Visto da lontano, l’ambiente del vicinato era tranquillo, regolare ed ordinato. Questo è un problema tipico dei regimi di tipo totalitario: nessuno si accorge del danno che arrecano, finché non è troppo tardi per farne immediatamente a meno. Questo quanto potrebbero affermare, e ciò che probabilmente pensano, molti degli involontari soggetti delle HOA, le temutissime Homehowner’s Associations, enti preposti alla regolamentazione del codice comportamentale dei proprietari di case, una presenza tipica dei sobborghi statunitensi. Dozzine su dozzine di accattivanti villette a schiera, il prato verdeggiante, i cespugli ordinati, le facciate linde e pinte delle case, ciascuna rigorosamente priva di sbarre alle finestre. Guai, a chi dovesse deviare dalla norma convenzionale! Qui da noi, esiste un detto: “Se non sopporti la convivenza forzata di un condominio, vai a vivere in un villino.” Ed è singolare che proprio nella Terra dei Liberi dalla bandiera punteggiata di stelle, con le aquile testabianca che pattugliano le coste del continente, tale assioma cessi spesso di avere un significato, laddove la nebulosa presenza di un’autorità imposta dall’alto può farti la multa, perché non hai usato con perizia il tagliaerba, hai messo la spazzatura fuori nell’ora sbagliata oppure il cane di famiglia ha osato defecare nel (tuo) giardino… Almeno che tu non sia un avvocato. Colui che mastica la legge, assecondando la causa dei giusti o i malvagi e talvolta, occupandosi di se stesso. E chiunque la pensi esattamente come lui. Un vero e proprio credo, per gli antenati che scelsero di vivere nello stato triangolare che prende il nome di Texas, dove una pistola fumante, notoriamente, non si rifiuta a nessuno. Un istinto battagliero che si rispecchia nell’operato di gente come Tony Buzbee, titolare dell’omonimo studio legale, abbastanza grande da avere un articolo su Wikipedia, avendo anche rappresentato entità governative come lo stato della Louisiana o il regno di Spagna.
Qualcuno che non vorresti, normalmente, aver contro, ma anche una persona che, in forza di un background di famiglia e una passata carriera militare nei marine, culminante con il conseguimento della Medaglia Commemorativa della Marina, può un giorno decidere di avere 347.200 euro da spendere in Francia, per acquistare un carro armato M4A4 Sherman pienamente funzionante, da importare negli Stati Uniti e dinnanzi alla sua umile magione multi-milionaria, proprio nel suo isolato di River Oaks, una delle zone più ricche e privilegiate dell’intera Houston, capoluogo di contea. Una questione che ha le sue radici verso la fine del 2016, epoca dell’acquisto, ma che raggiunse il punto di rottura nel settembre del 2017, quando finalmente il veicolo proveniente fu scaricato dalla nave cargo e trasportato, nonostante le sue agevoli 35 tonnellate, fino al domicilio dell’entusiastico nuovo proprietario, dinnanzi a gli obiettivi di svariate Tv locali. Storia… conclusa, quindi? Non proprio. Questo perché nonostante l’ente stradale cittadino e la polizia avessero dato a Mr. Buzbee istruzioni precise su dove far collocare il corazzato, fornendogli addirittura dei coni da parcheggio di riferimento, altrettanto non aveva fatto la HOA, con conseguente immediata preparazione alla guerra. Ora, da un certo punto di vista, l’iniziativa in questione può anche essere giustificata. Ciò in quanto il veicolo in questione, per mere esigenze logistiche, si trovava effettivamente sul suolo pubblico, dove potrebbe ipoteticamente arrecare disturbo al transito degli automobilisti. O meglio, potrebbe farlo se non si trattasse di una strada a quattro corsie per di più leggermente trafficata, dove l’unico rallentamento la gente tendeva a rallentare, più che altro, soltanto per dare uno sguardo più da vicino al carro armato. Non che questo abbia impedito, ai possenti tutori dell’ordine e del decoro, di far scrivere una lettera al proprietario, in cui si citavano soltanto problematiche di tipo generico, tra cui “la sicurezza” e “la preoccupazione dei vicini”. Quasi come se il facoltoso avvocato, anche ignorando il fatto che il veicolo fosse stato reso incapace di sparare, potesse un giorno scegliere di cambiare carriera, mettendosi a fare il carrista per le strade silenziose di River Oaks. Così che lui, con tipica indole litigiosa degli stati del Sud, dichiarò orgogliosamente ai microfoni: “Avevo intenzione di far togliere il carro armato entro lunedì prossimo, per iniziare il trasporto verso il mio ranch a Texarkana. Ma credo proprio che adesso, invece, ce lo lascerò almeno un altro paio di settimane.”
