L’immagine è piuttosto ansiogena e difficile da dimenticare: una quindicina di bambini, tra i quali il più giovane ha soltanto 6 anni, che s’inerpica faticosamente come fossero un gruppo di scalatori dai molti anni di esperienza, gli zaini dalle tonalità vivaci un netto stacco con i colori verde e marrone della montagna. A fare da apripista, normalmente, uno o più adulti, attenti ad intraprendere una strada adatta al loro seguito di allegri piccoli sherpa. Mettiamo subito da parte lo stereotipo secondo cui la scuola elementare sia stata divertente. La scuola è faticosa, spiacevole, talvolta dolorosa. È il luogo in cui i bambini, per la prima volta, devono scontrarsi con le regole e le esigenze della società. Affinché dopo diversi anni, in qualche maniera, ne escano cambiati e in grado di affrontare le difficoltà future. Ma per quanto si possa soffrire, giorno dopo giorno, nel perdere la propria ingenuità e sottoporsi a un meccanismo creato per un mondo privo delle odierne vie d’accesso alla cultura, possiamo almeno essere certi di una cosa: ovvero quanto siamo stati fortunati, per il semplice fatto di non essere nati nella contea di Zhaojue. La regione cinese, nella regione del Sichuan, dal terreno estremamente scosceso e disseminato di montagne, dove si trova da 200 anni il villaggio di Atule’er. Perché vedete, per le circa 74 famiglie di questa comunità agraria e pastorale, è del tutto normale inviare due volte al mese i propri pargoli in un luogo presso cui possano apprendere le basi dello studio e dell’educazione. Discendendo ognuna di quelle volte, a partire dal loro luogo di nascita, una parete quasi verticale grazie all’uso di alcune fatiscenti scale di rattan. E così terribilmente pericoloso, risulta essere questo tragitto, che negli anni si è deciso di farli dormire laggiù per la maggior parte del loro tempo, riaccompagnandoli fino in vetta solamente in occasione delle festività locali. La ragione di questa anomalia, diventata celebre nel mondo qualche anno fa grazie a un articolo del People’s Daily Online e all’opera del fotografo di fama Chen Jie, che trascorse svariate settimane assieme agli abitanti percorrendo più volte su e giù il sentiero che li separa dalla civiltà., va ricercata nella storia di questi luoghi, abitati da un’etnia anticamente nota come Lolopu, in funzione della loro abitudine di venerare come essere supremo la tigre. Un popolo composto da numerose tribù continuamente in guerra tra di loro, così che in svariati casi (nei dintorni ci sono altri tre villaggi come questo) i loro membri decisero di ritirarsi in luoghi che risultassero inaccessibili ai loro nemici. A spingerli progressivamente più in alto, quindi, ci pensò la fauna locale, popolata di cinghiali particolarmente rovinosi per i campi coltivati e scimmie piuttosto aggressive, notoriamente abituate a lanciare sassi contro i viandanti. Finché finalmente, sulla cima di questa montagna, non venne scoperta una fonte di acqua limpida e copiosa, adatta ad irrigare i campi e fornire sostentamento ad un intero villaggio di convinti lavoratori. Nacque così un’economia basata principalmente sulla coltivazione di noci e peperoncino, oltre all’allevamento di capre e maiali. Ma con la nascita della Cina moderna, e il passaggio a valle di una strada asfaltata, ben presto la comunità si divise, andando a formare una città nuova ad una quota decisamente più accessibile ai più. Tale luogo, ben presto, venne fornito di una scuola.
