Chi ha detto che le antiche arti, con il trascorrere degli anni, perdano necessariamente di rilevanza… Così che nel futuro ipotizzato da scrittori e registi, il più delle volte, la popolazione umana della galassia è caratterizzata in maniera piuttosto incolore, con una sola soluzione tecnica per ciascuna necessità: un tipo di astronave, un tipo di veicolo, un tipo di tuta spaziale. Laddove l’esperienza ci insegna che la Storia, come forza generativa, induce una forte tendenza a molteplici gradi d’innovazione, offerti proprio sulla base di quanto si sia disposti a tornare indietro sull’asse della creatività. C’è stata un epoca in cui il soldato, prima di andare in battaglia, indossava una maglia intessuta di anelli di ferro, interconnessi come l’ordito di una tela e concepiti per deviare, almeno in parte, il colpo di spade o mazze impugnate dal suo nemico. L’avreste mai detto che un simile approccio alla protezione fisica, nella futura epoca spaziale, stesse per tornare tremendamente attuale? Con l’aggiunta del più valido ausilio: un metallo che riprende sempre la sua forma originaria, grazie alla fortunata sinergia tra due menti acute che casualmente, passavano di lì…
Nell’alba rossastra del quarto pianeta, una polvere leggera trascinata dal vento. Bagliori che si riflettono, sull’orizzonte, da un singolo punto in movimento. Non c’è vita, né acqua, né ghiaccio. La pianura è una distesa di sabbia e pietre appuntite. L’unica forma distinta, in questo mare di elementi inerti, è fatta di titanio, tellurio e tungsteno. Con un’ampia dose di alluminio, per costituire le ruote. È il rover Curiosity, inviato quaggiù nel 2011, e che da allora prosegue la sua missione senza un termine definito. Questo perché, per la prima volta, piuttosto che essere alimentato con carburante e pannelli solari, contiene una piccola dose d’uranio, sufficiente a farlo funzionare ancora per molti, molti anni a venire. A patto che non intervengano… Imprevisti. Nell’aria rarefatta di Marte, non sono molti i fattori che possono sottoporlo a danneggiamento. Non c’è la pioggia e neppure i temporali. Le famose tempeste di sabbia che ricoprono un intero emisfero planetario sono in realtà meno problematiche, come intensità del vento, di una giornata primaverile nel Kansas o in Oklahoma. L’unico modo in cui il prezioso veicolo automatico inviato così lontano può danneggiarsi, è facendo tutto da solo. Ma questo, ahimé, è inevitabile: poiché fra le varie caratteristiche del suolo marziano, c’è n’è una in particolare che domina sopra ogni altra: la sua spropositata ruvidità. Così che un dispositivo semovente del peso di 0,9 tonnellate, per esplorare l’ambiente come da programma, deve arrampicarsi quasi quotidianamente su pietre aguzze quanto la lama di un coltello, in grado di mettere a dura prova qualsiasi soluzione ingegneristica in uso sulla Terra. Questo, ovviamente, l’avevamo previsto. Così che gli pneumatici del rover, se così vogliamo ancora chiamarli, sono in realtà degli oggetti dall’alto grado di compattezza costruiti da un singolo blocco d’alluminio lavorato con macchine CNC, per ottenere un grado di solidità tale da poter resistere facilmente al tipo di prove a cui sono stati sottoposti durante la fase di progettazione sui severi percorsi del John H. Glenn Research Center della NASA, vicino Cleveland, Ohio. Ma c’è una cosa per cui, inevitabilmente, non erano stati testati: la loro integrità a fronte di mesi, persino anni di utilizzo. Poiché qualsiasi metallo, se sottoposto a continui stress meccanici per un periodo molto lungo, subisce delle sollecitazioni che lo portano a piegarsi, quindi spezzarsi letteralmente a metà. Così, la notizia trapelò nel 2013: le ruote di Curiosity stavano andando letteralmente a pezzi. Ben presto, le lunghe crepe si amplieranno, fino a causare il distaccamento di parti intere della loro struttura. Possibilmente, arrecando danni ai delicati meccanismi posizionati con misura di ridondanza sulla scocca del loro veicolo proprietario. Suscita quindi una certa sorpresa vedere, sul sito ufficiale dedicato alla prossima missione d’esplorazione telecomandata marziana con lancio previsto nel 2020, un rover dotato dello stesso identico sistema di mobilità. Non è tuttavia probabile che l’agenzia spaziale statunitense sia prossima a compiere lo stesso identico errore due volte di fila… Siamo semplicemente di fronte, in questo caso, ad un’immagine preliminare. Poiché potrebbe profilarsi all’orizzonte, finalmente, la prima implementazione di un sistema che fu proposto per la prima volta nel 2009, facendo vincere alla NASA l’anno successivo il prestigioso premio ingegneristico R&D 100 Award, assieme alla compagnia Goodyear che aveva fornito la propria assistenza. Stiamo parlando dello spring tire (dal termine spring steel, acciaio armonico) costituito da 800 molle interconnesse tra loro, in grado di ricordare molto da vicino la già citata cotta di maglia dell’epoca medievale, pur trovandosi caratterizzata da una struttura sostanzialmente diversa. Se tale approccio fosse stato davvero così meritorio, allora, viene da chiedersi perché non sia stato scelto per il rover Curiosity, prima di inviarlo lungo il difficile sentiero dell’esplorazione marziana. La risposta a tale quesito, in effetti, potrebbe sorprendere l’opinione comune…
