L’esperienza di visitare una qualsiasi grande città italiana, per un turista, può talvolta risultare ansiogena, soprattutto se proviene da un paese del Nord. Mentre ci si sposta da un’antico monumento a una piazza storica, assorbendo uno per uno i reperti delle epoche passate, il clima mediterraneo tenderà inevitabilmente a pesare sull’impeto della camminata, soprattutto in estate. Così, a temperature superiori di anche 15 gradi rispetto a quelle di una città come Oslo, persino a parità di stagione, il sudore inizierà a formare dei rivoli copiosi, mentre prevedibilmente, l’esploratore fuori sede finirà per acquistare una bottiglietta d’acqua, da un minimarket o uno dei tanti venditori ambulanti del centro. Così con l’avanzare del pomeriggio, prima o poi, avvertirà la necessità d’utilizzare la toilette. Un’esperienza che in territorio nostrano, per quanto basilare, può talvolta risultare contro-intuitiva. Già perché dove sono, ad esempio, i gabinetti pubblici della Capitale? Roma è un luogo in cui, se si avverte il bisogno di espletare le risultanze, l’unica scelta ragionevolmente a disposizione è spesso prendersi un caffè al bar. Mentre grava sulla propria testa la possibilità, sempre presente, che proprio il locale in cui è stata riposta la propria fiducia abbia appeso il lapidario cartello “guasto” per questioni di tipo tecnico o amministrativo. Perciò mentre si chiede al proprio fisico di trattenere ciò che non può essere rimandato, tanto spesso, lasciare i confini della città verso l’aperta campagna rappresenta un’esperienza di riscoperta, che permette un ritorno metaforico e letterale alla natura. Dove ogni luogo può essere un bagno, quando la necessità guida il giudizio e le preoccupazioni diventano poco più del battito d’ali di una falena, attorno al fuoco notturno della liberazione individuale.
Prendiamo in analisi, di contro, la questione di un tipico luogo turistico norvegese. Il paese in grado di sconfinare nel Circolo Polare Artico, la cui densità di popolazione media, per ovvie ragioni contestuali ammonta a sole 15,8 persone per Km quadrato (ma può calare, in vaste aree del territorio, a fino un terzo di quella cifra). Un paese lungo e stretto, in cui un ristretto numero di lunghe strade statali riveste un ruolo primario nella viabilità nazionale, con utilizzo relativamente intenso e costi di mantenimento altrettanto significativi. Ciò che avviene a quel punto, come in certe aree centrali degli Stati Uniti per la leggenda della storica Route 66, è che il tragitto stesso diventa una meta degna di comparire sulle guide, arricchendosi d’innumerevoli “punti di sosta” consigliati ai turisti, ciascuno dei quali in grado di offrire un modo per fermarsi ed assaporare il momento, senza la mediazione gravosa degli pneumatici e del volante. Soltanto che, senza il linguaggio tipico del kitsch d’oltreoceano, piuttosto che monumenti alla bizzarria come la più grande ciambella del mondo, il dinosauro evoluzionista a scala naturale o l’edificio a forma di cestino del pranzo, simili attrazioni tendono qui ad avere una specifica funzione. E tale funzione, tanto spesso, è il bagno. Ed è singolare ma comprensibile, in un tale panorama, il successo internazionale riservato a una creazione come quella di Ureddplassen tra Gildeskål e Meløy, nel Nordland, proprio dove la celebre strada Helgelandskysten transita di fronte al golfo di Fugløya. “Ecco a voi il bagno più bello del mondo!” hanno titolato giornali per lo più inglesi come il Telegraph e il Daily Mail, mentre secondo una prassi già lungamente acquisita, le testate di altri paesi hanno si sono fatti ambasciatori dell’insolita notizia. Poiché in effetti, l’aspetto di questa struttura è tanto atipico da sembrare quasi decadente. Il senso di meraviglia inizia già mentre si lascia l’area di sosta, percorrendo una serie di ampi gradini costruiti come parte di un anfiteatro, giungendo presso una piazza in riva al mare dotata di attraenti panche rivestite in marmo di rosa norvegese. Ed è allora che apparirà al centro del proprio campo visivo, il più particolare piccolo edificio con pareti di vetro non-trasparente, il tetto formato da una struttura in grado di ricordare il moto delle onde che s’infrangono sugli scogli antistanti. “Mentre ci si avvia verso la ritirata” racconta un sito web, “…sarà possibile udire il richiamo distante delle pulcinelle, aquile di mare o il più grande gufo d’Europa, l’hubro. Alla vostra destra, un importante monumento…”
