La tipica frase sussurrata ad alta voce nella stanza per soli uomini del Guns Club di Austin, di fronte al caminetto decorato col cranio di bucefalo in cui arde il fuoco artificiale alimentato i gas, riscaldando i piedi poggiati sulla pregevole pelle d’orso. Un tavolo di legno d’ebano a cui siede l’uomo che fuma la pipa, le mani incrociate, il mento poggiato sopra di esse: “Del resto, tutti rammentiamo quello che disse…L’ammiraglio Tojo al culmine della seconda guerra mondiale.” L’industriale texano seduto di fronte a lui annuì vistosamente, battendo lievemente il sigaro sul bordo del posacenere a forma di pallottola gigante: “Oooh, si…” Emettendo la prima parte della sua riposta, con un’evidente piacere quasi viscerale ma interrompendosi per meditare “…Certo che ci ricordiamo…” continuarono allora all’unisono i due veterani della guerra in Iraq con le barbe gemelle, pensionati anticipatamente per i grandi servizi resi al paese “Sarebbe impossibile invadere gli Stati Uniti d’America, perché troveremmo…” Ora tutti sorridevano con un ghigno tirato e le sopracciglia alzate, mentre i pugni si sollevavano per dare enfasi all’enunciazione finale: “…Un fucile dietro ogni filo d’erba!” Frase più o meno veritiera, considerata, sostanzialmente, un’evoluzione della più desueta: “Se lasciassimo da parte le nostre armi, il re d’Inghilterra potrebbe venire a riprendersi le sue colonie!” Tale da costituire una sorta di mantra per gli amanti del secondo emendamento della costituzione americana. Sicuramente, l’aspetto comparativo fa una certa impressione al giorno d’oggi, laddove rispetto alla nostra pacifico “Repubblica fondata sul lavoro”, qui si parla di vera e propria “milizia dei cittadini” con l’incarico e il dovere di protegge lo Stato. Di contro, all’epoca di una guerra totale e duratura nel tempo, tutto questo doveva assumere una logica significativamente più chiara.
E immaginate voi, la terribile, profondissima frustrazione. Di certo avrà avuto un ruolo, nel filo logico di quanto segue. Problema: siamo nel 1942, due anni prima che l’epocale operazione dello sbarco in Normandia potesse essere concepita e messa in pratica dallo stato maggiore di quel paese. L’Europa occidentale è stata completamente “conquistata” dalle truppe tedesche, che ne controllano con pugno di ferro le risorse avendola disseminata di posti di guardia, basi e distaccamenti d’occupazione. Ma poiché, diversamente da una partita a Risiko, la storia c’insegna che più un popolo viene oppresso, maggiormente nasce in esso un sentimento di ribellione (funziona anche per i singoli individui!) oltre i confini saldamente controllati operano cellule isolate di coraggiosi guerriglieri, disposti a rischiare la vita per rallentare di poco l’avanzata della macchina bellica nazista. Ma sono pochi, per varie ragioni. Una di queste, è la comprensibile, prevedibile mancanza di mezzi e munizioni. Domanda relativa al problema: che cosa poteva fare l’America per aiutarli? Una volta sottoposta più volte la questione agli organi istituzionali di pianificazione bellica, nonché al neonato OSS, ovvero il servizio segreto destinato un giorno a diventare la CIA, il think tank dei pensatori per le strategie non convenzionali ottenne alla fine una risposta dal più inaspettato degli enti: il misterioso JPWC (Joint Psychological Warfare Committee) un comitato preposto alla destabilizzazione delle operazioni nemiche tramite l’impiego su larga scala di tattiche concepite per danneggiare il morale. E non credo che esiteremmo a definire in tal modo quanto segue: la soluzione. Paracadutare nel territorio occupato esattamente 1.000.000 (un Milione) di pistole. Talmente tante che neppure una perquisizione accurata del territorio avrebbe permesso all’odiato crucco di sequestrarle tutte. Una quantità tanto elevata da permettere, in maniera finalmente letterale, di immaginare un guerrigliero nascosto all’interno di ciascun singolo cespuglio. Un’idea eccezionale sulla carta che tuttavia generò… Non pochi grattacapi. Rivelandosi, alla fine, decisamente poco pratica da tradurre in gesti.
