La nozione generalmente acquisita, per un ampio catalogo di ragioni, è che ci voglia del coraggio per protestare in Russia. Ma ci sono determinati tipi di proteste che, indipendentemente dal contesto geografico, ne richiedono di più. O quanto meno, sottintendono che gli autori possano prescindere da un determinato tipo di timore ancestrale, quello per per i luoghi alti e pericolanti, dove il vento soffia ferocemente e la temperatura sembra abbassarsi per prepararti alla transizione verso un diverso livello della (non)esistenza. Il 23 marzo alle 4:45 di mattina, 11 attivisti si sono intrufolati oltre l’alta recinzione edificata dalla società Magnitogorsk “Lavori Speciali Esplosivi” eludendo alcune guardie di sicurezza, prima di guadagnarsi l’accesso per la loro via d’accesso alle cronache cittadine, per molte generazioni a venire. Trovando a quel punto, come ben sapevano, l’unica porta per la prima volta aperta, nella storia recente della città di Ekaterinburg, hanno iniziato la lunga salita della scalinata di cemento, originariamente facente specchio a quella esterna di metallo, ormai rimossa da tempo. Un giro dopo l’altro, l’aria si faceva sempre più fredda, mentre la luce sembrava arricchirsi di una tonalità insolita e surreale. Nel giro di alcuni minuti, superato l’anello di calcestruzzo inferiore, i temerari avevano raggiunto il tronco centrale, dotato di numerose finestre che dovevano offrire, nelle intenzioni dei costruttori originari, maestose vedute panoramiche della città. Mentre adesso prive di vetro, sibilando furiosamente per effetto delle correnti d’aria, respingevano ogni possibile desiderio di affacciarsi, per scattare delle eventuali foto. Il tempo continuava a correre e così facevano loro, su per le scale annerite dalle infiltrazioni d’umidità, fino al trascorrere di un’intera mezz’ora. Di certo, originariamente doveva essere stato previsto un ascensore, pensarono alcuni di loro. Finché una coppia di loro, poi 5, ed infine 9 decisero di aver fatto abbastanza. Le mani poggiate sulle cosce, il respiro affannoso e le orecchie tese a sentire la Guardia di Stato, che gridando avvertimenti intimava l’immediata resa, con uno sguardo rivolto ai loro compagni più giovani e aitanti che sembrava dire: “Andate avanti, li tratteniamo noi.” Ed infine, l’esaltazione di un brivido momentaneo. Di coloro che raggiunta la cima del cosiddetto “tubo di cemento” hanno aperto la botola verticale semi-saldata dal ghiaccio, per emergere, le braccia spalancate verso il cielo, sul tetto apparente del mondo: 220 metri di torre, sormontati da un’ulteriore struttura di metallo barcollante. La cima della futura casa della Tv nell’intera regione di Sverdlovsk, costruita a partire dal 1986 e mai portata a compimento, per una serie di piccoli contrattempi tra cui il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Trattenendo per alcuni istanti il respiro, quindi, i tre della protesta si diedero vicendevolmente la mano. Quindi il capo de-facto dell’intera operazione, una volta indossati gli occhiali da aviatore che portava sulla fronte, controllò brevemente le cinghie del suo grosso zaino. All’interno del quale c’era, inutile dirlo, lo strumento principe di un base jumper: il paracadute.
Cadere verso il parco distante di Ulitsa Dekabristov, l’ombra della torre che indica la direzione come l’asse di una meridiana. Volare ben consapevoli, che al momento dell’atterraggio tutto quello che ci sarà ad aspettarti è l’arresto, una multa salata e potenzialmente, qualche giorno oppure settimana d’incarceramento. Ci vuole davvero un’ottima ragione per affrontare un simile futuro e del resto, non credete che un vero francese sarebbe disposto a farlo, per proteggere l’esistenza del grandioso simbolo di Gustave Eiffel? Certo, ad un critico d’architettura potrebbe sembrare piuttosto discutibile. Che a qualcuno venga in mente di paragonare gli aggraziati archi parabolici dettati dal gusto per l’eleganza e l’estetica naturalista, riconoscibili come un fantastico logo, alla rovina brutalista di un’epoca ormai trascorsa, completamente inutile al benessere della sua città. Eppure in questo luogo al confine tra Europa ed Asia, dove esattamente 100 anni fa venne fucilata dai bolscevichi l’intera famiglia degli zar Romanov, 63 anni prima che proprio qui fossero fatti santi, la gente sembra affezionarsi alla propria storia. E considerarla ancor più importante, quando tutte le decisioni sembrano essere prese dall’alto, senza la possibilità di istituire raccolte di firme o influenzare il governo con dei referendum. Secondo la visione gerarchica tipica del paese più grande del mondo, che in assenza di una ferrea centralizzazione del potere, non potrebbe neppure lontanamente aspirare a mantenere la sua identità nazionale.