La Cina, persino nelle sue accezioni più rurali ed isolate, costituisce da sempre uno dei paesi in cui l’educazione viene tenuta in più alta considerazione, principalmente in funzione dell’etica confuciana del rapporto dell’individuo con la società. E benché fosse forse possibile, per lo meno in linea di principio, trovare un insegnante disposto a vivere nel villaggio sulla cima del dirupo, qui occorre prima di tutto chiedersi quale sia l’effettivo scopo dell’intera faccenda. Forse i genitori ci tengono a mostrare ai loro pargoli per lo meno un transitorio scorcio del mondo sottostante? Oppure il vero insegnamento che dovranno cogliere, a conti fatti, è l’abilità stessa di discendere la parete montana, avventurandosi verso quei punti di raccordo che, un giorno, gli saranno necessari per ricavare sostentamento dalla coltivazione della terra…
Il posizionamento del villaggio di Atule’er è stato più volte un problema affrontato sulla carta dai politici locali, che hanno tentato svariate vie per risolverlo a vantaggio delle generazioni future. Questo perché, a dire il vero, è già costato la vita a svariate persone: “sette o otto” nelle parole di Api Jiti, anziano della comunità, riferite dal giornale di Pechino a un’opinione pubblica più che mai colpita dalla faccenda. Gli abitanti parlano, inoltre, di come i loro introiti derivanti dalla vendita dei prodotti locali siano generalmente più bassi, in funzione del semplice fatto di essere riconosciuti come gli abitanti del villaggio montano. I potenziali compratori, infatti, ben sanno che loro non vorranno in nessun caso riportarsi noci o peperoncini nel posto da cui sono venuti, tirando sul prezzo ancor più di quanto sia normale fare da queste parti. Ciò ha gettato, negli anni, la comunità in uno stato d’indigenza finanziaria che mal si sposa con la loro lunga storia di autosufficienza e capacità di sopravvivere alle incertezze della alterne stagioni. Uno degli approcci più ambiziosi, suggeriti dall’amministrazione della contea di Zhaojue, comportava la costruzione di un ponte strallato, fornito di una lunga strada, che potesse unire tra loro i diversi villaggi montani locali e la civiltà, trovando nel numero di persone aiutate una giustificazione al suo costo tutt’altro che indifferente. I fondi per una simile soluzione, tuttavia, non sono ancora stati trovati. È stato così deciso, come palliativo temporaneo, di far costruire qualcosa di meno gravoso per l’erario, eppure comunque utile a ridurre la fatica dei bambini e i loro genitori di Atule’er: la cosiddetta scala del Cielo. Letterali migliaia di scalini in acciaio, per sostituire almeno in parte la vecchia alternativa in legno di palma, in molti punti pericolante perché prossima alla marcescenza. Un’operazione che si è rivelata complessa non soltanto dal punto di vista logistico, ma anche per trovare delle maestranze che fossero disposte a lavorare lungo questo tragitto affrontato tanto coraggiosamente dai piccoli pargoli degli abitanti del posto.
Celebre restò in effetti il caso nel 2016 di una reporter della tv di stato CCTV proveniente dagli ambienti cittadini, che incaricata di salire ad intervistare i loro genitori, scoppiò in lacrime di fronte alla difficoltà di effettuare una simile trasferta. E forse, anche un sentimento di dispiacere per chi non può fare a meno di affrontarla innumerevoli volte nel corso della loro giovane vita. Una possibile soluzione definitiva, anche migliore della scala di metallo, potrebbe tuttavia profilarsi all’orizzonte: piuttosto famoso sta diventando negli ultimi anni il successo riscosso a livello turistico dalla regione settentrionale dello Hunan, le cui passerelle sospese e i ponti trasparenti stanno diventando un’attrattiva turistica di grido per gli abitanti di tutta la Cina ed oltre, in occasione delle trasferte nei giorni di vacanza nazionale. Chi non ha visto, su Internet, le riprese dei “coraggiosi” visitatori di questi luoghi, che nient’altro cercano che il massimo senso di vertigine o il supremo senso dell’adrenalina? L’unico ostacolo a una soluzione simile per quanto concerne il Sichuan è stato, fin’ora, individuabile nella collocazione geografica centro-meridionale di detta regione, in prossimità del Tibet, dove tradizionalmente l’asse delle migrazioni dei viaggiatori non ha mai avuto modo di estendersi. Ma con il recente potenziamento delle infrastrutture stradali in tutto il territorio cinese, inclusivo di viadotti, ponti e tunnel sempre più risolutivi, questo è uno stato dei fatti certamente destinato a cambiare.
Atule’er risulta essere un’anomalia nella pragmatica Cina moderna, dove le ragioni della convenienza guidano generalmente le scelte di uno stato non così attento a preservare le antiche etnie. Si può tuttavia affermare che gli odierni discendenti dei Lolopu, con il loro stile di vita eremita, non costituiscano un vero e proprio problema da risolvere: sono in effetti due secoli, che gli abitanti del villaggio non soltanto si è adattato alle difficili circostanze della loro esistenza, ma hanno letteralmente rifiutato più volte l’offerta di trasferirsi assieme ai loro vicini sul fondo della montagna. Troppo importante, per loro, è poter continuare a coltivare la terra, come fatto da tempo immemore attraverso le generazioni. Adesso provate soltanto ad immaginarvi lo spirito d’unione, e la solidarietà collettiva, che può nascere dall’affrontare nel corso della propria giovane età una simile trasferta assieme ai propri compagni, fino al raggiungimento dell’età della ragione. C’è ben poco che una norma proveniente dall’esterno, o la semplice ricerca convenienza, possano fare per modificare lo stato dei fatti.
Con il sole, con la pioggia. D’estate o d’inverno (per fortuna, le temperature da queste parti scendono raramente sotto i 5 gradi). È sempre un giorno di scuola, in fondo al ripido dirupo dei monti del Sichuan. L’unica scelta da compiere, è quanti libri caricare nello zainetto, prima di affrontare la difficile scalata verso l’omologazione di una vita in pianura.