Il canto ripetitivo della cappellaccia, uccello simile all’allodola, risuona spesso tra le foreste rade dei monti Zagros, la catena di rilievi più estesa nell’area geografica di Iran e Iraq. Questo luogo antico, un tempo noto come “porta dell’Impero Persiano”, tradizionalmente riconosciuto come luogo d’origine del popolo Curdo, presenta un clima ospitale di tipo Mediterraneo, con un’ampia quantità di specie vegetali ed erbivori, che non dimostrano di possedere l’intenzione, né gli strumenti, per disturbare il piccolo uccello. Per questo il suddetto passeriforme, dal nome scientifico di Galerida cristata, non si mostra particolarmente diffidente verso i potenziali pericoli, e sopratutto nel periodo in cui deve procacciare il cibo per i piccoli, piomba dall’alto su ogni possibile fonte di cibo: semi, vegetali e frutta, ma anche l’occasionale piccola preda, come un insetto o ancor più frequentemente, da queste parti, un aracnide di qualche tipo. Come dei piccoli esemplari di solifugo, l’ordine di pseudoragni dai grossi cheliceri (zanne) diventato famoso in passato per una foto scattata dai militari americani, in cui apparivano due esemplari uniti durante l’accoppiamento, sollevati con cautela mediante l’impiego di una canna di fucile. Ora il caso vuole, che se lo stesso gesto fosse stato effettuato in una zona pietrosa piuttosto che sabbiosa, il soldato avrebbe potuto avere davvero una pessima sorpresa. Basta vedere che fine fa l’uccello.
Voglio dire, possiamo davvero biasimarlo? L’abilità dello Pseudocerastes urarachnoides, o vipera cornuta dalla coda-ragno, sta tutta nella recitazione. Tutto quello che un’incauto passante aviario, o il milite in cerca di svago, potrebbero scorgere a una certa distanza, non è altro che una piccola creatura dalle molteplici zampe, che per qualche motivo sta correndo tutto attorno ad un una delle numerose crepe di minerale gypsum (gesso) che caratterizzano la regione. Finché avvicinandosi, non inizierà a notare qualcosa di strano. Ma per una creatura dotata di ali, che piomba velocemente dall’alto, a quel punto sarà già troppo tardi. È come la profezia sul finire del Macbeth shakespeariano sulla “foresta che cammina”. Quando la roccia si muove, qualcuno dovrà morire. Questo perché nel buco, o talvolta anche fuori dal buco (a tal punto la sua livrea perfettamente mimetica riesce a coprirla) c’è una vipera tra i 40 e i 70 cm di lunghezza, che con un movimento della durata di un secondo circa colpisce ed avvelena la preda, nella speranza di riuscire a mangiarsela in santa pace. Ora il veleno questa famiglia di serpenti, anche detti false vipere cornute, può avere effetti emorragici piuttosto marcati, anche se raramente porta a gravi conseguenze per gli umani. Ma un uccello dal peso di pochi grammi, passerà immediatamente a miglior vita. Con conseguente decesso per fame, e inspiegabile abbandono, della sua intera e incolpevole nidiata. Anche questa è la crudeltà della natura. E il malefico ingegno, prodotto da quello strumento diabolico che sembra essere, talvolta, l’evoluzione.
La prima osservazione di questo serpente si è verificata nel 1968 quando una spedizione scientifica americana riuscì a catturarne un esemplare, successivamente trasportato presso il Museo Field di Storia Naturale di Chicago, dove fu preservato in qualità di strana curiosità scientifica. L’opinione degli studiosi, infatti, era che si trattasse di un’anomalia causata da un’escrescenza tumorale sulla punta della coda, simile ad un bulbo ricoperto di scaglie stranamente allungate. E assai difficile sarebbe stato scambiare tale particolarità anatomica per un ragno in una situazione di quiete, ovvero senza il particolare effetto indotto dall’animale con movimenti perfezionati dalla sua specie attraverso secoli di tentativi. Finché nel 2006, al biologo Bostanchi (et al.) non venne in mente di rivedere tale ipotesi, coniugandola con quanto gli era riuscito di sapere in merito alle osservazioni aneddotiche dei rettili attestati nell’area iraniana. Fu così che nella primavera del 2008, armati della cognizione che potesse trattarsi di una nuova specie, a un’equipe di naturalisti giunti per effettuare rilievi nei dintorni di Chakar non capitò di riprendere direttamente la scena dell’incredibile serpente in caccia. Il video risultante pare prelevato direttamente da un film di fantascienza… O dell’orrore.