Ciò detto, resta innegabile il fatto che almeno la prima parte dei calcoli fosse stata effettuata in maniera eccellente. Per progettare l’arma in questione fu chiamato niente meno che George Hyde, l’inventore di numerose mitragliette tra cui la leggendaria M3 “Grease Gun” dal calibro .45, pensata per affiancare la storica Thompson e destinata a rimanere in uso bellico attivo almeno fino alla metà degli anni ’60. Esso concepì, per l’esigenza in questione, un tipo di pistola che nessuno aveva mai visto prima, costruita quasi interamente in lamiera stampata, con l’unica eccezione del percussore, ricavato da una semplice fusione. L’oggetto era costituito di soli 20 componenti, tutti facilmente fabbricabili in qualsiasi stabilimento metallurgico, con estrema rapidità e un costo unitario stimato non superiore ai 3 dollari. Uno slogano ripetuto nelle alte sfere al corrente dell’operazione, in effetti, iniziò ad essere: “Riusciremo ad armare 3 milioni di europei al costo di un singola corazzata.” La natura volatile delle navi da guerra, soggette ad affondare anche nel corso del primo o secondo utilizzo in battaglia, aiutava a mettere in prospettiva il parametro di rischio-ricompensa. Tutto questo, ad ogni modo, non tardò a convincere chi di dovere, facendo trasferire i progetti presso la divisione della General Motors con sede a Dayton, nell’Ohio, con il nome in codice di FP-45 Liberator, in cui le iniziali dovevano stare per “Flare Pistol” (pistola per razzi da segnalazione) a tal punto, la JWPC aveva deciso di tenere in considerazione il ruolo fondamentale della segretezza…
Nota: nel video di apertura, Ian del fantastico canale Forgotten Weapons mostra un esemplare di FP-45 che stava per essere messo all’asta. Simili pistole sono oggi piuttosto rare, e vengono facilmente valutate tra i 2 e i 3.000 dollari abbondanti.
Fu dunque deciso che i singoli componenti dovessero portare un nome di riferimento poco evidente, affinché un eventuale spia in ascolto non potesse comprendere cosa stavano producendo in quella fabbrica: ad esempio il grilletto fu chiamato “cloche” mentre il meccanismo di sparo era una “barra di controllo”. Per la costruzione del singolo pezzo più complesso, ovvero la canna, fu quindi coinvolta una fabbrica di frigoriferi a Dayton, i cui impiegati sapevano soltanto di dover consegnare un alto numero di corti tubi particolarmente resistenti. tali elementi, per ovvie ragioni, non potevano essere rigati, il che avrebbe limitato notevolmente la precisione della pistola. L’assemblaggio finale, quindi, fu portato a termine da 300 operai della General Motors, che lavorarono per un periodo di 11 settimane, arrivando, infine, all’agognato numero di un milione di pistole.
Ora potreste pensare, in un’operazione di questo tipo, che la quantità fosse stata anteposta alla qualità del prodotto finale. E questo è sicuramente vero sotto molti punti di vista: del resto, simili armi non erano state concepite per l’impiego da parte delle proprie stesse forze armate, bensì come “ultima risorsa” di un popolo sottomesso e comprensibilmente rabbioso. Nell’idea dei cervelloni della JWPC, il tipico guerrigliero avrebbe raccolto e nascosto la Liberator, per poi aspettare il suo momento ed uccidere un soldato tedesco, sottraendogli un implemento bellico dall’efficienza decisamente superiore. A patto di avere, tra l’altro, fortuna oppure un’ottima mira. Questo perché, al fine di semplificare al massimo l’aspetto progettuale, la pistola era in effetti un dispositivo in grado di sparare una volta sola, prima di dover manualmente ruotare il cane di lato, sollevare il pannello di chiusura posteriore, estrarre il bossolo con un bastoncino e inserire il colpo successivo. Non proprio quello che avrebbe potuto condurre ad ottimi risultati nel corso di uno scontro a fuoco. A meno, s’intende, di far parte di un’operazione congiunta di 30, 40 guerriglieri, ciascuno di essi armati di uno di questi piccoli archibugi. C’erano, tuttavia, anche degli elementi di pianificazione molto ingegnosi a margine di tutto questo. Ciascuna Liberator sarebbe stata infatti sganciata dai bombardieri in territorio nemico in una scatola cerata con dieci proiettili e soltanto quelli, assieme ad una sorta di fumetto esplicativo con la spiegazione d’utilizzo dell’arma. Lo stesso impiego di munizioni .45, all’epoca della guerra quasi del tutto sconosciute in Germania, avrebbe impedito a un nemico eventualmente vittorioso sulla Resistenza di poter impiegare a lungo simili implementi contro i suoi stessi costruttori particolarmente a lungo. Sempre che dovesse ritrovarsi talmente disperato da pensare di farlo.
