Il 26 aprile 1986, durante un test sulla sicurezza condotto a tarda notte, il mondo fu svegliato bruscamente alla scoperta di una nuova terribile verità: il reattore della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, si era surriscaldato bruscamente, e nulla sarebbe mai più stato lo stesso. Ma mentre le onde radio venivano saturate dai notiziari televisivi, dai messaggi delle istituzioni di risposta ai disastri, dalle comunicazioni tra i diversi enti preposti alla definizione di una zona d’esclusione, qualcuno si rese conto all’improvviso di un nuovo, inspiegabile silenzio. Per la prima volta da esattamente 10 anni, tra le frequenze tra i 7 e 19 MHz, il Picchio Russo taceva. I radioamatori increduli di mezzo mondo, più stupiti che preoccupati per gli eventi avvenuti in un paese tanto lontano, iniziarono a scambiarsi commenti sulla linea di: “Allora vuoi vedere che…” oppure “Possibile…” seguito dal risolutivo “Ecco dov’era!” Questo perché una delle basi militari più segrete e tecnologicamente avanzate di tutta l’Unione Sovietica, che si trovava a poca distanza dal centro dell’area radioattiva, era stata evacuata. E il possente impianto metallico da cui prendeva il nome, nome in codice assegnato dalla CIA – STEEL YARD, spento a tempo indeterminato. Probabilmente nessuno ne avrebbe sentito la mancanza.
Per molte persone, per molto tempo, tutto questo fu soprattutto un suono: Il battere ripetuto, come di un becco di volatile contro il tronco, che oscillava sulle onde radio con una potenza tale da disturbare i dispositivi di ricezione casalinghi. Lo si sentiva ovunque soprattutto nel suo paese di provenienza, al punto che i migliori televisori sovietici iniziarono ad essere venduti con un apposito apparato di compensazione, in grado di smorzare almeno in parte l’effetto chiaramente udibile dalla provenienza misteriosa. Negli Stati Uniti, dove il segnale giungeva con potenza altrettanto costante, iniziarono naturalmente a sovrapporsi le teorie di complotto: il “Picchio” doveva chiaramente essere un apparato di controllo climatico, oppure un sistema russo per controllare la mente delle persone. Eppure, per essere un mistero tanto evidente alla scansione anche amatoriale delle onde radio, nessuno sapeva ufficialmente della sua esistenza. Secondo le guide cartografiche della regione di Chernobyl, tutto ciò che si trovava in quel luogo era un campo estivo dei giovani Pionieri, la versione sovietica dei Boy Scout. Gli abitanti del posto, naturalmente, sapevano: difficile non notare un assembramento di quelli che sembravano essere una ventina di pali della luce sovradimensionati, con un altezza massima di circa 300 metri, collocati nel bel mezzo della foresta ucraina settentrionale, dietro un attraente cancello verde militare con la stella rossa del Comintern. La voce quindi iniziò a girare. E ben presto, chi di dovere, venne informato della verità: gli scienziati russi avevano raggiunto una nuova vetta nella costruzione di radar OTH (Over The Horizon) e adesso, per la prima volta, avrebbero ricevuto l’informazione sul lancio di un eventuale missile balistico americano ancor prima che questo riuscisse a lasciare il bunker, potendo quindi prepararsi ad intercettarlo e se ritenuto opportuno, contrattaccare. Il nome dell’impianto, invece, fu reso noto soltanto al momento della sua chiusura definitiva nel 1989, due anni prima del crollo dell’Unione Sovietica: Duga, la parola in russo che significa “arco”. La ragione della sua fine non fu una mancanza di fondi o una disgregazione anticipata delle istituzioni, tutt’altro: finalmente, il governo centrale era riuscito a portare a termine il programma per il lancio in orbita dei sette satelliti US-KS (Upravlyaemy Sputnik Kontinentalny Statsionarny) dotandosi di un sistema di rilevamento perfettamente in pari con quello statunitense. La guerra fredda, a quel punto, non aveva più bisogno di titaniche antenne.
Eppure finché restò in funzione, nessuno avrebbe mai messo in dubbio l’efficacia del sistema Duga, di cui furono costruite tre versioni, l’ultima delle quali trovò l’impiego per il periodo più lungo e sull’area maggiore. Si trattava di un’evoluzione estremamente più funzionale del progetto statunitense/inglese denominato Cobra Mist, che aveva visto il posizionamento di una gigantesca antenna da 10 MW di potenza nella regione del Suffolk, senza sapere che una fonte non identificata di disturbo radio, iniziata nel 1972, era destinata a renderlo del tutto inutilizzabile pochi giorno dopo la sua accensione. Nessuno dei tre impianti Duga, con estrema fortuna dei loro costruttori, fu mai condizionato da un simile problema. Il principio di funzionamento, tuttavia, era lo stesso…
Nota: nel video di apertura Bionerd23, celebre divulgatrice su Internet in materia atomica e nucleare, nonché appassionata esploratrice della Zona d’Esclusione di Chernobyl, si arrampica sulle possenti antenne dello Steel Yard, oramai un relitto ricoperto dalla ruggine dei decenni.
