Sedevo in veranda leggendo nervosamente un buon libro, mentre all’improvviso mi resi conto del problema: “Se il vento cambia, sarà la fine.” Non perché abito in una di quelle case fatte di carta, sulla strada lungo cui transita un uragano. Ma perché tutto quel verde che sorge oltre la siepe, a dire il vero, è un bosco del peggior tipo: un bosco californiano. Straordinariamente rigoglioso, per l’effetto di una stagione delle piogge ogni anno lunga e intensa, eppure eccezionalmente secco, proprio per la totale assenza di precipitazioni a partire dall’inizio del vero e proprio periodo invernale. Quest’anno, poi, la situazione è semplicemente la peggiore a memoria d’uomo. Ciò causa l’inversione dei venti, che normalmente soffiano da ovest, portando l’aria umida dell’Oceano Pacifico. Mentre oggi, causa il palesarsi di una perturbazione nota col nome seriamente programmatico di (El) Diablo, provengono dritti dal nord-ovest dell’arido Mojave, dove i coyotes inseguono il Geococcyx californianus, comunemente col nome di “uccello Beep Beep”. Descrizione conduttiva di un noto paesaggio, ed un particolare grado di umidità, che potremmo semplicemente descrivere come uno zero spaccato, per di più ricoperto di crepe. Venti come questo non spengono gli incendi sul nascere. Simili flussi d’aria, quando incontrano il fiore che tutto arde e consuma, lo sollevano in un caldo abbraccio, e lo portano innanzi per fargli conoscere il mondo intero. “Eh, si.” Sospiro. Per lo meno, c’è un lato positivo: rispetto al mare di lingue di fiamma che ricopre intere contee della dimensione di una piccola nazione europea, come l’incendio di Nuns, quello di Atlas e Partrick, la mia fortunata abitazione si trova sopravvento. Così che, l’intera località dei miei soggiorni non ha ancora ricevuto l’ordine di evacuare. È in quel momento che alzo lo sguardo, casualmente, verso il gallo segnavento sul tetto del mio salotto. E noto, con momentaneo orrore, che si è voltato di lato. Chissà da quanto! Eppure prima che io possa prendere atto di cosa significhi tutto questo, odo un rombo possente nell’aria: “Possibile che…Che…” Ehi, aspetta un attimo. Il fuoco non fa rumore. Voglio dire, non produce rombi paragonabili a quelli di un bimotore da trasporto che vola a bassa quota, con apertura completa della manetta per far fronte al peso del carico che si trova, ancora per poco, a bordo. Poiché nessun californiano tarderebbe nel riconoscere la caratteristica livrea rossa e bianca, né la forma stilizzata del logo a banana sul lato della carlinga sospesa in aria: Cal-Fire. Cal Fire. Calfire: la California tracciata in maniera sommaria. Che brucia. Di nuovo…. Con occhi spalancati per lo stupore, guardo la forma straordinariamente aerodinamica del DC-10 ancora per un secondo, giusto il tempo necessario a scorgere l’emersione della polvere che fa seguito, immancabilmente, alle sue sortite. L’ombrello che emerge dal retro si allarga come la corona di un fiore. Quindi inizia a discendere verso di… Me! Chiudo il libro, balzo dalla sedia, corro verso la porta che da sulla veranda. Ho esattamente 10 secondi, al calcolo intuitivo, prima di essere trasformato nell’equivalente di un demone insanguinato sulla scena cardine di un film dell’orrore.
Narrazioni in prima persona a parte, sarà chiaro di cosa stiamo parlando, ormai. Il video mostrato qui sopra è in realtà l’ultima pubblicazione della YouTuber Jenny Crane, registrata mentre si trovava presso la casa del padre nella contea di Murrieta, non troppo distante dal confine messicano. La quale ha avuto, lo scorso 8 dicembre, la fortuna (?) di trovarsi al di sotto del passaggio di uno di questi aeromobili, deputati dal servizio antincendio dello stato ad assistere le forze di terra durante lo strenuo sforzo per contenere l’annuale, inevitabile disastro dello stato che brucia ogni anno, in maniera che tende costantemente a peggiorare. Dispositivi questi, talvolta a noleggio, ma nella maggior parte dei casi acquistati ed in uso ormai da decadi intere grazie al programma denominato CDF Aviation Management, che invece che colpire direttamente le fiamme con un rilascio diretto mirato a spegnerle, utile soltanto nei casi meno avanzati, gettano qualcosa di totalmente diverso sulle possibili strade della sua diffusione. E il nome commerciale di questo prodotto, venduto in polvere ma poi mescolato ad acqua e pigmenti colorati, è Phos Chek. Nient’altro che una miscela di sali di diammonio, monoammonio, nitrogeno e fosforo con gomma degli alberi di Attapulgo e di Guar. Questo affinché, una volta rilasciata sulla foresta o le abitazioni, non scivoli immediatamente a terra, ma aderisca saldamente a ogni tipo di superficie. Ed operi, efficacemente, la sua magia…
L’invenzione moderna del Phos-Chek, risalente a circa una cinquantina di anni fa, fu opera della tentacolare Monsanto Company, che lo produsse nel suo stabilimento in Idaho presso la base di servizio di Post Falls fino al 1998, quando l’intera impresa fu rilevata dalla Solutia Inc. A sua volta acquistata, nel 2005, dalla multinazionale Israel Chemicals Ltd. Che si occupa, tutt’ora, di far pervenire la preziosa polvere a chi ne ha più bisogno, ovvero nello specifico i pompieri volanti della California del Sud. Ciò detto ed a parte gli additivi “segreti” c’è ben poco di nuovo nella natura e il funzionamento di questo prodotto. Costituente nient’altro che la versione reinterpretata di una scoperta fatta per la prima volta dal chimico francese Joseph Louis Gay-Lussac, scopritore tra le altre cose delle due leggi sulla relazione tra temperatura e pressione nei gas. Ma che a tempo perso, amava fare esperimenti con i fosfati di ammonio e il borace, attività che lo portò a notare l’effetto che questi ultimi avevano sui materiali lignei. Ossia nominalmente, di modificare chimicamente la loro superficie, dandogli una patina simile al carbone annerito. Che non brucia. O per lo meno, non riesce a farlo con la stessa velocità. L’impiego su larga scala restò tuttavia piuttosto raro per molti anni ancora, causa la difficoltà di spandere le grandi quantità di fluido su superfici sufficientemente ampie da fare la differenza. Finché alle soglie del ‘900, non ebbe inizio il secolo del volo.
