È stato certamente uno spettacolo: le sgargianti livree delle monoposto di Formula E, ciascuna coronata dal casco di un abile pilota, che disegnavano accurate geometrie tra le angolose curve del quartiere Eur di Roma. Una gara sportiva lungamente attesa, proiettata verso il futuro per organizzazione, idee e comparto tecnologico di fondo. E mentre le vetture acceleravano, e con esse l’entusiasmo del pubblico, mentre le telecamere creavano quel filo ideale di energia elettrica, riflessa ed amplificata dai motori lineari attraverso l’etere, fino all’ingresso delle nostre case, in molti si resero conto gradualmente di un qualcosa che non si erano aspettati. Si riuscivano a sentire le voci delle persone. Il tifo dagli spalti, gli ordini dei meccanici nei box, le domande dei giornalisti; come in una rappresentazione idealizzata della primavera all’inizio di un documentario disneyano, non c’era un sussurro, il grido di un gabbiano, e neppure i passi di qualche altro ipotetico animale, che potessero sfuggire alla captazione dei microfoni, in una sostanziale cappa di armonia auditiva in grado di pervadere ogni momento della surreale kermesse. Il che, da una parte, sovvertiva fondamentalmente un aspetto considerato importante in precedenza: la possibilità di percepire i singoli gesti di ciascun pilota. Come un esperto di calligrafia orientale, che osservando i tratti prodotti dal pennello di un maestro riesce a identificare le singole curve e ogni fondamentale rettilineo del kanji rappresentato sul rotolo, rivivendo nel suo essere il motivo delle scelte compiute, degli approcci cadenzati e le angolazioni prodotte, così l’esperto spettatore di simili gare impara a distinguere, nei sorpassi, il momento esatto in cui un pilota ha lasciato l’acceleratore, riconoscendo il diritto dell’avversario a prendere momentaneamente il comando. A meno finché la prossima opportunità, nell’economia degli eventi, non gli permetta di ribaltare la situazione. Potremmo chiamarlo, volendo, il “senso innato del ruggito graffiante” ovvero quella dote, che diventa necessità, di applicare quanto si è guadagnato per se stessi attraverso anni di evidente passione individuale per il cavallino rampante, la freccia d’argento, il toro vermiglio o una qualsiasi tra le sfavillanti alternative che mordono l’asfalto di gara.
Eppure l’evento di Roma, diretto al cuore stesso di noi italiani, parla davvero chiaro: l’elettrico sta continuando a prendere piede, sempre di più e in ogni campo dell’ingegneria, per una semplice necessità dei nostri tempi. Che dire, dunque, di tutto ciò… Riusciremo a ritrovare il nostro equilibrio sonoro costruito in generazioni di Formula 1, o continueremo a oscillare tra passato e futuro, alla ricerca dell’ago di una bussola che fondamentalmente, non è esistita e non esisterà mai? In quale modo potremmo semplificare la transizione? Di certo sarebbe assurdo! Inutile. Chiamare un musicista, intendo, giù dagli spalti e vicino alla tribuna di chi ci tiene di più, al fine di fargli accompagnare le immagini con il movimento delle sue abili dita. A meno che… La persona in questione, pescando tra gli archivi di Internet, non sia il misterioso Mario Torrado, dal volto costantemente coperto mediante il cappello in pieno stile Michael Jackson, l’eterno giubbotto di jeans, la postura composta ma vagamente informale, mentre strimpella l’iconica chitarra elettrica Gibson X-plorer (o Explorer) al fine di produrre una sola, lunghissima e articolata nota. Si, proprio così. La definizione è corretta, se è vero che la più piccola unità musicale, sostanzialmente, altro non è che una vibrazione dell’aria, misurabile in singole ripetizioni esattamente come la rotazione di un motore. Il tutto attraverso una procedura scientificamente analitica che in un molti modi, traspare con grande evidenza. Nel suo video più celebre risalente al 2013, recentemente ripubblicato sul portale social Reddit, l’artista compare mentre dimostra la precisione del suo metodo, effettuando una tripla dimostrazione pari a una rassegna retrospettiva proiettata delle epoche trascorse, espletata attraverso i tre motori più celebri nella storia di queste gare: V10, V8 e V6. Ma prima di passare ad un’analisi tecnica di quanto questo video risulta in grado di offrirci, c’è almeno un altro esempio da prendere in considerazione…
