È di questi giorni la notizia di un nuovo trend, assai problematico, relativo all’ibridazione in Brasile di una nuova specie di parassita delle coltivazioni agricole, una sorta di super-bruco che potrebbe diffondersi in tutto il mondo, resistere i pesticidi e costare all’industria rilevante oltre 5 miliardi di dollari aggiuntivi, oltre alla spesa di cui si fa carico annualmente per preservare la vendibilità del raccolto. Una situazione che emerge dal recente coronamento di uno studio durato ben 8 anni, condotto dall’Ente Scientifico e Industriale del Commonwealth (CSIRO) importante istituzione di stato australiana. Il cui scopo era effettuare una mappa completa del genoma dell’Helicoverpa armigera, anche detto cotton bollworm o in Italia, Nottua del pomodoro, una falena il cui stato larvale è lungo all’incirca 12-20 mm e risulta essere tra i più voraci dell’intero ordine dei lepidotteri, partito dall’Africa per conquistare nel corso delle ultime generazioni umane l’Europa, il Sudamerica, L’Asia e persino il più nuovo dei continenti, facendo concorrenza al notorio appetito dei koala. Ciò in forza dell’impressionante proliferazione di questi insetti che può verificarsi nel giro di un mese o due, a partire da una sola femmina trasportata erroneamente in aereo, pronta deporre oltre un migliaio di uova nel corso della sua breve, ma intensa vita adulta. Alla metà degli anni ’90, un’iniziativa simile ma meno approfondita ma simile aveva permesso la creazione del batterio Bacillus thuringiensis (Bt) un agente biologico innocuo per l’uomo ma che, una volta spruzzato sulle piante attaccate dall’insetto, le rendeva estremamente tossiche per il suo organismo. Se non che in tempi recenti, grazie alla rapidità evolutiva sottintesa dal suo nome scientifico (“in armi” non è un attributo che gli scienziati concedano spesso) la stragrande maggioranza dei singoli individui di questa specie ha sviluppato una sorta d’immunità innata da questo pericolo, diventando resistenti a ogni tentativo di eliminarli con simili metodologie indirette. Ma la speranza di trovare una soluzione al problema, purtroppo, non soltanto si è dimostrata vana, ma ha aperto la strada ad una nuova terrificante scoperta: nove degli esemplari raccolti per lo studio avevano dimostrato delle singolari anomalie nel loro DNA. Finché un confronto incrociato non permise di dimostrare che cosa gli scienziati stessero effettivamente vedendo: parti di codice provenienti direttamente dal genoma di un parente prossimo, l’Helicoverpa zea o cotton earworm, bruco del cotone sudamericano. Come alcuni avevano temuto da tempo, le due specie si erano incrociate, dando origine ad una nuova tipologia di creatura.
Ora, lo scenario che si sta profilando è difficile da prevedere. Allo stato corrente dei fatti, i nuovi bruchi non dimostrerebbero capacità di moltiplicarsi in maniera particolarmente rapida, forse in funzione della minore fertilità degli ibridi in natura, per lo meno finché l’eredità genetica non si stabilizza a partire dalla terza generazione, ma è altamente probabile che la situazione possa ben presto andare incontro ad un drastico mutamento. La nuova specie potrebbe quindi risultare del tutto immune a qualsiasi tipo di sostanza o agente biochimico usato fino ad oggi, acquisendo inoltre un mix delle speciali doti di sopravvivenza appartenenti a ciascuno dei due bruchi. L’H. zea, ad esempio, ha la caratteristica di entrare occasionalmente in diapausa durante lo stato di pupa (il bozzolo) ovvero bloccare il proprio sviluppo nel corso di un periodo di siccità o potenziale minaccia alla futura riproduzione, restando pronto e in agguato nel momento in cui la situazione dovesse modificarsi. Ed è questa la ragione per cui sciami interi della sua falena, improvvisamente, ricompaiono dopo mesi di assenza, cogliendo del tutto impreparati gli agricoltori e arrecando così danni di ancor più grave entità. Mentre la sua cugina armigera, lungi dal formalizzarsi, ha la propensione a divorare i suoi stessi fratelli nel momento in cui il cibo dovesse scarseggiare, aumentando ancor prima nelle dimensioni e velocizzando ulteriormente i ritmi del proprio ciclo vitale. Ora immaginate che cosa potrebbe significare, a seguito dell’accidentale trasferta di ritorno del nuovo bruco verso il Vecchio Continente, una letterale ondata di lepidotteri invasori, in grado di scegliere l’approccio tra i due in base alle condizioni del clima e l’ambiente di nuova appartenenza! Ogni volta, ci sarebbe almeno il 50% di probabilità di scegliere la contromisura errata…
Le specie di piante soggette all’attacco da parte della famiglia dei Nottuidi, tra le più numerose nell’ordine dei Lepidotteri, sono straordinariamente numerose ed includono, oltre ai già citati pomodori e le capsule dei semi del cotone, il mais, l’asparago, il melone, il cocomero, la lattuga, i fagioli, gli spinaci, la zucca, la patata dolce e la zucchina. La questione più gravosa è inoltre come una volta mangiucchiate e danneggiate le foglie, con conseguente sofferenza e potenziale morte a lungo termine della pianta, i bruchi si spostano direttamente all’interno dei suoi frutti, scavando intricate gallerie e depositando all’interno i propri escrementi di colore giallo. Le parti colpite dei vegetali quindi spesso marciscono, diventando un potenziale portale per altre infezioni e malattie. Nel caso in cui la frutta colpita si trovi agli stati iniziali di maturazione, normalmente, la pianta può tentare di lasciarla cadere anticipatamente a terra con tutti i bruchi contenuti all’interno, ma se l’infestazione avviene in un momento più avanzato, tutto quello che può fare è subire le drammatiche conseguenze di essere letteralmente divorata dall’interno. In ogni caso, il raccolto da parte dei suoi padroni umani è destinato ad essere completamente rovinato.