Questo tipo di sostanze, che contengono additivi non dissimili da quelli dei fertilizzanti per uso agricolo, sono tuttavia largamente atossiche, per l’uomo e la maggior parte delle creature viventi. Benché l’alta salinità possa causare squilibri nutrizionali in molte delle creature della foresta che dovessero abbeverarsi in uno specchio d’acqua che è stato (accidentalmente) colpito da un simile bombardamento dei cieli. Sempre meglio così, che la terribile alternativa del fuoco… L’utilizzo in presenza di fiumi o laghi è dunque largamente sconsigliato, anche perché la diffusione del Phos-Chek in tali ambienti, generalmente, tende a fornire del nutrimento talmente efficace per le colonie d’alghe che inevitabilmente si trovano sul fondale, da causare una fioritura in grado di togliere luce ed ossigeno ai loro coabitanti pinnuti. Tanto che per i pesci, che non brucerebbero comunque, l’intera faccenda presenta soltanto degli effetti negativi. Resta da prendere in analisi, quindi, soltanto la faccenda del colore. Il prodotto della Israel Chemicals viene immesso sul mercato in diverse varianti, a base di tonalità che possono essere bianche, trasparenti o rosse. La più utilizzata, tuttavia, è la terza, per una ragione molto pratica: essa permette all’equipaggio degli aerei di comprendere, a colpo d’occhio, dove il ritardante è stato già rilasciato. La diffusione nell’aria di quello che resta pur sempre un fluido, per quanto denso, è in effetti intrinsecamente poco prevedibile, ed ogni margine ulteriore di chiarezza non può che essere d’aiuto. Il tipo di pigmenti utilizzati, ad ogni modo, è del tipo definito in gergo “fuggitivo” ovvero che tende a sbiadirsi per l’effetto della luce ultravioletta del sole. Il che significa che pochi giorni dopo, generalmente, tenderà a sparire. A meno che i proprietari delle case irrorate, malauguratamente, dovessero tentare di lavarlo via prima con getti a pressione o spazzole dalle setole particolarmente dure, finendo per spingerlo più a interno delle superfici e tingerle in maniera permanente. Il che ha già causato, in svariate occasioni dovute alla leggendaria propensione legalista del popolo americano, a cause di gruppo contro il dipartimento dei vigili del fuoco californiani. Non che questo, fortunatamente, gli abbia impedito di continuare a svolgere il loro lavoro.
Apro la porta d’ingresso e faccio il primo passo, con un senso latente d’aspettativa, nello spazio del mio cortile. Il cespuglio di fronte a me non sembra più fatto di foglie, ma diramazioni di un vermiglio intenso come quelle di un corallo. La mia Chevy nel vialetto, un tempo di un pacifico azzurro cielo, vanta ora il colore grintoso di una fuoriserie italiana. Tutte le mele del meleto paiono impossibilmente mature. I mirtilli del mirtillìo, invece, sembrano fragole. Le carote del carotaio, peperoncini. Nell’universo del rosso più intenso che abbia mai visto, scorgo una macchia che corre ai margini del campo visivo. Mi volto e lo vedo: uno scoiattolo rosso americano, spaventato dal grande frastuono. Per la prima volta dal giorno della sua nascita, perfettamente mimetizzato. Di ritorno al suo albero, anch’esso temporaneamente trasformato in bandiera sovietica d’altri tempi. Disse qualcuno: “Nel paese diventato un singolo colore, chi era già di quello stesso colore, sia re…” Re-suscitato. Dal fatale momento, già tristemente noto ahimé, in cui il diffondersi delle fiamme fosse arrivato fin qui. La palma distante che oscilla nel vento, mentre all’orizzonte sparisce la sagoma dell’aereo. “Grazie, uccello di ferro!” Sussurra squittendo il più piccolo ammiratore: “Ora spero che tu non debba tornare mai più!”