L’apporto tecnologico delle dashcam non può essere sottovalutato, come finestra aperta verso le molteplici esperienze del mondo stradale. Motori ruggenti, manovre improbabili, errori umani che conducono molto spesso all’incidente. E dalle carrozzerie ammaccate, il fumo che esce da sotto il cofano, il popolo di Internet viene talvolta indotto a trarre una lezione di vita, sulla falsariga di “presta maggiore attenzione quando ti metti al volante.” Non credo però che l’avviso sarebbe realmente necessario, per molti di noi, nel caso in cui ci trovassimo in un giorno improbabile a ripercorrere i passi qui documentati dallo youtuber Partha, viaggiatore in territorio Nepalese, mentre si trovava lungo il tragitto della recente quanto fondamentale via di collegamento carrabile tra la cittadina di Bersahar e Chame, sola ed unica capitale del distretto di Manang. Uno di quei luoghi, strettamente e ragionevolmente associati al cosiddetto “tetto del mondo”, in cui lo spazio tra le ruote è assolutamente fondamentale, per il semplice fatto che potrebbe eventualmente superare quello a disposizione tra il fianco della montagna ed il grande vuoto, rapidissima via d’accesso verso la valle sottostante. Il quale presenta, tuttavia, un ulteriore ed ancor più significativo grado di terrore. All’inizio dei circa due minuti di video, che stanno in questi giorni comparendo su un ampio ventaglio di quotidiani e siti di notizie online, si vede quello che sembrerebbe essere a tutti gli effetti un comune piccolo fiume o torrente montano, che si getta a strapiombo tra le rocce, non fosse per la presenza di un’inspiegabile recinzione, del tutto simile a un rudimentale guard rail. Ed è proprio mentre siamo qui ad interrogarci sull’origine e la funzione di quest’ultimo, che la verità viene, d’un tratto, rivelata: con il cofano della macchina a fare da cornice, l’azione si sposta a bordo dell’auto occupata dall’autore; sopra c’è l’acqua che cade, sotto c’è il fiume che scorre. A lato quella che possiamo immediatamente riconoscere, grazie alla falce ricurva, come nostra oscura signora, la Morte.
Che cosa porta delle persone del tutto sane di mente, almeno all’apparenza, a mettere a rischio la propria esistenza in un siffatto modo? Per quale ragione, qualche ora in più per girare attorno alla montagna non è migliore, dal punto di vista e le preferenze di alcuni degli autisti più spericolati del mondo? La ragione da ricercare principalmente, ritengo, va estratta dalle caratteristiche topografiche di una tale regione. Non credo che noi italiani, pur con le irte Alpi e i passi che percorrono gli Appennini, possiamo istintivamente comprendere che cosa significhi spostarsi attraverso un paese in cui l’elevazione media supera i tre chilometri sul livello del mare, e persino una trasferta di 60 chilometri può trasformarsi in una giornata o due di viaggio. Fonti locali narrano anzi come fino a poco tempo fa ce ne volessero ben tre (o quattro, a seconda della stagione) per raggiungere da Bersahar il resto della civiltà, con conseguente abbattimento del potenziale turismo e drastico aumento del costo della vita. Mentre dal 2012, anno di completamento della vertiginosa mulattiera, le guide hanno iniziato ad includere nei loro itinerario questo luogo pittoresco, in grado di offrire antichi templi e una splendida vista sul paesaggio montano circostante. A patto, ovviamente, di avere il coraggio di affrontare il tragitto in macchina fin quassù. Ora naturalmente, la strada non si presenta sempre percorsa dalle acque di un fiume, nella fattispecie il Marshyangdi, che scorre lungo le pendici montane sopra i villaggi di Ghermu e Jagat. Anche perché altrimenti, sarebbe stato impossibile costruirla. Così che l’eventualità dimostrata nel video, in effetti, è la drammatica conseguenza di un periodo di piogge piuttosto intense, in grado di sfumare sensibilmente i confini tra l’acqua e l’asfalto…
Questa strada, i cui lavori di costruzione sono iniziati soltanto nel 2010 su ordine del governo centrale, ha già raccolto numerose proteste, in forza della sua percepita capacità di rovinare alcuni dei luoghi naturali più affascinanti del paese. Del resto, la tematica delle infrastrutture in Nepal è molto sentita da un popolo il quale oggi, chi più chi meno, vive soprattutto grazie all’apporto finanziario del turismo. E ciò è particolarmente vero in Manang, dove si trova il leggendario circuito dell’Annapurna, considerato una delle escursioni di trekking più affascinanti e desiderabili al mondo. E sia chiaro che non stiamo parlando di un’avventura riservata a pochi eletti, i più coraggiosi e spericolati, bensì di una vera macchina per fare soldi aperta agli stranieri a partire dagli anni ’80, visitata da circa 