Ora immaginate, ai fini metaforici, di avere un vecchio telefono cellulare, di cui avete intenzione di liberarvi poiché state per comprare l’ultimo modello di smartphone. Di certo potreste metterlo sul fondo di un cassetto e dimenticarvi della sua esistenza, ma questo vi darebbe un certo grado di dispiacere. Intanto per l’infausto destino di un oggetto che, bene o male, avete amato nel corso di un periodo della vostra vita, per non parlare dell’ingombro di un oggetto il quale, a partire da quel giorno, occuperà dello spazio irrecuperabile all’interno delle stanze, tutt’altro che infinite, della vostra abitazione. Molto meglio… Sai cosa? Regalarlo al vostro fratello minore (già, in questo discorso ipotetico ne avete uno) per prolungarne ancor più a lungo vita e funzionalità. Affinché lui possa portarselo in giro, farne uso e trarne qualche giovamento ulteriore. Ma il problema, in fin dei conti, è questo: alcuni sono figli unici. E piuttosto che rivolgersi al corrispondente d’infinite discussioni infantili, devono trovarsene uno d’ufficio. Fortuna che nel sud del mondo, esiste un’intero continente di fratelli minori. Uomini e donne estremamente simili a noi, in tutto tranne che la collocazione geografica e in alcuni casi, le problematiche ambientali del luogo in cui il destino li ha costretti a trascorrere la loro esistenza. Gente che, un po’ come tutti gli altri, ama i telefoni cellulari, ma anche le televisioni, i computer, i forni a microonde, i frigoriferi… “Che fortuna, ragazzi! Ho giusto qui 200 pezzi di ciascuno di questi oggetti, pronti da donare a vantaggio dei miei fratellini. Sono certo che sapranno farne buon uso.” Dice allora l’uomo occidentale. E c’era forse un’intenzione vagamente umanitaria, alle origini di questa prassi estremamente diffusa, d’inviare grandi quantità di materiale tecnologico desueto verso l’Africa, affinché i popoli di un tale luogo possano ripararlo e trarne un qualche tipo di giovamento, sopratutto con la nascita della nuova classe media, costruita in modo da assicurare ai suoi membri un tenore di vita, per così dire, “medio”. E l’idea, per qualche tempo, ha parzialmente funzionato. Poi è arrivata la convenzione di Basilea: il trattato internazionale in vigore dal 1992, sanzionato dall’ONU, che vieta severamente il trasferimento internazionale di rifiuti pericolosi oltre i confini della nazione che li ha prodotti. A meno, e questo è un significativo tratto di distinzione, che lo scopo dimostrabile non sia il riciclo. E a quel punto, apriti cielo: perché in effetti, almeno dal punto di vista teorico, non c’è assolutamente nulla che non possa essere in qualche modo sottoposto ad un recupero dei materiali. Purché si abbiano strutture adeguate o in alternativa, una sufficiente mancanza di riguardo verso la salute di chi dovrà occuparsene, in forza della pura e semplice necessità.
Agbogbloshie, presso la capitale ghanese di Accra, è il luogo che viene spesso definito dai media, erroneamente, come il più vasto centro di smaltimento della spazzatura elettronica proveniente dai quattro angoli del mondo, un triste primato che in effetti dovrebbe appartenere oggi al sito cinese di Guiyu. Con numeri associati veramente improbabili, di milioni e milioni di tonnellate inviate fin quaggiù ogni giorno, grazie all’impiego d’immaginarie titaniche navi cargo incaricate di liberarsi dello spropositato surplus dei rispettivi paesi di provenienza, giustificando il nome di moderne “Sodoma e Gomorra” luoghi d’assoluta perdizione. La realtà, in effetti, è più simile a quel programma Tv statunitense in cui un gruppo di folkloristici imprenditori acquista a scatola chiusa i container abbandonati nelle zone portuali, nella speranza (più o meno giustificata) di trovare al loro interno un qualche oggetto di valore. Meno, va da se, il passaggio d’importanti somme di denaro. Questa città situata nella parte orientale del paese ha in effetti costituito, per secoli, un’importante porta d’ingresso per gli scambi provenienti da fuori l’Africa, e così adesso continua farlo, nel campo sempre crescente dell’e-waste. Ciò che succede a quel punto, la televisione non si è mai preoccupata di evidenziarlo nei suoi reality show: per ogni oggetto felicemente prelevato, riparato e/o venduto a terze parti, ve ne sono almeno dieci del tutto irrecuperabili che semplicemente, vengono buttati via. Ed è indubbio che le condizioni di vita, da queste parti, abbiano finito per risentirne in maniera estrema. Le immagini sono davvero impressionanti: dozzine e dozzine di bambini in età scolare, che se pure riescono ad essere abbastanza fortunati da occupare un banco, al calar del sole devono recarsi a lavorare tra questi cumuli derelitti, allo scopo di trovare in quel marasma del metallo di valore, qualche filo di rame, componenti ancora funzionati da rivendere ai numerosi commercianti locali. Pensate che la laguna del fiume Korle, dove è situato lo scenario che abbiamo fin qui descritto, era in origine un luogo ameno, in cui venivano portate a pascolare le capre ed altri animali. Attività che continua tutt’ora, al di là dell’acqua, tentando d’ignorare i fumi neri e la diossina che si solleva dai fuochi comuni, da cui gli addetti, loro malgrado, tentano di trarre la materia prima del loro sostentamento quotidiano…