Perché in effetti, questo bagno non è situato in luogo qualunque, così come non è un caso che la località in questione abbia il nome di Uredplassen, da quello della statua risalente al 1986 raffigurante un pesce marlin (fam. Istiophoridae) in caccia, recentemente riposizionata in cima ad un piedistallo marmoreo per commemorare il disastro del sottomarino Uredd. Si tratta di una triste vicenda risalente alla seconda guerra mondiale, durante la quale diverse istituzioni della Norvegia, occupata a partire dal 1940 dall’esercito della Wehrmacht, si erano auto-esiliate in Gran Bretagna assieme al loro Re, nel tentativo di organizzare varie forme di resistenza. Tra le quali figurava una parte rilevante della marina, che ricevette in gestione da parte degli inglesi, tra le altre risorse, il valido sommergibile P41 dei cantieri Vickers-Armstrong, ben presto rinominato e inviato a compiere una serie di missioni, per lo più d’inserimento uomini e apparecchiature, lungo le frastagliate coste del Nord. Finché nel 1943, durante il mese di febbraio, il battello misteriosamente sparì. Furono dati per dispersi i 35 uomini dell’equipaggio, oltre ai 6 membri delle forze speciali che si trovavano a bordo, senza una ragione chiara fino 1985, quando la nave HNoMS Tana trovò il relitto a largo di questo solenne luogo, riuscendo ad attribuire l’evento all’impatto con un campo minato posizionato all’epoca dai tedeschi. Un luogo di rimembranza, dunque, ma anche di comunione speciale con la natura. Poiché costituirebbe, sempre secondo le parole dell’Ente Nazionale del Turismo, uno dei migliori in assoluto da cui guardare coi propri occhi l’aurora boreale, fenomeno atmosferico considerato un vero punto cardine tra le caratteristiche speciali di questo paese. Quale miglior modo di far conoscere la propria storia, dunque, che attraverso l’unione di spunti poetici e prosaiche necessità!
Lo studio Haugen/Zohar Arkitekter (HZA), autore del bagno dell’Uredplassen, è del resto particolarmente famoso per la sua capacità nell’evidenziare l’unione tra uomo e il suo contesto, contestualizzata tramite accurate considerazioni di tipo ambientale. I suoi membri costituenti, con base operativa nella capitale Oslo, raccontano sul sito ufficiale di aver iniziato con il lungo progetto del proprio spazio di lavoro, durante il quale si sono applicato personalmente non solo nel “cosa” ma anche nel “come” realizzare una costruzione. Per poi passare alla trasformazione di una vecchia centrale elettrica in un centro comunitario, luogo d’incontro nel contesto di una grande città. Ma è la loro rassegna dei lavori svolti a colpire la fantasia, con un vasto ventaglio di produzioni in grado di spaziare dall’artistico alla spontaneità creativa, come la casetta per far giocare i bambini a Trondheim, una struttura a forma di pera costruita con 2.240 segmenti di tronco, al centro della quale arde un fuoco in grado di riscaldare la loro giornata (famoso detto norvegese: non esistono giorni freddi, solo vestiti o strumenti inadeguati). O ancora threshold (la soglia) un tratto di recinzione di plastica multi-colore e trasparente, da inserire nella staccionata di un asilo o una scuola elementare per permettere agli alunni di guardare quello che avviene fuori senza lasciare la sicurezza del luogo supervisionato. In un certo senso, l’esatto contrario del bagno di Uredplassen, capace di creare l’isolamento nel bel mezzo di una grande distesa vuota.
Ed è il tutto è alla fine, meno insensato di quanto possa sembrare. Perché se prendiamo in considerazione l’esistenza di un luogo di ritrovo lontano da qualsiasi comunità umana, dove la gente si reca per assistere a uno spettacolo (l’aurora boreale) e trascorre anche svariate ore per assicurarsi d’imprimere tutto questo nella memoria, apparirà evidente che un qualche tipo di gabinetto, alla fine, era non soltanto consigliabile, bensì necessario. E quale struttura avrebbe mai potuto essere talmente invisibile, da passare inosservata attraverso la distesa intonsa della natura? Un WC sotterraneo mi pare improbabile. A quel punto dev’essere sembrato meglio costruire qualcosa di attraente, affinché potesse ricordare con eleganza, quanto meno, i limiti evidenti della nostra mortalità.
Ora se soltanto simili considerazioni potessero mai, in qualche maniera, contaminare i piani di alcuni dei fini ed immortali urbanisti europei. Creature leggendarie che, proprio come il più famoso conte della Transilvania, non bevono mai… Acqua.
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