Prendete per un attimo in considerazione, se vi va, la difficile esistenza del bonsai giapponese. Alberello costretto a crescere in maniera limitata, per l’effetto delle attente manipolazioni del giardiniere, e talvolta portato ad assumere forme completamente fuori dalle aspettative comuni: diagonali, orizzontali, ad angolo, con rami contorti che s’intrecciano e annodano tra di loro… Quale impossibile, o almeno improbabile alterazione della strada più semplice preferita dalla natura! Eppure, vi sono dei luoghi. In cui persino in forza di un tale preconcetto, per l’effetto delle semplici forze che ci condizionano tutti allo stesso modo, qualcosa di simile può avvenire. Su una scala decisamente diversa. Si tratta dello spettacolo di una terra che ci ha chiesto con insistenza, attraverso gli anni, di essere visitata in prima persona…
Sette isole, nient’altro che questo, fatta eccezione per la collezione di scogli ed altre piccole rocce emerse, a largo nel mare Atlantico, non troppo distanti dagli estremi confini del deserto del Sahara. Ed una in particolare, tra queste: El Hierro, la terra (dai monti composti di) pietra e ferro. Nota fin dal tempo degli antichi per gli affioramenti di preziosi minerali, dovuti alla forte attività vulcanica pregressa, e relativamente recente, di questa intera regione. Ma anche per il fatto stesso che il geografo ed astronomo Tolomeo, già nel secondo secolo d.C, l’avesse identificata come punto in cui far passare il meridiano 0 dello sferoide terrestre, una soluzione scelta a durare nel tempo poiché consentiva di avere coordinate numericamente positive per l’intero continente europeo. Stiamo parlando, per intenderci, della più occidentale di tutte le Canarie, facenti ufficiosamente parte del territorio spagnolo fin dalla spedizione di Jean de Béthencourt del 1402, che sottomise e fece vendere come schiavi molti rappresentanti delle popolazioni aborigene locali. Incluse le pacifiche tribù dei Bimbache, abitanti del più remoto dei luoghi, abituati a vivere con un’economia di sussistenza sotto l’egida legale della famiglia del loro re. Il cui stesso fratello, secondo una leggenda, si alleò e fece da interprete ai coloni europei, velocizzando un processo comunque inesorabile della storia. Fu pressoché allora che, per la prima volta, gli spagnoli notarono un importante presagio sulle coste dell’isola: un’intera foresta che pareva inchinarsi, come il suo popolo, alla maestà di Enrico III di Castiglia, andando contro la loro stessa natura di arbusti con cento e più anni di età.
Sarebbe in effetti possibile affermare, senza deviare eccessivamente dalla verità dei fatti, che la terra di El Hierro sia stata creata e venga costantemente resa abitabile per l’effetto dei venti. I possenti Alisei provenienti dal nord-est, capaci di trasportare l’umidità che permette l’esistenza di una biosfera accogliente, in questo luogo piuttosto secco a causa della sua natura geologicamente vulcanica e piuttosto recente, per non parlare della latitudine quasi perfettamente corrispondente alla linea di demarcazione del Tropico del Cancro. Correnti d’aria senza tregua capaci di formare la condensa che grava sull’isola, nelle mattine d’inverno, carica di nebbia vivificatrice, ma anche di colpire con forza le zone più esposte del territorio, causando modifiche importanti al loro aspetto passato, presente e futuro. Come nel caso del famoso Sabinar della Dehesa, ovvero per usare una terminologia italiano, il ginepraio della vasta pianura erbosa della parte nord-est del triangolo formato da El Hierro, i cui principali abitanti vegetali, costituiti da piante appartenenti alla specie dei ginepri fenici (Juniperus phoenicea) sembrano emergere dal terreno per molto meno dei 5-8 metri che normalmente li caratterizzano. Questo perché si trovano sviluppati, in maniera marcatamente atipica, lungo un senso per lo più orizzontale. Per chi dovesse osservare un simile spettacolo con un occhio aperto alle ipotesi più sfrenate, potrebbe persino sembrare che l’intero gruppo di alberi si sia addormentato in un singolo magico momento, per effetto dell’incantesimo di uno stregone o ninfa, restando in attesa della prossima rotazione della grande ruota delle Ere. Dal punto di vista biologico tuttavia non si tratta di un miracolo, bensì di un esempi da manuale di plasticità fenotipica, ovvero la capacità di un organismo di adattarsi ai fattori ambientali, senza perdere necessariamente i tratti evolutivi acquisiti in precedenza. Il che significa che questi alberi sono si, dei ginepri e tutti gli effetti, ma anche delle creature completamente diverse dai loro simili continentali, il cui legno si è fatto flessibile e i processi di distribuzione della linfa non devono più contrastare la forza di gravità. Qualcosa che sembra, contrariamente alle aspettative, aver migliorato le loro condizioni di salute, visto il rigoglio esibito nonostante una metà abbondante della loro chioma, per inevitabile della loro posizione, finisca per crescere senza mai poter ricevere direttamente la luce del sole. Con un’esibizione di tenacia che sembrava riprendere quella degli antichi abitanti locali, capaci di istituire strutture sociali complesse in un luogo in cui la natura era stata tutto fuorché clemente, consentendo principalmente il solo allevamento degli animali, alla base di un’economia di baratto che venne completamente distrutta dall’arrivo degli spagnoli….