Si tratta di una vita grama capace di compromettere in modo significativo la salute di coloro che la scelgono. Soltanto perché in effetti, paga relativamente bene. Ciò che viene nebulizzato dai falò di Agbogbloshie, secondo le analisi effettuate nel corso degli anni, è niente meno che il peggio della moderna produzione industriale: il piombo contenuto all’interno dei tubi isolanti in PVC per il trasferimento dell’energia elettrica. Mercurio e cadmio dei circuiti stampati, bolliti al fine di estrarre il contenuto insignificante di veri e propri metalli preziosi. Le resine e i poliuretani dei ritardanti antincendio, inclusi nella maggior parte delle plastiche ad uso tecnologico. Il veleno quindi, oltre a diffondersi nell’aria, si è letteralmente squagliato per andare a inficiare il suolo stesso e le relative falde acquifere, mettendo a rischio la vita di chiunque avesse intenzione di nutrirsi dei frutti della terra o la carne di allevamento. Particolarmente a danno dei succitati e numerosissimi bambini, il cui organismo in età di sviluppo non può semplicemente continuare a compiere le trasformazioni necessarie, una volta sottoposto a simili dosi di sostanze nefaste. Nel corso di una giornata tipo di uno di questi spregiudicati lavoratori, occorrenze tipiche includono mal di testa, vertigini, dolori al petto e problemi respiratori. Al punto che molti di loro, sono più che pronti ad ammetterlo, percorrono costantemente una sorta di circolo vizioso, per cui hanno bisogno di continuare a riciclare per potersi permettere le medicine di cui hanno bisogno a seguito di tale attività. Il che dona al parallelismo dell’Inferno in Terra una certa logica materialmente apprezzabile, possibilmente, sotto gli occhi di chiunque abbia intenzione di venire a patti con la realtà. Difficilmente, da queste parti, si vedono persone al di sopra dei trent’anni di età. Traete pure le vostre conclusioni del caso.
E poiché un simile contesto, da che mondo e mondo, non è certo la base per una salubre collaborazione tra sconosciuti, la mega-discarica si è trasformata progressivamente in un covo di criminali, spacciatori, rapinatori e prostitute, dove il concetto stesso di dignità umana è più lontano dell’ipotesi stessa di una nevicata, portando ad ulteriori sofferenza e degrado. Un intero mercato nero è inoltre nato attorno ad una delle risorse maggiormente impreviste e preziose di questo contesto: le informazioni. In mezzo alla spazzatura di Agbogbloshie sono stati infatti ritrovati, in diverse occasioni, vecchi hard disk di proprietà di enti pubblici o importanti aziende private. Da cui i precedenti utilizzatori, senza troppe cerimonie, si erano limitati a cancellare il contenuto, senza probabilmente sapere che bastano pochi minuti e un software di recupero dati, per estrarre da simili oggetti informazioni personali, dati bancari e comunicazioni di tipo strettamente riservato. E dire che tutto questo, a partire dall’iniziativa benefica di rifornire l’Africa di vecchia, marcescente, largamente inutile tecnologia! Davvero, questa gente non conosce il significato del termine “riconoscenza”…
Il governo ghanese, ha partire dal 2003, ha dato inizio ad una serie di iniziative per il recupero della laguna, anche grazie al prestito ricevuto dal fondo internazionale dell’OPEC, inclusive della costruzione di impianti di smaltimento in grado di operare in condizioni migliori, l’installazione di depuratori e il contenimento dell’acqua contaminata. Il problema, tuttavia, è che l’implementazione di parte di queste iniziative non può prescindere dallo sfratto forzato delle molte centinaia di persone che vivono abusivamente all’interno del territorio della discarica, creando un’intera nuova classe di poveri destinata a filtrare nei quartieri maggiormente agiati della città. Il che ha portato, da parte dell’Amministrazione Metropolitana di Accra, alla ricerca di soluzioni meno drastiche. Allo stato attuale dei fatti, non se n’è ancora trovata nessuna.
Come molte altre iniziative internazionali, la Convezione di Basilea ha cause immediate, ma anche un punto d’origine chiaro nella mente dei suoi firmatari: l’incidente della Khian Sea, nave da carico battente bandiera Liberiana che nel 1986, trasportando 14.000 tonnellate di cenere proveniente dagli impianti di smaltimento spazzatura della città americana di Philadelphia, venne identificata mentre tentava di scaricarla impunemente presso una spiaggia dell’isola di Haiti con la qualifica di “fertilizzante”. Al che, scacciato e inseguito per un periodo di 16 mesi, il vascello ricomparve infine nello Sri Lanka, dopo aver disseminato il suo carico contaminato in Senegal, Marocco, Yugoslavia e, si ritiene con ottime basi di probabilità, anche direttamente in mare. Oggi questo non sarebbe possibile: ci sono troppi satelliti, computer e meccanismi a regolare il commercio internazionale. Eppure più il tempo passa, maggiormente la situazione fallisce nel porre le basi di un effettivo cambiamento. Poiché oggi più che mai, la spazzatura di qualcuno può essere il tesoro di qualcun altro. Ma tutte le cose di valore, una volta terminato il loro periodo di utilità evidente, hanno un prezzo di smaltimento. E un’unica, possibile destinazione: la discarica finale.