È piuttosto nota, nella fantasia popolare, l’immagine della rana pescatrice o abissale, il pesce bitorzoluto ed orribile, dai denti mostruosamente preminenti, che attira le prede da fagocitare mediante l’impiego dell’illicium, l’esca bioluminescente posta davanti alla bocca, pronta a serrarsi con il più insignificante preavviso. Ciò che colpisce, invece, nella vipera con la coda-ragno, è proprio l’impiego meno intuitivo del suo strumento ingannatore posto, per mera necessità anatomica, all’estremo opposto dell’animale. Non che questo sembri rallentarlo in alcun modo. Caratteristica della Pseudocerastes urarachnoides, contrariamente a quanto avviene per le altre specie di vipere pseudo-cornute iraniane, è l’abitudine alla caccia diurna, ovviamente motivata dal bisogno di essere vista dagli uccelli, affinché la sua trappola endemica funzioni a pieno regime. Proprio per questo, il serpente è più attivo nelle stagioni di mezzo, mentre nel pieno dell’estate tende a ritirarsi più in profondità nella sua buca, per farsi scudo dalla ferocia battente del sole, che potrebbe rapidamente portarlo al surriscaldamento. In condizioni ideali, invece, l’insolito rettile può anche fuoriuscire del tutto, facendo affidamento sulla sua livrea dalla conformazione e colorazione capaci di passare perfettamente inosservate. Molto importante, a tal fine, è la particolare conformazione delle scaglie sopra gli occhi, che sporgendo verso l’alto interrompono in maniera proficua la sagoma riconoscibile della sua testa, mentre la superficie del corpo, ricoperta da uno strato sporgente e diseguale (non a caso viene anche detto dai locali “serpente piumato”) assomiglia da vicino alle pietre tra cui si nasconde, magari ricoperte da un sottile strato di vegetazione. Così che, quando colpisce, può farlo letteralmente in qualsiasi direzione, rendendo la fuga pressoché impossibile, persino per chi dispone di un valido paio d’ali.
Dal punto di vista riproduttivo, questa vipera non presenta tratti di distinzione particolari, con una metodologia ovipara che prevede la deposizione di 11-21 uova dopo l’accoppiamento, ciascuna contenente un singolo embrione. Le quali si schiudono a distanza di circa 30-31 giorni alla temperatura iraniana, lasciando uscire dei piccoli già ben formati e relativamente indipendenti. Ciascuno dei quali già contenente, al suo interno, il gene della scaltrezza e dell’inganno, ereditato assieme al resto dei propri fondamentali istinti di sopravvivenza. Ma chi può dire, davvero, che cosa sappia il serpente di quello che fa? Se lui abbia realmente la cognizione di quello che fa, o piuttosto sappia soltanto che agitando la coda in un determinato modo, l’uccello-cena finirà per posarsi proprio lì accanto a lui. Di certo, nel corso della sua storia evolutiva, deve aver appreso che in presenza di potenziali prede tropo grosse e pericolose, sia nel suo interesse smettere di agitare la coda, e fuggire rapidamente nella sua buca. Quando e come sia riuscito ad apprenderlo, a conti fatti, dovrà restare un altro (l’ennesimo) mistero della Natura.
Un alone d’incertezza che si estende allo stato di conservazione del serpente, oggi largamente ignoto. Benché nessuno conosca esattamente l’areale ed il numero di queste insolite creature, possiamo tuttavia già desumere che si tratti, in qualità di predatore altamente specializzato, di una specie vulnerabile allo sfruttamento del territorio. Ulteriori approfondimenti sono già in programma nei prossimi anni da parte dei curatori della lista di conservazione IUCN.
Il mimetismo è uno dei tratti naturali più affascinanti, poiché sembra necessariamente derivare, in qualche misura, da una decisione conscia di ciascuna specie, che ad un certo punto, agisce nell’interesse di una finalità ulteriore. Eppure, non c’è niente di evitabile, in tale processo, né alcun aspetto formale o definito. Attraverso i secoli e i millenni, le vipere cornute dell’Iran hanno iniziato ad agitare la loro coda per attrarre gli uccelli, finché gradualmente, a sopravvivere e riprodursi erano sempre quelle che l’agitavano in maniera più simile a un ragno. E quindi tra loro, gli esemplari che per un’accidentale mutazione presentavano una coda che assomigliasse, persino, ad un ragno. Credo sia facile sottovalutare quanto una popolazione relativamente ridotta, e il rapido succedersi delle generazioni, possano cambiare radicalmente il codice genetico di un’intera specie. Così il gene della coda-ragno continuava a trasmettersi, dai genitori ai figli, e poi ai figli dei figli. Riuscendo a trovare, ogni volta, un ulteriore margine di miglioramento. Diventando sempre più letale, come i cheliceri del solifugo, o in alternativa, la rete appiccicosa del ragno.
Tanto che, volendo usare un diverso punto di vista, si potrebbe anche affermare che questa sia la storia di un surreale aracnide il quale, in qualche maniera, è riuscito a tessersi una ragnatela a guisa di rettile affamato. La creatura metaforica che si perpetra nella creatura materialistica, in un ciclo in cui tutto si confonde, conducendo alla morte dello sciocco ed ahimé, sacrificabile pennuto. Chi ha detto, in fin dei conti, che i rettili siano tanto diversi da noi?