Eppure indipendentemente dal trono di colui verso cui sembravano inchinarsi ADESSO, i ginepri di El Hierro avevano assistito attraverso i secoli, in precedenza, i desideri degli indigeni Bimbache, che si servivano del loro legno per la costruzione di attrezzi, elementi architettonici ed armi. Costruendovi, inoltre, le bare usate nel corso dei loro rituali funebri, condotti sotto lo sguardo attento degli Dei Eraorahan (maschio) Moneiba (femmina) e Aranfaybo (il principio demoniaco). In funzione del duro legno di questa specie vegetale, perfettamente adattata a vivere in regioni con precipitazioni annue di meno di 200 mm, nonostante un sistema di radici relativamente poco estese. Il ginepro feniceo è una pianta per lo più monoica, ovvero in grado di assolvere alla funzione di entrambi i sessi, benché esistano dei singoli esemplari, più rari, la cui natura è invece diploica. Risultando incapaci quindi di mescolare il proprio materiale genetico con esemplari dello stesso genere, per quanto il loro polline possa esservi trasportato dal vento. Esteriormente e in condizioni normali, si tratta di un arbusto piuttosto resinoso dalla forma marcatamente conica, simile ad un cipresso, con corteccia di color marrone-grigiastro o bruno-rossastro, con piccoli frutti carnosi simili a bacche, chiamati talvolta gioie, usati con successo nella preparazione di liquori ed oli essenziali. Il principale metodo di propagazione dei semi risulta essere il volo degli uccelli e in particolare dei corvi, che sembrano andare letteralmente ghiotti di questa pietanza raramente consumata in maniera diretta dai loro vicini umani.
È importante notare che la sua crescita in zone costiere particolarmente importanti per gli insediamenti nell’intera area in cui è solito crescere, il ginepro è andato spesso incontro a forti deforestazioni, ragione per cui le riserve come quella della Sabinar di El Hierro costituiscono una pregevole scatola temporale, capace di offrire un’approssimazione visibile di come dovevano presentarsi, alle origini, le coste d’Africa e di Spagna. Anche per questo, in epoca moderna questi alberi di Juniperus phoenicea sono diventati un importante simbolo dell’intero arcipelago delle Canarie, comparendo anche sullo stemma ufficiale e venendo spesso elencati assieme ad un altro pregevole quanto esclusiva esistenza naturale di questi luoghi, la lucertola gigante Gallotia simonyi, notevole rettile della lunghezza di 60 cm circa, un tempo cacciato in maniera sostenibile dagli indigeni. Ma successivamente all’arrivo degli spagnoli, letteralmente sterminato per l’introduzione dei gatti, cani e topi, che ne scacciarono la sparuta popolazione residua fino ai più remoti monti dell’entroterra, presso cui, per lungo tempo, l’animale scomparve venendo ritenuto completamente estinto. Finché nel 1974, per un semplice caso, l’erpetologo amatoriale tedesco Werner Bings non riuscì a ritrovare una popolazione endemica residua, che venne immediatamente inserita come specie a “rischio critico” nell’indice rosso dello IUCN. Oggi la singolare creatura, accudita e mantenuta al sicuro all’interno di un istituto con sede addizionale presso la vicina isola della Gomera, viene fatto riprodurre in condizioni sicure ed ha dimostrato la capacità di aumentare la sua popolazione residua. La reintroduzione nell’ambiente naturale, tuttavia, si sta rivelando difficile, soprattutto perché gli abitanti locali hanno smesso di controllare la popolazione dei gatti domestici e ferali a partire dal 2002.
Condizioni estreme che danno vita ad effetti precedentemente del tutto inesplorati. È quindi possibile, per un albero come il ginepro, scegliere di abbandonarsi al flusso delle cose e sopravvivere, nonostante tutto, in posizione perpendicolare alla normalità presunta. Si può realmente affermare, allora, che la stessa natura del bonsai sia null’altro che l’adattamento fenotipico al più possente dei fattori ambientali, il volere imprescindibile dell’artista/giardiniere?
Come i colonialisti spagnoli sulle serene popolazioni indigene delle Canarie, così abbiamo agito tutti, attraverso la storia, per imporre il nesso del nostro volere sulle cose o creature pre-esistenti. Creando un’immagine ulteriore dai meriti non propriamente oggettivi. E se prendiamo in considerazione che in ultima analisi, questa è la stessa cosa che fanno il vento e le maree… Possiamo ancora fare affidamento sulla rassicurante, ma inesatta, suddivisione tra uomo e natura?