La mano del cavaliere che impugna la lancia, guidata verso l’obiettivo da una forza imperscrutabile ma possente. Lo scudiero di rincorsa, a terra, con la mazza che impatta sopra l’usbergo del suo nemico disarcionato. La freccia lanciata, dalla cima del colle, verso lo schieramento del comandante. “Morte ai Lancaster” gridò qualcuno, sollevando un grande stendardo tra la polvere irrorata dal sangue: “Gloria alla rosa bianca della casata di York!” L’andamento della battaglia di Mortimer’s Cross, prima prova di tattica in questa guerra di Edoardo di Rouen, il Duca di York, era ormai perfettamente chiaro. Poiché ogni singolo componente del suo schieramento, d’un tratto, pareva combattere con una convinzione superiore a quella di una singola persona. Da dove traevano, costoro la loro forza? La risposta profetica splendeva in cielo, durante quel giorno del 2 febbraio 1461, presso l’incrocio di Mortimer, vicino al castello di Croft. In un primo momento, la situazione non era parsa volgere a loro vantaggio. Il nuovo comandante, che si era ritrovato al potere dopo l’uccisione di suo padre Riccardo Plantageneto in battaglia, durante la lunga campagna contro i sostenitori delle aspirazioni al trono di Enrico VI e la sua consorte, l’odiata Margherita d’Angiò, si era trovato costretto ad intercettare i rinforzi guidati da Jasper e Owen Tudor, prima che potessero unirsi all’armata principale. Qualche migliaio di uomini (la quantità è incerta) condotti attraverso marce forzate fino all’unico punto possibile per bloccare gli oppositori, su un campo di battaglia che non era stato attentamente selezionato né in alcun modo vantaggioso per i conduttori del rapido assalto. Molto da vendicare, con così poco tempo a disposizione… E un attimo prima che fosse possibile dare l’ordine dell’assalto, il misterioso presagio. Nell’aria tersa dell’inverno inglese, in apparente assenza totale di nubi, il riflesso del Sole che si fa più ampio, fino al formarsi di un colossale alone di forma circolare. E mentre i guerrieri che avevano giurato fedeltà alla casata di York, schermandosi parzialmente gli occhi con le visiere dei grandi elmi, scrutavano sospettosi verso l’alto, d’un tratto l’impossibile trasformazione: ai lati della splendente geometria, due cerchi di luce, posti in perfetto allineamento con l’imperscrutabile astro centrale. A cui fece eco, inaspettatamente, il galoppare del cavallo del Duca Edoardo, che con voce stentorea declamava: “Osservate, miei coraggiosi. Guardate il segno propizio di questo giorno di gloria: accanto alla luce di Dio Padre, compaiono il Figlio e lo Spirito Santo. Questa visione ci è stata inviata per farci sapere che anche Lui è con noi.” Quante battaglie, nel corso della storia, furono vinte dal volo di un corvo, il richiamo di un falco, l’improvviso guizzo di un pesce scaturito dal fiume ruggente? Quanti presagi, con l’improvviso palesarsi, mutarono l’animo e i propositi di vittoria nei momenti cardine dell’intera vicenda umana? E fu questa, quel giorno, secondo gli storici, la funzione del più importante parelio registrato nella storia medievale d’Inghilterra, un fenomeno consistente nella comparsa illusoria, ritenuta per lo più insolita, di due “soli” più piccoli accanto al genitore supremo. Davvero niente male, come ausilio superstizioso alla ricerca di una strenua vittoria in battaglia!
Il primo testo tramite cui ci è giunto il nome scientifico convenzionale furono le Naturales Quaestiones di Seneca, nel quale lo storico latino del primo secolo cita le misteriose imagines solis (immagini del sole) per cui i greci erano soliti utilizzare l’espressione parhelia, in quanto si trovavano vicino ad esso (παρα-) ed erano simili a lui. Ma nell’epoca medievale, sopratutto in un contesto delle isole britanniche toccate almeno in parte dalla cultura norrena dei vichinghi, il popolo era solito definirli solhunde o solhund ovvero, i cani solari. Questo probabilmente perché, secondo la leggenda del Ragnarok, il Sole e la Luna sono inseguiti da due lupi in corsa nella volta celeste, Hati Hróðvitnisson e Sköll, finché essi non riusciranno a prenderli e divorarli, scagliando il mondo nella più perenne e irrimediabile oscurità. Ma fino ad allora, i due astri celesti tutt’altro che spaventati, tenteranno occasionalmente di contrattaccare, facendo infuocare le bestie che tentano di abbagliarci con la loro furia. Altri filologi, nel frattempo, sono pronti a giurare che l’espressione in lingua inglese sia più moderna, epresa in prestito a partire dai popoli nativi del Nord America, che erano soliti paragonare la visione a quella di “un cane che balza nel cerchio di fuoco.” La scienza moderna, purtroppo, ha smentito la colorita ipotesi, offrendoci una spiegazione decisamente più probabile, benché meno affascinante. Il cane solare, a quanto pare, sarebbe un prodotto del ghiaccio…
Il primo aspetto da considerare, quando si prende in esame questo particolare fenomeno atmosferico, è che non si tratta assolutamente di un caso raro. Non siamo di fronte ad un qualcosa di paragonabile all’eclissi, bensì un’occorrenza facente parte della categoria degli aloni, come l’arcobaleno o l’arco circumzenitale. I cani solari del parelio possono manifestarsi, in effetti, in qualsiasi periodo dell’anno ed a qualunque latitudine, a patto che nel cielo siano presenti un particolare tipo di nubi, definite cirri. Ovvero di un tipo filiforme e quasi invisibile (come “strisce di stoffa”) ma cariche di cristalli di ghiaccio appiattiti e… Qualcos’altro. Elettricità statica, la stessa alle origini dei fulmini nei temporali. Ciò che avviene quindi, per l’effetto del campo magnetico terrestre, è che dette minuscole lenti simili a prismi, dalla forma per lo più ottagonale, si muovano come una sol cosa, riorientandosi con aspettativa perversa verso il terreno. Arrivando a generare, in cielo, la figura di questo cerchio di luce, che s’ispessisce in prossimità della loro presenza, formando i due “cani”. L’effetto si presenta per lo più di colore bianco, benché sia documentato anche il rosso tendente al blu, con lievi sfumature di arancione. I colori del parelio tuttavia, contrariamente al già citato arco che si diceva conducesse nel Valhalla, non sono mai particolarmente saturi e quindi facili da definire.