Un gesto di disturbo, eppure ricco del fascino di chi crede nelle proprie idee, persino poetico, a suo modo. Gli altri due attivisti, rimasti per 9 ore sulla torre nella speranza di ritardare la demolizione, dopo aver esposto una gigantesca bandiera russa, sono infine dovuti scendere, per il freddo e la fame. Ma a quel punto, circa 2.000 persone tra cui lo stesso sindaco li aspettavano al livello del suolo, dietro i picchetti della polizia, congratulandosi per il loro coraggio e quello che erano riusciti a fare. Nella vana speranza che per una volta, il popolo fosse riuscito ad influenzare direttamente il proprio destino…
Fu un breve trionfo, come potete facilmente desumere dal video di apertura. Poiché il 24 marzo alle ore 9:14, di fronte allo sguardo soddisfatto del governatore Eugene Kuivashev che aveva precedentemente affermato alla radio “Nessuno pensa davvero che la città abbia bisogno di un tale simbolo” la torre è prevedibilmente saltata in aria. Scivolando dapprima lievemente di lato, poi frantumandosi a terra e adagiandosi, lievemente, nella direzione preposta con un’energia calcolata equivalente a quella di “5-10 tonnellate di TNT”. Più volte era stato rimandato questo momento, per effettuare più volte tutte le simulazioni del caso, deviare il corso di alcuni tram cittadini e soprattutto premurarsi che i detriti non potessero impattare sui luoghi di pregio situati nei dintorni, tra cui l’edificio modernista del circo cittadino, il museo storico “Russia – la mia storia”, un palazzo di uffici di 23 piani, una sinagoga e una villa del XIX secolo appartenuta a ricchi sostenitori della rivolta dei decabristi (dicembre del 1825). Ma nonostante le apparenze, tutto è sembrato svolgersi per il meglio. Fatta eccezione per il danno arrecato al cuore e la memoria delle persone.
È di certo una strana dinamica sentimentale, questa tendenza ad affezionarsi ad un qualcosa che non ha mai raggiunto il suo scopo d’utilizzo, è stato eretto e poi dimenticato, palesemente e drammaticamente incompleto. Finché lo stato inevitabile di abbandono non l’ha portato a costituire un pericolo, ingiustamente ignorato, per tutti coloro che casualmente potessero transitare al di sotto della sua ombra. Senza parlare dei numerosi tentativi di accesso abusivo ed almeno un paio di suicidi, che avevano portato alla letterale saldatura della porta metallica di ingresso, rimasta sigillata per anni. Eppure c’era stato un periodo in cui persino le autorità governative, colpite dalla rilevanza che un simile edificio aveva assunto nell’immagine popolare cittadina, avevano indotto un concorso per la riqualificazione della torre. Che aveva incluso, tra le diverse proposte pervenute, la partecipazione di aziende private in grado di proporre la più svariata quantità di idee, tra cui quella di farne un ufficio del registro, un centro turistico completo di negozi o persino un cinema, benché la logistica di tale impiego appaia decisamente poco evidente. Uno dei progetti favoriti, giunto dallo studio di architetti Ptarh and Partners, aveva addirittura pensato di farne un’avveniristica cattedrale ortodossa dotata di svettante campanile, con una forma simile a quella di una conchiglia dei fondali oceanici tropicali. La successiva mancanza di fondi, soprattutto in seguito alla crisi finanziaria del 2008, impedì tuttavia di procedere al varo di qualsivoglia ipotesi di rinnovamento, rimandando la risoluzione del problema all’amministrazione cittadina. C’è un altro luogo comune relativo al sentire russo, che subordina qualsiasi grande opera pubblica alla percezione di urgenza, man mano che si avvicina il giorno percepito come un fondamentale “evento”. Ed ancora una volta, proprio questo sembra aver indotto all’azione i demolitori di Ekaterinburg, in funzione dei sempre più prossimi mondiali FIFA di quest’estate, entro l’inizio dei quali, al posto della vecchia torre dovrà essere edificato uno stadio da hockey. Non propriamente destinato allo scopo principale, ma comunque connesso all’idea di una città che si libera dei vecchi scheletri, spalancando gli armadi e la stessa porta di casa alle cognizioni estetiche e funzionali del nuovo millennio. Altri progetti di rinnovamento, nel frattempo, sembrano cercare idealmente un punto di contatto con epoche ormai trascorse;
La protesta della torre, in effetti, non è stata l’unica a scuotere la città di Ekaterinburg in questo periodo già delicato per le elezioni putiniane, costituendo piuttosto il culmine di un lungo periodo di nervosismo, assieme ai moti contrari alla costruzione di una nuova chiesa dedicata a Santa Ekaterina su un’isola artificiale, proprio nel mezzo del principale laghetto della città. Il tutto, per restituire alla metropoli niente meno che l’omonima cattedrale che fu fatta saltare in aria negli anni ’30, eppure nell’opinione di alcuni abitanti, con secondi fini di tipo politico e poca attenzione agli effettivi desideri delle persone. Una strada già percorsa nel 2010, portando a una protesta di 5.000 persone e il successivo abbandono temporaneo del progetto, per andare incontro nuovamente alla stessa ostilità nel 2017, culminante con 1.500 attivisti che hanno figurativamente “abbracciato” il lago, stringendosi vicendevolmente la mano. Ma ancora una volta, il più grande problema per l’attuazione del progetto sembrerebbe essere la mera mancanza di fondi, in assenza di un obiettivo comune simile a quello di olimpiadi, grandi fiere o mondiali di calcio. Alcuni siti riportano, a tal proposito, la nuova ricerca da parte dei funzionari religiosi di nuovo supporto da parte del settore privato.
“O la torre, o la morte!” gridò un tempo qualcuno, sebbene da queste parti l’idea sembrerebbe svilupparsi maggiormente sulla falsariga di: “La torre è morta, lunga vita ai desideri futuri della Città.” Ma chi dovrebbe realmente rappresentare, questo agglomerato di ferro e cemento, la manifestazione del desiderio di aggregazione delle persone, dotato di una forma urbanistica nel 1723 e diventato famoso, in seguito, per la valenza strategica della sua industria pesante? Lo stato ed il popolo? Lo stato per il popolo? O il popolo per lo stato? Nella risposta a questa impossibile domanda, assai probabilmente, sarebbe possibile trovare l’interpretazione stessa del concetto di una Russia realmente connessa ai suoi trascorsi ed ai meriti dell’indomani. Peccato che per giungere a una simile conclusione, in ultima analisi, sarà necessario percorrere un strada irta e disseminata di possibili deviazioni.