Immaginate un golf creato all’uncinetto: un paragone, se vogliamo, che calza decisamente a pennello. Poiché parliamo di un capo composto da un intreccio di fili spessi, in cui ciascun singolo elemento è una parte del tutto, in grado di mantenere integra la totalità dei suoi vicini. Ma nel momento in cui uno solo di questi, sfortunatamente, dovesse impigliarsi da qualche parte e venire tirato, che cosa succedere? L’intera trama verrebbe compromessa, andando incontro a un danneggiamento irrecuperabile della sua funzionalità. L’impossibilità di far fronte a questa eventualità, inevitabilmente, ha fatto rimanere le ruote “a molla” allo stato di prototipo privo di applicazioni pratiche presso il Glenn Center, almeno fino all’incontro fortuito, avvenuto la scorsa estate, tra l’ingegnere Colin Creager e l’esperto di materiali Santo Padula. Il secondo dei quali si trovava, casualmente, presso l’installazione di Cleveland quando gli capitò d’incontrare l’amico e collega di studi, che si offrì spontaneamente di mostrargli quanto si stava cercando di ottenere nel laboratorio deputato al perfezionamento della ruota della Goodyear. Fu allora che questi, non senza un certo comprensibile grado di soddisfazione, si trovò ad esclamare qualcosa sulla linea di: “È il tuo giorno fortunato. Ho in mente la soluzione perfetta per voi!”
E quel qualcosa era, come stano illustrando proprio in questi giorni le principali testate internazionali, la lega metallica costituita da titanio e nickel, comunemente nota con il nome di nitinol (da Nickel Titanium-Naval Ordnance Laboratory, dove venne scoperta nel 1959). Un metallo creato per la prima volta da William J. Buehler e Frederick Wang, scienziati del Maryland, come possibile protezione per la testata dei missili intercontinentali. Se non che, durante le prove tecniche, si scoprì come una temperatura sufficientemente elevata potesse indurlo a cambiare forma, ritornando a quelle che aveva prima di essere sottoposto a lavorazione: bastava anche la fiamma di un accendino, affinché una lastra a fisarmonica tornasse perfettamente uniforme, o una calotta attentamente plasmate si dispiegasse come una sorta d’impossibile origami. Fu immediatamente chiaro, dunque, che qui era stato scoperto qualcosa. Le cui più profonde implicazioni, all’epoca, non erano ancora semplici da immaginare. Il comportamento insolito del nitinol ad ogni modo, si scoprì presto, era dovuto alla particolare struttura cristallina dei suoi atomi, in grado di passare dallo stato di austenite alle alte temperature a quello di martensite, molto più complesso e flessibile. Ma all’abbassarsi delle stesse, senza colpo ferire, ritornerà sempre alla forma originaria, sviluppando delle forze estremamente significative. Sufficienti addirittura, con il giusto dosaggio dei materiali costituenti, a sollevare di nuovo un rover da 9 o più quintali. L’effetto di una simile soluzione applicata agli spring tires (e qui vi invito a fare riferimento al video di apertura) è notevole ed immediato: così che sottoponendole agli stessi test della versione in acciaio, esse diventano in grado di deformarsi in maniera impressionante, fin quasi al cerchione, ritornando sempre immancabilmente nella forma ideale, una volta che la temperatura generata dalla sollecitazione meccanica raggiunge il punto critico di trasformazione. Una simile ruota, non soltanto sarà in grado di deformarsi un numero pressoché illimitato di volte. Essa diventerà del tutto incapace di rompersi, anche a distanza di anni dal giorno del suo sbarco su Marte.
Oltre i picchi frastagliati dell’orizzonte, sotto il cielo giallastro per l’effetto delle sabbie, pare dunque risplendere una luce proficua per l’avvenire. Qualunque sia l’astronave che porterà fin qui la prossima generazione dei nostri volenterosi robot su ruote, possiamo contare, quanto meno, su presupposti di resistenza all’usura dalla longevità decisamente più significativa. Il che sarà indubbiamente utile, soprattutto con il progressivo perfezionamento delle fonti d’energia più o meno radioattive, in grado di spingere innanzi le dolci carriole ancora per lungo, lunghissimo tempo.
Portando a chiederci, ancora una volta, quando finalmente potremo entrare nell’epoca che già in precedenza, ha fatto seguito al Medioevo: un Rinascimento delle grandi esplorazioni. Quando l’uomo stesso, a bordo dei suoi svettanti scafi, poté compiere lo sbarco in un Nuovo Mondo ampliando il ventaglio delle sue possibilità future. E portando, ancora una volta, a dispiegare se stesso quel metallo super-elastico, che sorregge la struttura variabile della Storia.
Vedi anche: precedente articolo sul nitinol