Il che, incidentalmente, ci conduce al più specifico problema di questo grande spettacolo della natura: generalmente, i due falsi soli tendono infatti a comparire direttamente sopra la testa dell’osservatore, troppo vicini rispetto alla più potente lampada che galleggia nel nostro cielo. Di conseguenza, che qualcuno alzi lo sguardo per prenderne nota è improbabile, ed anche in quel caso, egli riuscirebbe a distinguere ben poco ad occhio nudo. Diverso è il caso in cui l’allineamento dei cristalli si verifichi a bassa quota, potenzialmente negli orari cardine dell’alba o del tramonto, momento in cui la mistica apparizione può durare anche dai 15 ai 40 minuti. Aristotele nel 350 a.C, all’interno del suo trattato Metereologia, fa riferimento senza chiamarlo per nome all’occorrenza di un parelio del tutto eccezionale, durante il quale i due soli addizionali sorsero all’alba e percorsero l’intero cielo assieme a quello principale nel corso della giornata, per tramontare pacificamente con lui al momento del vespro. Oggi, tale descrizione viene ritenuta, tuttavia, un’esagerazione influenzata dal mito o il sentito dire. Oggi lo studio delle scienze terrestri applicate all’astronomia ci permettono di ipotizzare l’aspetto dei cani solari su altri pianeti del nostro sistema, come i giganti gassosi Giove e Saturno. Dove, ritengono gli esperti, la generosa presenza atmosferica di gas come ammoniaca e metano permetterebbero la formazione di fino a cinque false immagini della stella centrale.
L’esperienza della Santa Trinità che incoraggia le truppe alla battaglia di Mortimer’s Cross sarebbe stata determinante per il giovane Duca di York. Al punto che da quel momento, egli avrebbe cambiato il suo emblema per includere una figura reinterpretata del dio romano Sol Invictus, ovvero quello che in britannia avrebbe preso il nome di Sunne in Splendour, un volto tracciato in giallo, circondato da emanazioni solari che s’irradiano in campo bianco. Un’immagine oggi piuttosto diffusa nella cultura di Internet, grazie alla sua comparsa nel videogioco di grande successo Dark Souls, dove campeggiava sulla casacca del nostalgico cavaliere errante, Solaire. La cui triste vicenda degna d’Italo Calvino, come ultimo rappresentante di un ideale cavalleresco ormai decaduto, trova un cupo risvolto storico, nella discendenza del duca e sovrano Edoardo di Rouen. Che dopo l’eccezionale vittoria e quella immediatamente successiva di Towton, sconfitte del tutto le truppe fedeli ai Lancaster, non si sarebbe più fermato, fino all’acquisizione per se stesso del premio più agognato, il sommo scranno del trono d’Inghilterra.
Fu un periodo intenso per il paese, quello trascorso sotto lo scettro di Edoardo IV (regno: 1461-1483) ed illuminato nell’attenzione ai bisogni del popolo e un’apertura diplomatica con i Luigi di Francia, con qualche momento di spietatezza, vedi la condanna nel 1478 di suo fratello minore George ad essere affogato in una botte di vino di Malmsey, causa presunta congiura. Ma ciò non era poi così insolito, a quel tempo. Se non che, il sovrano commise un grave errore: non seppe mettere al sicuro la sua discendenza. Egli aveva infatti deciso, al momento della sua morte per malattia nel 1483, di affidare i due figli di 12 e 9 anni al lord Protettore Richard, Duca di Gloucester. Se non che costui, deciso a prendere per se il potere, li fece immediatamente imprigionare nella Torre di Londra, momento a partire dal quale nessuno li avrebbe visti mai più.
Ed è proprio in questo tragico risvolto, secondo alcuni, che ricompare un’immagine metaforica dei sun dog: il sole centrale, sulla via del tramonto. E le due immagini periferiche, pronte ad ereditare la sua posizione di preminenza. Tuttavia trascinate, sempre più lontano, dal vento di un’alba diversa.