L’anno in cui Torrado ha fatto il suo tentativo di salire in vetta alle turbinanti e imprevedibili onde della fama internettiana, senza passare per il trampolino di un talent televisivo, rappresentò un momento importante nella storia della Formula 1. Fu l’ultima stagione in cui le auto montarono lo storico motore V8 da 2400 cm³, che tante vittorie aveva corroborato a partire dal 2006, col suo suono acuto e altamente reattivo, contrapposto all’orchestra dei precedenti V10, rombanti come un terremoto in grado di trasmettersi attraverso l’aria e le stesse pareti divisorie del tracciato di gara. E forse già allora, da un punto di vista puramente memetico orientato all’interpretazione di un simile spettacolo, qualcuno fu infastidito dal mutamento di quel comparto sonoro, evidente punto di rottura con le generazioni passate. Perciò era una chiara dichiarazione d’intenti la sua, un effettivo punto di arrivo di quel percorso personale, che l’aveva portato a creare un metodo estremamente preciso per far fluire attraverso il suo strumento musicale la rappresentazione artistica di quanto aveva scelto di evidenziare. Prendiamo in analisi, di contro, la sequenza in cui rappresenta in modo specifico un giro di Barichello sul circuito di Monza, tra i più veloci, riconoscibili ed emozionanti di quello e di molti altri campionati a venire. Con il procedere dei secondi, mentre una grafica semplice chiarisce il movimento dell’immaginaria vettura tra l’una e l’altra chicane, passando per i vertiginosi rettilinei e le svolte che noi tutti conosciamo fin troppo bene, non soltanto si preoccupa di far salire di giri in maniera realistica il motore, ma tiene conto della maniera in cui il pilota, quel giorno, ha deciso di approcciarsi all’enigma che può rappresentare uno scenario di competizione automobilistica ai livelli più elevati.
Così, secondo quanto evidenziato nel suo blog (ancora oggi disponibile online) egli ha, nelle sue stesse parole: “[…] Calcolato la tonalità teorica del motore V8, con il suo limite di 18.000 rpm, che sono 300 giri al secondo, ovvero 300 Hz. Dato che un motore a due tempi ha due esplosioni per ciascuna rivoluzione, abbiamo 150 esplosioni al secondo per ciascun cilindro. Dunque, gli otto cilindri di un V8 producono 1200 esplosioni al secondo, corrispondenti a 1200 Hz, il che corrisponde a una nota musicale leggermente al di sopra di D6.” A quel punto, volendo rappresentare non l’effettiva realtà, bensì quello che udiamo attraverso le nostre televisioni sintonizzate sul canale che trasmette il GP di di giornata, ha dimezzato il suono teorico a 600 Hz, che è il massimo in grado di comparire in una trasmissione di tipo analogico di quegli anni. In seguito, ha quindi deciso di utilizzare la vibrazione continuativa della terza e quarta corda sul 22° tasto, producendo un’approssimazione della nota D5. Di contro, per il motore V6 che sarebbe stato utilizzato dal 2014, l’autore ha considerato 15.000 rpm moltiplicati per 6 cilindri invece di 8, riducendo di 6/8 il suono finale. Il che ha portato, nella sua esecuzione, all’impiego di una nota poco sopra la F#4, attorno al ventunesimo tasto per la quinta corda. Senza inoltrarsi eccessivamente negli astrusi tecnicismi del caso, credo che potremmo tutti affermare che il risultato sia a tutti gli effetti tra il “dannatamente realistico” e il “notevole/sorpendente”.
Al punto che, se io lavorassi nell’industria cinematografica, o perché no, la promozione dei nuovi stili di competizione automobilistica, non perderei ulteriore tempo nel prendere i contatti con questo eclettico musicista di YouTube.
L’implicita domanda, sul valore di quanto abbiamo fin qui conosciuto e commentato, è in ultima analisi contenuta all’interno di quella seguente: quanto è importante, all’interno di quello che secondariamente dovrebbe restare uno spettacolo, l’aspetto meramente auditivo? Siamo noi forse spettatori che guardano solamente quanto appare su schermo, senza preoccuparsi in alcuna maniera di associare un determinato suono a una sequenza di eventi? Perché in quel caso, ben venga il silenzio quasi totale della Formula E, assieme all’opportunità, completamente nuova, di discutere del più e del meno in tribuna, cullati dai suoni distanti della città in festa.
Altrimenti, la nostalgia peserà sulle nostre opinioni. Portandoci a considerare quest’uomo, al minimo, un arguto rappresentante del grande fiume che scorre idealmente dalle foci di una sana competizione per sfociare nel mare delle opportunità di sponsorizzazione, partecipazioni pubblicitarie e grandi guadagni, d’immagine più che altro, per quasi tutte le parti coinvolte in un simile circo spropositato. All’interno del quale, come si confà a simili organizzazioni, uno dei fattori salienti è (o DOVREBBE essere) il ruggito del possente leone, che sia materialmente tangibile, con pelo, artigli e tutto il resto. O ancor meglio, prodotto dalla nostra libera e feconda capacità d’immaginazione.