La parte produttiva, dunque, fu prontamente assolta conducendo a un prodotto finale che poteva vantare, quanto meno, un ragionevole grado di efficienza. Ciò che restava era l’aspetto logistico, a cui fondamentalmente, nessuno aveva realmente davvero pensato a fondo. Ciò fu immediatamente chiaro nel momento in cui s’iniziarono a spostare le pistole: 1 milione di scatole è un numero veramente elevato, al punto da richiedere una quantità stimata sulle 100, 120 carrozze ferroviarie. L’allora generale a cinque stelle Eisenhower, destinato a diventare il 34° presidente degli Stati Uniti nel futuro 1953, fu immediatamente contrario all’idea nel momento in cui venne messo al corrente, inducendo l’operazione congiunta delle diverse agenzie coinvolte a rivolgersi agli inglesi, cui furono consegnate, volenti o nolenti, esattamente 500.000 pistole. Le quali, disseminate nei vari depositi di munizioni britannici, restarono lì molto a lungo, mentre si pensava ad un modo per attuare l’ambizioso piano della JWPC. Il problema, in effetti, è che un bombardiere di quell’epoca non poteva trasportare sopra la Francia più di 600 pistole alla volta, a patto di avere sufficiente carburante e lasciare a terra fino all’ultima bomba. La completa distribuzione dell’arsenale avrebbe quindi comportato una quantità di risorse e pericoli assolutamente non trascurabili, per un ritorno strategico difficile da misurare. Ben presto, lo Stato Maggiore Inglese comunicò agli americani di non voler più ricevere altre pistole. Portando l’OSS ad immaginare nuove destinazioni per le 500.000 restanti. Le quali furono consegnate con calma, negli anni successivi, a regioni asiatiche come il Vietnam e le Filippine, dove furono limitatamente usate dalle rispettive organizzazioni paramilitari ed in seguito, le forze di polizia. L’idea di paracadutarle direttamente sul territorio tuttavia, a quanto ne sappiamo, non trovò mai modo di essere realizzata su larga scala, come originariamente pianificato.
In tempi più recenti, il nome FP Liberator è comparso nuovamente nei notiziari, associato ad un nuovo tipo di arma: quella costruita in materiali plastici e con l’aiuto delle stampanti 3D. Strumento d’offesa per un uso limitato nel tempo, come l’antica pistola della seconda guerra mondiale, eppure capace di suscitare non poca inquietudine, per la sua ipotizzata capacità di superare i metal detector all’aeroporto. Vero simbolo della democrazia americana, essa potrebbe un giorno fare la sua comparsa in tutte le case, rendendo letteralmente impossibile tracciare i movimenti dei suoi utilizzatori. Ma potrà mai portare niente di buono il concetto di un’arma popolare, prima ancora che un’arma del popolo, nata dall’alta tecnologia industriale eppure pensata per costare poco ed essere usata in situazioni quasi del tutto disperate? Quanta onestà intellettuale poteva davvero esserci, già allora, nel tentare di armare una popolazione di civili privi di addestramento, con uno strumento drammaticamente inefficiente, soltanto per dare uno sfogo al loro comprensibile desiderio di ribellione… In una situazione di guerra ed occupazione protratta nel tempo, è indubbio che le truppe d’irregolari possano guadagnarsi uno scenario di primo piano nel panorama tattico, benché a un costo estremamente elevato in termini di sofferenza e di vite umane.
Ma forse la verità, in ultima analisi è questa: per poter costituire una vera e propria milizia civile, efficiente al 100% come nell’incerta citazione, occorre in primo luogo che gente ritrovi la capacità di elaborare e mettere a frutto l’animalesco desiderio di annientamento, senza una gerarchia in grado di suddividere le responsabilità. Violenza pura ed uccisione assoluta. La dura legge della giungla, applicata fino alle sue più estreme conseguenze. E quale popolo potrebbe mai dire, indipendentemente dalla quantità di fili d’erba a disposizione, di possedere una simile inclinazione all’assassinio! A parte quello di Internet, s’intende.