Non che dal punto di vista storico, il carro armato di Buzbee sia nient’altro che un pezzo degno di assoluta considerazione. Uno degli 87 Sherman ancora rimasti nel mondo, per di più appartenente al gruppo esclusivo di quelli pienamente operativi, grazie al restauro portato a termine dal Museo della Normandia, dopo averlo salvato da un poligono di tiro inglese, dove stata per essere usato come bersaglio. Forse anche lui responsabile, in funzione della considerevole cifra investita, delle ristrettezze economiche che avrebbero costretto la gestione a chiudere e vendersi l’intera collezione. Ma questo poco importava al nuovo proprietario, che voleva principalmente onorare, con l’acquisto, la memoria di suo nonno, veterano che partecipò alla campagna di liberazione d’Europa, marciando con i suoi commilitoni fino alla città devastata di Berlino. Il veicolo in questione, tra l’altro, è contrassegnato dalle insegne della Seconda Divisione Corazzata, nome di battaglia Hell on Wheels, che giocò un ruolo di primo piano nell’operazione Cobra del 1944, liberando l’intera Francia occidentale fino alla capitale Parigi. Anche se in effetti, tale valore aggiunto del mezzo è da considerarsi non dimostrato, e potrebbe trattarsi di un “adattamento della realtà” da parte del museo, che d’altra parte esponeva il mezzo assieme ad alcuni manichini in uniforme, anch’essi andati all’asta, con un occhio di riguardo a quella tipica spettacolarizzazione della storia che dovrebbe, almeno in linea di principio, far vendere una quantità maggiore di biglietti d’ingresso. Questo specifico carro armato, di cui al termine della guerra erano stati prodotti quasi 50.000 esemplari, costituì ad ogni modo una delle spine dorsali delle operazioni dell’esercito statunitense in Africa prima, quindi in Europa e per finire nel teatro del Pacifico, dove 16 divisioni corazzate presero comunque parte al conflitto, nonostante si trattasse di una guerra per lo più navale ed aerea.
Per i più critici questo particolare implemento bellico, uno sviluppo successivo di un altro grande classico, l’M3 Lee dalla caratteristica forma a caffettiera, non fu in realtà un esempio particolarmente riuscito di veicolo da combattimento. Nonostante il successo ottenuto in primissima battuta contro i Panzer III e IV del teatro africano, nonché mezzi italiani come il P 40, lo Sherman non tardò a mostrare i suoi limiti, contro gli sviluppi tecnologici tedeschi successivi a partire dal 1942, il temibile Tiger I prima, ed in seguito il Panzer V Panther, per molti versi l’antesignano del moderno concetto di MBT (Main Battle Tank). Lo Sherman era un mezzo dalla corazzatura relativamente leggera, con la capacità di montare armamenti dalla capacità di arresto marcatamente insufficiente, come gli M3 da 75 o 76 mm e l’howitzer M4 con munizioni esplosive da 105 mm. Questo perché, nell’idea della dottrina dell’esercito americano, esso non avrebbe mai dovuto confrontare direttamente i corazzati nemici, bensì la fanteria, mentre gli ottimi cacciacarri facenti parte del suo stesso schieramento, veicoli con torretta scoperta e cannoni generalmente migliori (su tutti, il celebre M18 Hellcat) ingaggiavano il nemico dalla distanza di sicurezza. Un approccio destinato successivamente a rivelare i suoi limiti, quando ci si rese conto di come, trascorsa l’epoca dell’indimenticato Far West, non fosse SEMPRE possibile intervenire in tempo utile con la prototipica cavalleria. Altro fattore problematico, gli Sherman erano semplicemente troppo alti da terra a causa del posizionamento della torretta, offrendo un bersaglio facile per gli artiglieri nemici, come ampiamente mostrato anche nel film guerresco del 2014, Fury con Brad Pitt e Shia LaBeuf.
Che sia stata una mera passione cinematografica, o l’orgoglio per le imprese trascorse della sua patria (“Spero di dar fastidio a qualche esponente della alt-right” ha dichiarato con espressione arcigna l’avvocato) per Buzbee l’essersi procurato finalmente una prova, ancora integra e funzionante, di tutti quei sacrifici, quella sofferenza e violenza, portata avanti verso la tragica ricerca della democrazia, deve aver costituito un punto di svolta importante nella sua attività di collezionismo militare. Motivato anche, nel presente caso, da una possibile finalità d’intrattenimento diretto, vista l’intenzione dichiarata agli inviati dei telegiornali di mettersi ben presto a circolare sul suo terreno privato in aperta campagna, una volta pagate tutte le multe per parcheggio ingombrante ricevute comunque dalla polizia di Houston, con l’intento di “Schiacciare un po’ di cose”. Un’attività notoriamente condotta, con buona risposta da parte del pubblico internettiano, anche da Arnold Schwarzenegger mediante l’impiego del suo M47 Patton degli anni ’50, l’erede diretto del nonnetto Sherman in questione.
Degna di essere menzionata, a questo punto, resta soltanto l’intenzione successiva di far sostituire il cannone del carro dell’avvocato, che era stato rigorosamente forato, e reso quindi inutilizzabile, prima dell’esportazione dalla Francia. Questo al fine di rimettere, finalmente, il carro armato in condizione di sparare. Un’operazione sorprendentemente sancita dalla Costituzione Americana nel suo sacro secondo emendamento, dietro il pagamento di una modica tassa di 200 dollari per il possesso di “armi distruttive” nei confronti dell’Autorità Federale. E se questa non è una chiara e imprudente dimostrazione della fiducia di un governo nei confronti dei suoi cittadini, ditemi voi…