40.000 persone ogni anno. Una camminata lunga tra i 160 e i 230 chilometri, a seconda della versione che si decida di affrontare, con una durata temporale di circa 20 giorni, attraverso foreste d’altura, brulli percorsi, stazioni di sosta e cittadine dalla storia pluri-secolare, ricche di fascino ed antiche tradizioni. Un vero tour de force visuale, culturale e gastronomico, dal costo in termini monetari ragionevolmente ridotto, benché non manchino le consuete “trappole” da evitare, in genere grazie ai (numerosi) consigli offerti dal Web. Una delle quali, almeno stando a un articolo di Julie sul Blog Our Global Trek, potrebbe essere rappresentata proprio dalla trasferta motorizzata in jeep lungo questa strada-fiume, il cui costo apparentemente fluttuante tende ad essere ritoccato per gli stranieri. E ciò senza considerare, oltre a questo, l’eventualità vissuta dalla sfortunata viaggiatrice, il cui mezzo è finito in panne lungo il tragitto, costringendo lei e il suo compagno, oltre ad alcuni passeggeri locali, a percorrere l’ultimo tratto rigorosamente a piedi. Ma non prima di aver trascorso, come ci viene chiaramente narrato, svariati dei 5 minuti più terrificanti della sua vita, ritrovandosi a guardare fuori da un finestrino oltre cui c’era soltanto il nulla, mentre l’auto sobbalzava sul percorso sterrato, tutt’altro che solido ed uniforme. E fortuna che non era, almeno, la stagione piovosa dei monsoni!
Al di là della questione turistica, ad ogni modo, è palese che la strada di Bersahar-Chame accresca notevolmente la qualità della vita per gli abitanti di quest’irta regione. Un esempio che viene citato dal Kathmandu Post è quello del trasporto dei feriti e degli ammalati, che precedentemente richiedeva sempre l’impiego di elicotteri anche per casi non gravi, mentre adesso può essere effettuato tramite l’impiego di ambulanze, a fronte del viaggio comunque non brevissimo in grado di richiedere all’incirca sei ore. Segue una rapida rassegna dei prezzi diminuiti per alcuni beni di prima necessità, tra cui le bombole per il riscaldamento, acquistabili per sole 2.300 rupie contro le 3.100 precedenti, o un Kg di legumi, passato a 140 rispetto alle 160 di prima dell’apertura della strada. Il che ha dato vita ad un contro-movimento di effettivi estimatori del progresso, pronti a difendere i politici che hanno dato il via libera ai lavori, affermando che la natura può essere preservata, anche senza trascurare il benessere della comunità locale. Nel frattempo, a partire dalla fine del 2017, è stato aperto un sentiero alternativo per questo tratto del circuito dell’Annapurna, capace di portare i turisti lontano dalla montagna modificata per fini pratici, garantendo in questo modo la prosecuzione dello status leggendario del Nepal, paese misterioso e incontaminato nel bel mezzo del selvaggio Oriente.
Ciò detto, le nuove strade non sono questa soluzione miracolosa ai problemi della collettività, ma soltanto uno strumento imperfetto verso la ricerca di una serenità che talvolta, per una ragione o per l’altra, tarda ad arrivare. Basta una rapida ricerca su Google di uno di questi tragitti, purtroppo, per trovarsi di fronte alla più ansiogena sequela d’incidenti, spesso anche mortali, a cui vanno incontro con cadenza regolare i percorritori frequenti di simili vertiginose carreggiate. Una volta l’auto finita nella scarpata, l’altra l’autobus che si è ribaltato nel fiume… Feriti e dispersi, persone cadute in maniera prematura sulla strada di una difficile, ma pur sempre necessaria modernizzazione delle infrastrutture nazionali.
I più ottimisti, dunque, vedono strade affini a questa come una possibile base di sviluppo futuro, con progressivi allargamenti, finché anche le auto, e gli autisti normali possano usufruire di un sentiero d’accesso più diretto e meno faticoso alle molte meraviglie disseminate sul territorio Nepalese. Mentre già gli operai incaricati preparano la dinamite, fiduciosi nell’eventualità di riuscire a far saltare un’altro sperone di roccia, verso la ricerca di un nuovo concetto di viabilità, che possa realmente definirsi conforme alle esigenze di un luogo come questo. La cui linfa vitale è a tutti gli effetti il turismo, nonostante quello che vorrebbero pensare le più venerande generazioni. Il tutto, sempre sperando che un nuovo, drammatico terremoto, si astenga dal ripetere gli eventi del 2015, palesando al mondo l’arretratezza vigente e le sfide affrontate ogni giorno da un paese come questo, capace di restare isolato tra due delle superpotenze nascenti del nuovo millennio, l’India e la Cina. Che potrebbero aiutare, ma per il momento si astengono dal farlo. E ciò è molto probabilmente un bene, come potrebbe affermare con enfasi qualsiasi tibetano.