra chiaramente il suo nome, fu successivamente trasformata in un luogo di culto e meditazione cristiana, dedicato a niente meno che l’Arcangelo Michele, figura biblica in grado di sconfiggere, in punta di spada, il demonio Lucifero in persona (ed ora comprenderete, quanto l’origine marziale di un popolo sia importante nella scelta dei dogmi da venerare). Secondo le cronache dinastiche dei signori di Munster, che registrano la morte di un certo monaco Suibhini, l’evento potrebbe essersi verificato attorno al settimo secolo dopo Cristo, data in cui una squadra di coraggiosi ecclesiastici e pionieri, per motivi a noi largamente ignoti, decise di approdare con le proprie barche lontano dal mondo, e forse proprio per questo, tanto più vicino a Dio. Essi costruirono, dunque, sei cupole di pietra abitative, assieme a due più grandi dedicate alle lunghe ore di preghiera. Scavarono tre scalinate nel fianco della scogliera, lunghe centinaia di gradini, in grado di facilitare le frequenti spedizioni per cacciare gli uccelli o andare a pesca, ed edificarono una quantità imprecisata di croci di pietra e leachta, gli altari monumentali usati all’epoca per testimoniare la presenza spirituale di un santo o altra presenza sovrannaturale. Iniziò, quindi, un lungo periodo di pace, forse il più lungo che avessero mai conosciuto. Ormai fuori dalle logiche dei combattimenti tra i clan, la lotta per la sopravvivenza ed il territorio, questi uomini di chiesa (si stima che fossero 12, più l’abate) riuscirono a costruirsi una loro logica di sopravvivenza, in grado di garantirgli il sostentamento attraverso lo sfruttamento sostenibile della natura ed artifici ingegneristici piuttosto avanzati. Primaria importanza, ad esempio, ebbero le speciali cisterne scavate sotto le abitazioni, in grado di raccogliere l’acqua piovana che scivolava naturalmente lungo la curvatura della cupola soprastante. Così come l’orto/giardino, ricavato grazie al contenimento di una grande quantità di terra tra alte pareti, costruite a strapiombo sul mare. La costruzione del monastero di Skelling Michael, oggi poco narrata nei libri di curiosità storiche a vantaggio di luoghi più famosi, come Stonehenge, le Piramidi o la Grande Muraglia, dev’essere stata una grande impresa ai suoi tempi, benché condotta da una quantità di persone più limitata, nonché drammaticamente determinata. Quindi, come inevitabilmente succede, l’età dell’oro giunse al suo termine. I vichinghi erano arrivati.
Lunghi ed articolati discorsi sono stati fatti sul contatto dei primi cristiani del Settentrione con il popolo dei predoni del mare, il quale possedeva un suo sistema di miti e leggende forse persino più antico, e un sistema di valori tutt’altro che limitato. E sulla maniera in cui, mentre stuoli di monaci pagavano con la vita, di pari passo i sacerdoti della Via di Asgard si convertivano gradualmente al simbolo della croce, dopo tutto, nient’altro che un’interpretazione alternativa del martello di Thor. Alti re e Jarl si convertirono, mentre i loro fedeli thane seguivano fedelmente la stessa prassi, pentendosi nel profondo dei peccati commessi fino a quel momento. Fu una grande dimostrazione, sotto ogni aspetto, dei meriti del proselitismo non violento. E di certo, un capitolo di tutto ciò stava per compiersi anche sulle isole Skellig, nell’estate di quello che gli Annali di Inisfallen ci permettono di identificare come l’823 d.C. Se non che quei particolari vichinghi, sbarcati con furia evidente dalla loro barca-dragone, apparentemente non parlavano il gaelico. Oppure, non erano interessati ad ascoltarlo. Così saccheggiarono la comunità di monaci e rapirono l’abate Etgal, per poi metterlo a morte con la maniera più lenta e crudele: la negazione dell’acqua e del cibo.
Successivamente, il vecchio monastero diventò ancor più famoso, mentre i signori dei clan locali investivano le risorse necessarie a dotarlo di una vera e propria chiesa, facendone meta di numerosi pellegrinaggi. Questa fu l’epoca in cui la religione cristiana penetrava più a fondo nel patrimonio culturale del popolo dei Milesi (discendenti di Milesius) spazzando via ogni residuo delle antiche leggende e credenze sovrannaturali. Finché inspiegabilmente, attorno al XII o XIII secolo, il monastero venne abbandonato. Ci sono diverse ipotesi sulla ragione, ma la più probabile resta quella di un improvviso mutamento climatico, che avrebbe reso simili lande letteralmente inabitabili durante la stagione invernale. Così i monaci tornarono sulle loro barche, come fatto tanti anni prima dagli iberici al seguito del soldato romano padre di Ir, per trasferirsi presso la vicina abbazia di Ballinskelligs. E quella fu la fine della nostra storia, intesa come Storia capace di lasciare un segno duraturo attraverso le generazioni.
Se non che nel 2015, come tutti sappiamo, qui giunsero i cultori di un diverso meccanismo, quello mirato a trasformare storie fantastiche, in sonoro e frusciante denaro. Nonché realizzare la visione, si spera, di qualche valido e dignitoso artista. Quale possiamo affermare, dunque, possa essere stato il contributo di questi luoghi remoti all’interminabile saga della Forza e dei suoi sacerdoti guerrieri? Uno sfondo unico e fin troppo riconoscibile, tuttavia utile a comunicare l’idea…. Che un grande personaggio ormai dimenticato e costretto all’esilio, dopo tutto, resta pur sempre un eroe. E come tale, non potrà mai dimenticare le sue radici. A differenza di taluni registi….