Canada, Confederation Bridge: tre semplici parole, che comportano in realtà una narrazione carica d’implicazioni meteorologiche e il lato più impietoso del carattere climatico del mondo. Gelo, nelle ossa. E movimento della corrente oceanica che ogni giorno, per l’effetto del vento, s’instrada nel canale che divide l’Isola di Prince Edward dal continente Nordamericano. Una commistione di fattori che risulterebbe ardua da comprendere, per così dire, al volo, se non fosse per la pronta disponibilità di immagini come questa, scattata col telefonino dall’istruttore di volo Paul Tymstra a bordo del suo Cessna 172 del 1973. Un aereo che noi tutti conosciamo, grazie alle disordinate scorribande compiute in ore di volo su Flight Simulator: quattro posti a bordo, sportelli come quelli della macchina, un paio di ali situate in alto e le tre ruote del carrello non ritraibile, chiamato in gergo “il triciclo”. Non propriamente il velivolo in cui vorremmo trovarci, insomma, quando la temperatura scende molti gradi sotto lo zero e le nubi si addensano con aria di tempesta.
Ma il cielo era limpido, quel giorno, e la mano salda che impugnava il cellulare è così riuscita, grazie alla luce del sole e una risoluzione più che buona, a catturare quello che vedete riportato qui sopra. Questa è una foto che andrebbe guardata nei particolari: una singola e compatta massa di ghiaccio, nella parte inferiore dell’inquadratura, che lascia il posto, a partire da un’altezza estremamente precisa, ad una serie rettangoli in sequenza parallela, apparentemente non dissimili dalle caselle usate nei giochi della dama e gli scacchi. Ma larghi, ciascuno, esattamente 250 metri, in funzione del singolo elemento per così dire “nascosto” dell’eccezionale composizione. Potreste riuscire a scorgerlo se cliccate e ingrandite l’immagine: quella sottile striscia scura, che agisce come una sorta di separatore tra la parte integra e quella segmentata della distesa glaciale. Lo spirito e l’anima del ponte. Il “corpo” fisico di quanto l’originale confederazione delle colonie inglesi del Nord, oggi trasformata in un singolo stato, sia riuscita a costruire al termine degli anni ’90, dopo una delibera durata una generazione e un tempo assai più lungo trascorso a destreggiarsi coi traghetti stagionali. Limitati a primavera, estate ed autunno, perché questo particolare tratto di mare, lo stretto di Northumberland, ha una caratteristica decisamente fuori dal comune: la capacità di ghiacciarsi completamente in inverno, diventando totalmente impossibile da navigare. Ma non per questo, statico, con ben due correnti contrapposte che si scontrano in un vortice centrale, trasformando il suo punto più stretto nell’approssimazione naturale di una colossale betoniera distruggi-navi. Ecco spiegata, dunque, l’importanza degli aerei: fino al completamento di quello che i locali chiamano affettuosamente il “Passaggio Fisso” il miglior modo per raggiungere l’isola durante il grande freddo era a bordo di un mezzo volante, con l’unica, temeraria alternativa delle cosiddette iceboat, barche a remi con una lunghezza media di 5 metri, che l’equipaggio e i passeggeri dovevano letteralmente sollevare, una volta raggiunti maggiormente solidificati del tragitto, e spostare a braccia finché non era di nuovo possibile tornare a galleggiare. Una soluzione estremamente scomoda, per un luogo abitato da quasi 150.000 persone, con una natura splendida capace di sostenere una proficua industria del turismo.
Così che la percezione di una forte necessità, normalmente, pone le basi per l’ipotesi di massicci megaprogetti. E qualche volta accade, con un plebiscito popolare e la magnanima approvazione della classe al potere, che simili ipotesi ingegneristiche approdino al programma dei lavori con sovvenzioni statali. E un significativo aiuto, in questo caso, di un consorzio privato (Strait Crossing Development Inc.) che potrà incassare tutti gli introiti derivanti dai (costosi) pedaggi fino all’anno 2032. Condividendo, inoltre, il merito di foto straordinarie come questa. Già, la foto. Ritornando allo strano fenomeno: avevate mai visto niente di simile? Come credete che sia stato possibile per il ponte tagliare il ghiaccio a quel modo? La risposta, come spesso capita, non può prescindere da una sommaria analisi tecnica di ciò di cui stiamo parlando…
Quello che fino ad ora abbiamo tralasciato di menzionare, benché io creda di essere riuscito a darlo ad intendere, è che niente, nel Confederation Bridge, può essere classificato come convenzionale. 13 Km di una sottile striscia d’asfalto, il più lungo ponte su un tratto di mare soggetto a glaciazione al mondo, costruito per di più in un luogo in cui lo spostamento delle correnti arriva a una velocità di 33 Km/h, abbastanza per spostare anche i più poderosi macigni, dissuadendo nei fatti il governo dal tentare la strada, ipotizzata in precedenza, di un lungo terrapieno facente funzione del ben più aggraziato e funzionale viadotto sopra le onde. Il che si traduce, per inciso, in una pressione continuativa di 800 tonnellate da parte del mare, ovvero molto più di quanto debba sopportare l’infrastruttura media appartenente a questa specifica categoria. Non che tutto questo possa, fortunatamente, mettere in difficoltà il ponte in questione, costruito quasi interamente in calcestruzzo armato precompresso, con travi scatolate a sbalzo sostenute da 62 piloni, ciascuno dei quali dotato di un artificio architettonico molto importante: lo scudo anti-ghiaccio, una sorta di “collare” in salita, che circonda completamente il punto esatto in cui il cilindro di sostegno affiora dall’acqua dello stretto. Osservando il ponte con occhio critico, in effetti, si può avere inizialmente l’erronea impressione che ciascun pilone si allarghi nella sua parte visibile inferiore, quasi come le sue fondamenta poggiassero direttamente sulla superficie dell’oceano semi-solidificato. Qualcosa d’impossibile e in effetti, l’osservazione di uno schema tecnico non può che confermare quanto forse, avevate già sospettato. Che i rispettivi scudi, poggiati sopra il sostegno come una sorta di ombrello, lasciano in realtà il posto ad una componente immersa molto più stretta, che si allarga nuovamente in corrispondenza del fondale, sopra il sostegno delle fondamenta solide costruite a sostegno del ponte.