La questione di usare il rimbalzo delle onde radio per rilevare la presenza di armi o veicoli estranei all’interno di un’area fu sempre condizionata, fin dall’epoca della sua invenzione da parte dei militari inglesi durante la seconda guerra mondiale, da un limite apparentemente non superabile: la naturale curvatura del pianeta Terra. Poiché un’antenna, non importa quanto avanzata, non può che emettere la sua energia in una configurazione lineare, direzionata verso la possibile provenienza dei nemici. Ma se questi si trovano vicino al suolo, ed a distanze superiori alla linea dell’orizzonte, non potrà fare assolutamente alcunché per rilevarli. Ecco perché, quando possibile, i radar venivano collocati al di sopra di colline o massicci montuosi. È una semplice verità geometrica che più ti trovi in alto, maggiormente riuscirai a scrutare al di là di un ostacolo. Anche se tale ostacolo è il suolo stesso. Il principio dei radar OTH o BTH (Beyond the Horizon) invece, era diverso. Poiché fu scoperto in maniera indipendente, dai produttori al servizio delle diverse potenze, che lo strato dell’atmosfera terrestre noto come ionosfera tendeva a riflettere i segnali radio verso il terreno. E che era possibile, quindi, farli rimbalzare intenzionalmente, confidando nel fatto che una volta raggiunto l’obiettivo dell’aria da scansionare, tali onde si dirigessero nuovamente verso il cielo, percorrendo immancabilmente il percorso a ritroso. Ciò, tuttavia, significava inviare un segnale abbastanza forte, e continuo, da non cessare di esistere all’inevitabile contatto con il terreno. In altre parole, l’unica risposta era costruire un’antenna che fosse sufficientemente grande. La vertiginosa velocità dell’eventuale missile balistico, a quel punto, sarebbe stato rilevato grazie alla presenza dell’effetto doppler nel segnale di ritorno.
Il primo impianto Duga fu costruito presso Mykolaiv, nel sud del territorio Ucraino. Questo perché la particolare regione confederata dell’URSS fu considerata quella più adatta a rilevare i segnali provenienti dal più pericoloso nemico dello stato, ovviamente i terribili americani. Nella sua prima versione, il sistema Steel Yard era costituito da un unico trasmettitore/ricevitore, che si rivelò tuttavia meno che ideale ad assolvere all’ardua missione per cui era stato edificato. Si costruì quindi una seconda versione presso lo stesso sito, il Duga-2, dotato di doppia antenna per assolvere separatamente alle due mansioni, tuttavia, l’array creava interferenze a danno di se stesso ed ancora non riusciva a garantire un’idonea copertura dell’intero territorio dell’Unione. Così si giunse all’idea risolutiva: una nuova duplice struttura, composta in effetti da due basi, l’una con l’antenna di trasmissione e l’altra finalizzata a ricevere il segnale di ritorno, sita a circa 60 Km di distanza dalla prima. Esse vennero quindi rispettivamente collocate pochi chilometri a sud-ovest di Chernobyl, e 50 a nord-est della stessa pacifica cittadina. È inutile specificare che all’epoca, nessuno avrebbe immaginato quello che sarebbe venuto dopo. Per lungo tempo i tentativi di triangolazione a distanza del segnale non permisero di comprendere esattamente la configurazione del sistema Duga-3, che venne erroneamente collocato, di volta in volta, presso Kiev, Minsk, Gomel o Chernihiv. Finché gli esperti della CIA e le altre agenzie del blocco occidentale non riuscirono a identificare quel codice pseudo-casuale binario a 31 bit, con pulsazione di 3,1 ms. Quando poi, venne acceso un ulteriore fonte del segnale sita in un punto imprecisato della Siberia, chiaramente finalizzata a coprire i punti ciechi del primo, la questione fu finalmente chiara: i russi erano in ascolto, e nulla sarebbe sfuggito alle loro orecchie di enormi conigli d’acciaio sotterranei.
Il radar Duga si è trasformato, negli anni, in una conoscenza occasionale della cultura Pop, mostrata ogni qualvolta si parli di Chernobyl e talvolta, anche soltanto per suscitare un vago senso di estetica brutalista sovietica, magari perché no, connotata da uno stato avanzato di degrado. I videogiocatori del settore PC ne ricorderanno ad esempio la presenza all’interno della serie fantascientifica S.T.A.L.K.E.R, dove prendeva il nome di Brain Scorcher, riprendendo le teorie secondo cui lo strano segnale avesse lo scopo d’influenzare o disturbare la mente umana. Nel più recente fenomeno competitivo online PUBG (Playerunknown’s Battlegrounds) le antenne “Steel Yard” compaiono come parte dello scenario nella base sull’isola militare, luogo altamente consigliato per paracadutarsi se si vuole terminare la propria partita nel giro 15-20 secondi. La loro forma svettante, sebbene ridotta e semplificata rispetto alla versione reale, costituisce una silenziosa ma appropriata testimonianza di quanto lo stile ingegneristico e della tecnologia sovietica abbia lasciato il segno nella cultura globalizzata dei tempi moderni. In maniera parallela, e non necessariamente contro, l’influenza del cinema hollywoodiano e delle architetture antropocentriche Made in U.S.A.
Oggi il concetto stesso di radar OTH è inevitabilmente decaduto, vista l’efficacia decisamente superiore offerta dai sistemi satellitari, che premettono di localizzare un segnale con la precisione di mezzo metro o meno. Sistemi molto più piccoli di antenne in grado di percepire il proprio rimbalzo, nonché meno costosi, stanno tuttavia trovando l’applicazione in ambito soprattutto navale, con lo scopo di rilevare il traffico dei contrabbandieri o degli importatori di droga. L’immediatezza e la versatilità del radar, come soluzione tecnica, resta difficile da superare. Imprevisti incidenti atomici, permettendo.
1 commento su “Duga-3: la fortezza elettromagnetica contro i missili nucleari”