Osservando delle vecchie fotografie della città sulle sponde del lago Eyre, Cleveland, Ohio, si potrebbe ricevere l’impressione che il luogo fosse abitato da almeno un enorme fan di Guerre Stellari. Questo per l’enorme replica della Morte Nera (alias Death Star) luna da battaglia nonché devastante stazione spaziale, armata col più grande raggio laser nella storia del cinema di fantascienza. Il che è piuttosto sorprendente, in primo luogo perché tra tutte le follie mai fatte da un appassionato, assai raramente ha mai avuto modo di figurare un edificio di tre piani realizzato con 900 tonnellate d’acciaio, costato l’equivalente odierno di svariati milioni di dollari. E poi, questione non da poco, la data a cui risalgono simili immagini è il 1929: George Lucas aveva ancora 16 anni inversi, ovvero, non sarebbe nato ancora prima del superamento di ben 4 anni bisestili. Al che, diventa lecito interrogarsi sull’effettiva funzione di questo esempio di coincidenza architettonica, che nonostante ciò che si potrebbe pensare in seconda battuta, non era un semplice serbatoio per il gas naturale. O meglio, non nel senso in cui s’intende normalmente una simile struttura. Poiché avvicinando virtualmente l’obiettivo della telecamera, con conseguente aumento di dettagli discernibili a occhio nudo, appare fin troppo chiara un’altra assurda verità della questione: la palla gigante è totalmente ricoperta, su ciascuno delle serie longitudinali di pannelli che la suddividono in 28 meridiani, di una quantità particolarmente elevata di oblò. Si torna dunque all’analogia della nave spaziale, o in alternativa, di una sorta d’improbabile batiscafo, destinato a rotolare fino all’acqua gelida del grande specchio d’acqua antistante. In altri termini, si, qui dentro ci avrebbero vissuto le persone. Almeno nell’idea del principale inventore e progettista, il Dott. Orval J. Cunningham di Kansas City, che l’aveva fortemente voluta per assolvere a due scopi collegati ma distinti: 1 – fare un grande bene per l’intera umanità 2 – guadagnare una letterale barca, o in alternativa un’intera luna da battaglia, di pecunia sonante.
Tutto ebbe inizio, secondo quanto registrato dalle cronache ufficiali, in un momento imprecisato nelle prime due decadi del ‘900, quando questo personaggio rilevante della storia della medicina, grazie a una terapia sperimentale di sua invenzione, riuscì a “guarire” dal diabete un uomo misterioso di cui non ci ha raggiunto affatto il nome. Ma il cui principale amico d’infanzia, e ciò è davvero molto importante nell’economia della faccenda, era niente meno che Mr. Henry H. Timken, proprietario dell’omonima azienda metallurgica di larga fama, una qualifica che gli era valsa il titolo onorifico di “Re dei Cuscinetti a Sfera”. Cunningham era un medico piuttosto fuori dagli schemi nella sua epoca, e un assiduo sperimentatore del campo allora nascente della medicina iperbarica, consistente nel trattare il paziente con determinate quantità di ossigeno concentrato, da lui spesso somministrata tramite l’impiego di una semplice bombola fornita di respiratore. Ma sua era anche la più ferma convinzione, e qui torniamo nuovamente nel campo di Guerre Stellari, che minuscoli organismi di natura batterica, del tutto ignoti alla scienza accademica causassero due delle più gravi afflizioni dei tempi moderni: il cancro e il diabete. E che questi ultimi, in presenza di una quantità di ossigeno sufficientemente superiore al normale, sarebbero diventati incapaci di riprodursi, sparendo così dall’organismo. Le ragioni di una simile, sfrenata ipotesi non vennero mai spiegate. Rimase tuttavia palese come rimanere per giorni interi confinati a letto, collegati al suddetto recipiente in attesa di un risultato che innumerevoli volte tardava a palesarsi, fosse tutt’altro che gradevole per i pazienti. Ed anche l’impiego delle anguste camere iperbariche di allora, spesso degli spazi angusti dove neanche era possibile mettersi in piedi, non è che migliorasse un granché le cose. Così l’ipotesi paventata dal buon dottore, nei suoi articoli e i discorsi fatti ai possibili finanziatori, era quella di non pressurizzare più il singolo paziente, bensì incredibilmente, l’intero ospedale! Un’idea che gli sarebbe risultata decisamente impraticabile, se non fosse stato per il sinergico sodalizio con il succitato magnate dei metalli, che guarda caso possedeva i mezzi economici, oltre che tecnologici, per fare di un simile sogno la più tangibile verità.