Si tratta di un accorgimento spesso impiegato nei ponti fluviali in regioni particolarmente fredde, benché in quel caso, l’orientamento fisso della corrente permetta, in quei casi, di limitarsi a collocare lo scudo nella direzione della fonte, costruendo dei piloni che tendono ad avere una forma spiccatamente trapezoidale. Ma niente di meno che questo, sarebbe bastato per le acque vorticanti e spietate dello stretto di Northumberland: un collare che circonda completamente i piloni, proteggendoli dalle massicce pressioni che possono provenire da qualsiasi direzione. Fino al 2011, non a caso, ciascuno di questi scudi era stato circondato da una copertura in acciaio per resistere più a lungo all’effetto della corrosione. Un sistema che si rivelò improprio, poiché l’acqua che restava intrappolata tra la calotta metallica e il cemento, ghiacciandosi in inverno, aumentava di dimensioni causando spacchi e fessurazioni. Per non affrontare spese eccessive, i sovra-scudi ormai visibilmente arrugginiti vennero quindi tagliati, lasciandoli scivolare fino in fondo allo stretto, dove si trovano tutt’ora.
Detto questo, l’occorrenza della surreale scacchiera fotografata dal pilota Paul Tymstra risulta essere tutt’altro che frequente. Questo perché normalmente il ghiaccio, impattando contro gli scudi e spaccandosi in funzione del loro orientamento obliquo, in genere non fa altro che spaccarsi in maniera diseguale, formando delle lastre ben meno regolari ed affascinanti. Al punto che il fenomeno, su richiesta della testata canadese CBC News, è stato sottoposto all’analisi del meteorologo Tyler Hogdson, il quale ha chiarito come il verificarsi dello stato dei fatti sia in realtà il frutto di una singolare commistione di fattori: in primo luogo, lo spessore limitato del ghiaccio, al momento stimato sui soli 15 cm, molto meno di quanto tenda a raggiungere a queste particolari latitudini, in funzione di un inverno che non ha raggiunto ancora i suoi giorni più freddi. Un altro aspetto importante, derivante da questo, era la presenza di una quantità d’acqua non ghiacciata sufficiente affinché i rettangoli potessero riuscire a separarsi tra di loro, senza finire schiacciati l’uno contro l’altro con un effetto decisamente meno scenografico, nonché convenzionale. Altra ragione importante, la quantità di vento non eccessiva, in grado di permettere una separazione più dolce, e quindi meno distruttiva, del lastrone ghiacciato di partenza. Hogdson ha spiegato quindi come, con l’imminente diminuzione delle temperature previste, l’aspetto quadrettato dello stretto di Northumberland sia destinato a sparire ben presto, per non ripresentarsi, assai probabilmente, fino all’anno prossimo, nella migliore delle ipotesi.
Il che rende ancor più rara e degna di nota l’occasione impressa sul sensore fotografico dall’insegnante di volo, un veterano che, da una rapida ricerca su Google, ha già dovuto gestire il guasto al singolo motore di un suo precedente, identico aereo, finendo per capovolgersi salvandosi la vita su un pascolo nella regione di Hampton, su PEI (Prince Edward’s Island). Senza avere a bordo in quel momento, per sua fortuna, lo stesso studente presente al momento della memorabile fotografia. Nei confronti del quale lui afferma tuttavia, in un’intervista, di “Non aver avuto il tempo di fargli notare che c’era da guardare il ghiaccio” Eventualità, per certi versi, ancor più imperdonabile dello scampato disastro aereo!