Successivamente alla deposizione da parte della falena adulta, la schiusa avviene in sole 66-72 ore, dopo di che il bruco, trascorsi poco meno di tre minuti dal momento in cui è venuto al mondo, inizia immediatamente fagocitare la foglia sotto la quale era stato deposto. Il tempo necessario per il raggiungimento dello stadio di pupa può variare a seconda della quantità di cibo a disposizione, ma raramente supera i le tre-quattro settimane, durante le quali l’insetto attraversa 5 o 6 stadi di maturazione successivi. Durante questo periodo, arrecherà gravi danni alla pianta, sopratutto nelle prime fasi della sua vita. È sottinteso che il rischio di finire divorati da parte dei propri stessi simili sia un incentivo notevole a mangiare molto e rapidamente, cercando di accaparrarsi lo status di predatore all’apice della catena alimentare. In questo periodo, le larve sono straordinariamente aggressive, dimostrando la propensione ad attaccare e divorare altre specie d’insetti. Wikipedia cita in particolare lo studio di Predaceous Behavior by Helicoverpa zea (Boyd, B.M. – 2008) in cui viene narrata la terrificante maniera in cui i bruchi dell’H. zea sono soliti divorare i loro concorrenti della specie Urbanus proteus (farfalla dalle lunghe code americana). Al verificarsi dell’incontro, il vorace cotton earworm afferra la larva più piccola con le proprie possenti mandibole, iniziando a divorarla dal posteriore. Se questa tenta di ribellarsi, quindi, la ruota di 180 gradi ed affonda i denti nella sua capsula cranica, uccidendola istantaneamente. Quindi, con precisione chirurgica, ruota nuovamente il suo pasto nella posizione precedente, per continuare tranquillamente a fagocitarlo. Il che costituisce, senz’ombra di dubbio, una scorciatoia notevole verso l’ultimo stadio della sua strisciante esistenza. Completato l’eccidio, satollo e cresciuto in maniera significativa nelle dimensioni, il bruco percorre i rami ed il tronco della pianta fino a terra, dove scava un piccolo buco e si rinchiude nel suo solido bozzolo, che durerà tra i 12 e i 15 giorni. Sottoposto a una profonda mutazione cellulare e modificato nella sua stessa essenza, esso rinascerà quindi in forma volante, pronto a migrare per letterali centinaia di chilometri, se necessario, verso nuove terre da colonizzare e sottomettere alla sua spietata bandiera.
Apparirà a questo punto evidente come lo studio della CSIRO (integralmente e gratuitamente disponibile a questo indirizzo) offra l’opportunità di gettare lo sguardo verso un’indomani tutt’altro che rassicurante. Poiché l’unica fortuna che avevamo avuto, fino a questo momento, era stata l’ampia diffusione di una singola specie di Nottua in Europa, mentre l’adattamento preferibilmente tropicale dell’altra ne aveva limitato gli avvistamenti al di fuori dei climi preferibilmente di tipo di tropicale e sub-tropicale. Ma questa è una situazione che, ahimé, potrebbe cambiare fin troppo presto. Il super-bruco ha ormai abbandonato il suo posto nel reame della pura e semplice fantasia, minacciando la nostra stessa esistenza e propensione a dipendere dagli alimenti di provenienza vegetale (perché, va da se, qualora la nostra cultura ci permettesse di divorare il BRUCO…)
Ecco a voi, dunque, la più trascurate delle realtà: che la natura che ci circonda, considerata un prezioso tesoro da salvaguardare, fragile come un cristallo di vetro, è in realtà tutt’altro. E che il cucciolo di tigre o di panda, ormai privati di una pace territoriale tale da poter proliferare senza l’assistenza dell’uomo, non risulta esser in alcun modo rappresentativo dei vasti confini che definiscono l’intera questione. A partire da quel momento, spesso rimpianto, in cui l’ordine prescritto di tutte le cose è stato sovvertito, a vantaggio di una singola, intelligente, inarrestabile civilizzazione. Ma siamo davvero sicuri, che l’asse di tutte le cose si sia spostato permanentemente a nostro favore? Proprio mentre l’ultimo spazio residuo viene ricoperto da asfalto, plastica e cemento, i microrganismi sviluppano resistenza agli antibiotici, e i bruchi si combinano in nuove specie abbastanza affamate da divorare il mondo. La ruota delle Ere, ancora una volta, sembra aver completato la sua rotazione. Ed appare molto difficile, a questo punto, che qualcuno possa riuscire a riportarla indietro.