Il sanatorio Cunningham, la cui cui costruzione richiese circa un anno, costò la cifra non indifferente di circa un milione di dollari della metà degli anni ’20, e fu rifinito con tutti i crismi realizzativi di un magnifico hotel di lusso. All’interno dell’enorme sfera, costruita in una forma che semplificasse il mantenimento di una pressione uniforme, c’erano 38 stanze su tre piani distinti, collegati tra di loro da un piccolo ascensore. Il livello superiore era occupato da una sala ricreativa, oltre ad un impianto di deumidificazione, incluso al fine di mantenere un’atmosfera che si aggirasse attorno al 65% di umidità, ritenuto idoneo per accelerare l’intero processo di guarigione. L’intero edificio era completamente privo di mobili che fossero stati costruiti in materiali infiammabili, tra cui il legno, onde scongiurare il rischio d’incendi, un’eventualità che nell’ambiente ipersaturo d’ossigeno sarebbe risultata niente meno che devastante. Accanto alla sfera era stato inoltre edificato un albergo convenzionale, dove i facoltosi pazienti avrebbero potuto riposarsi in condizioni più convenzionali tra una sessione del trattamento e quella successiva. Quasi subito, l’AMA (Associazione dei Medici Americani) iniziò a criticare veementemente l’intero progetto, ed in modo specifico mettere in dubbio la professionalità di Cunningham, del quale affermarono sulla rivista ufficiale dell’Ordine che adottava un metodo per nulla scientifico, la cui efficacia non aveva alcuna base né uno spazio adeguato nella medicina moderna. Lo stesso concetto di una cura iperbarica, ovviamente, era assai poco compreso all’epoca, senza considerare come l’uso che intendeva farne questo medico fosse ancor più labile e meno etico di quello che viene promosso talvolta al giorno d’oggi, per una terapia che viene spesso implementata anche per malattie che non la richiedono affatto. Il concetto di curare tramite un’alta concentrazione d’ossigeno era stato messo in pratica per la prima volta nel 1834, ad opera del medico francese James Watt, che aveva costruito nella sua officina personale una camera a tenuta stagna con pompa manuale, in grado di raggiungere la pressione di quattro atmosfere. Ma benché egli fosse pronto a giurare che trascorrervi del tempo potesse curare un’ampia gamma di malattie polmonari, la sua teoria non fu mai dimostrata alla scienza ufficiale, mentre tutto quello che riportavano i pazienti era un latente stato di euforia, dovuto agli effetti narcotici del nitrogeno portato a pressioni elevate. Successivamente, grazie agli esperimenti compiuti dalla marina statunitense, fu dimostrato come la medicina iperbarica potesse alleviare grandemente le gravi conseguenze della malattia da decompressione o l’avvelenamento da monossido di carbonio, mentre l’alta concentrazione di ossigeno nel sangue poteva, in determinate condizioni, assistere la guarigione di ulcere insistenti o ferite. Fatto sta che Cunningham, parlando di cancro e diabete, era decisamente fuori strada. E gli eventi che colpirono la sua nazione negli anni successivi alla fondazione del sanatorio, non furono di alcun aiuto alla sostenibilità economica del suo istituto.
Dapprima arrivarono le testimonianze, tutt’altro che positive, della prima tornata di pazienti della mega-sfera, i quali riportavano ancora le stesse problematiche con cui vi erano entrati. Quindi, la grande depressione, con conseguente riduzione in tutta la nazione delle spese ritenute superflue, tra le quali rientrarono, a malincuore, anche le cure alternative dalla dubbia utilità. Nel giro di soli cinque anni dalla fondazione dunque, nel 1934, il bizzarro ospedale dovette chiudere per la prima volta le sue porte. E tutto sembrò prematuramente aver raggiunto l’epilogo, se non che Cunningham, che rimaneva pur sempre una figura particolarmente carismatica, riuscì a convincere un altro rampollo di un’importante famiglia, questa volta il ventunenne James H. Rand III, figlio del principale produttore di materiale elettrico ed elettronico negli Stati Uniti. Il quale, considerando se stesso un inventore più che mai desideroso di allontanarsi dalla tutela e le imposizioni paterne, acquistò la grande palla, per continuare a farla funzionare e condurre in un contesto adeguatamente professionale i suoi progetti in campo medico, tra cui quello per la costruzione di un impianto di respirazione che servisse a facilitare le operazioni al cuore. L’edificio fu quindi rinominato Istituto di Cleveland per l’Ossigenoterapia, finché nel 1937, dopo un anno economicamente molto poco redditizio, l’anziano Dott. Cunningham morì improvvisamente. A settembre l’amministrazione della sfera venne accusata di aver violato alcuni regolamenti di sicurezza dello stato dell’Ohio, mentre alcuni documenti sparirono misteriosamente, e Rand III, piuttosto che affrontare la questione in tribunale, scelse di chiudere il sanatorio e metterlo immediatamente in vendita. Quest’ultimo fu quindi comprato dalla Diocesi Cattolica di Cleveland, che a partire dal 1940 ne fece il teatro di un campo estivo per i giovani, sfruttando principalmente l’albergo costruito a lato della palla, piuttosto che il suo ambiente strano e poco illuminato. Un’ambiente assai più salubre che resiste tutt’ora, essendo stato trasformato negli ecclesiastici nella scuola superiore di Villa Angela-St. Joseph. Mentre la sfera, dal canto suo, fu completamente smontata soltanto due anni dopo, all’entrata degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, per fare del suo acciaio mezzi bellici da schierare contro i giovani nemici delle nazioni avverse. La rivista dell’AMA, in tale occasione, titolò scherzosamente con il gioco di parole: “Il serbatoio di Cunnigham (tank) finalmente serve a costruire dei ben più utili carri armati (tanks). Ma qualcuno potrebbe anche affermare come, per quanto spesso inefficace, il suo uso originario con finalità terapeutiche fosse almeno connotato da un sentimento di aiutare il prossimo, piuttosto che il totale nichilismo sulla punta dei cannoni.
Il nesso principale, a voler interpretare l’intera questione, è che la straordinaria complessità dell’organismo umano getta spesso nello sconforto anche i medici più preparati. È talmente difficile, talvolta, trovare la causa di un’afflizione grave, ed ancor più difficile interagirvi per rimuoverne le implicazioni nefaste, che a volte sembrerebbe addirittura più semplice trovare la “cura assoluta” ovvero una procedura, non importa quanto bizzarra, in grado di cancellare semplicemente le malattie.
In tanti ci hanno provato e ciascuno di loro, immancabilmente, è andato incontro al più spettacolare e drammatico dei fallimenti. Del resto, se oggi gli ospedali non hanno la forma di gigantesche sfere di metallo, possiamo facilmente giungere a una conclusione. Che l’era della Forza non è ancora iniziata, e tutto quello di cui possiamo disporre, persino adesso, è ancora l’impugnatura di un rozzo ma pur sempre efficace fulminatore.