Ciò che vola, talvolta non può che volare, in funzione delle sue caratteristiche aerodinamiche che ridirezionano la forza del vento. Inghiottendola in un buco nero sotto forma di ali e carlinga, che misteriosamente genera portanza. Certe volte, tuttavia, ciò che vola non dovrebbe neppure staccarsi da terra. Tozzi, sghembi, tutt’altro che affusolati. Quando il presidente Trump, all’inizio del suo mandato, fece visita alla nuova portaerei USS Gerald Ford prossima al completamento presso i cantieri di Newport, in Virginia, per il suo atteso discorso sul “Riportare agli antichi fasti l’arsenale americano” dietro la forma rassicurante dell’elicottero VH-3D “Marine One” (controparte con rotore del più rinomato Air Force) campeggiavano due sagome mostruose, dinnanzi alle quali persino il mostro di Frankenstein sarebbe stato chiamato “un tipo”. Il muso simile a quello di un aereo di stazza media, le ali ridicolmente piccole, due eliche giganteggianti, la coda biforcuta che ricorda vagamente quella dell’A-10 Thunderbolt II, l’aereo celebre per essere stato costruito attorno ad un cannone. Ma qui è palese, al primo o secondo degli sguardi, che ci troviamo su un diverso livello di stranezza, un’altra dimensione dell’inaspettato campo della scienza tecnica applicata. Non tutti sanno in effetti che per le trasferte nazionali che coinvolgono l’intero staff della Casa Bianca, ovvero quelle che non prevedano necessariamente l’impiego di uno dei due 747-100 presidenziali, l’usanza vuole che il grosso dell’entourage di The One viaggi a bordo dei più grossi elicotteri a lungo raggio a disposizione dei corpi militari statunitensi. I quali, per ironia del processo ingegneristico aerospaziale, non sono più propriamente, degli elicotteri. A partire dal 2007, quando entrò in servizio il primo convertiplano prodotto in serie dell’intera vicenda fluttuante umana.
Una contraddizione a cui si arrivò per gradi. Ovviamente, tutto ebbe inizio dall’epoca della seconda guerra mondiale, quel grande calderone dalle drammatiche conseguenze, che bene o male (decisamente più male che bene) rimescolò le nazioni, costringendole ad analizzare ogni centimetro di vantaggio funzionale che potessero acquisire sopra, sotto e dietro il campo di battaglia. La Germania, forse proprio in funzione dell’eclettismo disfunzionale della sua classe dirigente, fu notoriamente maestra in questo, producendo il più alto numero di prototipi avveniristici, non tutti destinati a giungere a un’impiego effettivo. Tra questi, alcuni dei primi e maggiormente significativi esperimenti nel campo degli elicotteri. Fu così che verso la fine del 1941, il Reichsluftfahrtministerium (Ministero dell’Aviazione del Reich) stabilì un mandato presso l’importante industriale e fornitore d’aeromobili Heinrich Focke, per un nuovo tipo di caccia da combattimento, che fosse in grado di effettuare il volo VTOL (fluttuare immobile nel vasto cielo). Costui lavorando quindi, con il suo collega e pilota Gerd Achgelis, riuscì ad assemblare nelle sue fabbriche il primo esemplare di quella che si sperava, sarebbe diventata la serie Fa 269, un aeromobile di 8,93 metri di lunghezza armato di due cannoncini da 30 mm, i cui propulsori ad elica avevano una caratteristica particolare: potevano essere riorientati a 90°, per puntare in senso perpendicolare al terreno. Dell’apparecchio non si sa più nulla: esso compare soltanto in alcuni disturbati video di prova, in cui viene usato nella configurazione di elicottero per sollevare da terra alcuni carichi pesanti, dimostrando la potenza del suo motore BMW 801. Esso non fu mai usato in battaglia. Al termine del conflitto gli Stati Uniti vennero a conoscenza di tale (ed innumerevoli altri) progetti decidendo di farli propri, un po’ come era capitato con l’elite degli ingegneri missilistici al servizio del Reich. Dopo tutto, immaginate di cosa stiamo parlando? La praticità d’uso e versatilità di un elicottero, unita al raggio e l’affidabilità di un aereo. Qualcosa di straordinariamente utile dal punto di vista della logistica militare. Fu quindi il presidente Harry Truman (mandato: 1945-1953) a formalizzare per primo questa esigenza, dando inizio al progetto inizialmente segreto dal nome di XV (Experimental Vehicle). Il primo prodotto di questa iniziativa fu commissionato alla McDonnell, che riuscì nel 1954 ad assemblare una nuova versione del concetto di elicottero, dotato di un doppio jet a turbina di coda che poteva spingerlo fino a 322 Km/h. Esso non era, tecnicamente, ancora un convertiplano, bensì una sorta di versione a reazione del concetto di girocottero. Ma risultò soprattutto straordinariamente costoso, per un guadagno di prestazioni irrisorie rispetto alla sua complessità produttiva. Per qualche tempo, dunque, i presidenti americani dovettero ancora accontentarsi del loro classico Marine One.
Il sogno non fu mai del tutto accantonato. Il convertiplano è un concetto che ritorna più volte nel corso della storia dell’aeronautica, a partire dalla sua prima concezione nel 1920 da parte dell’ingegnere Frank Vogelzang. Offrendo sempre prestazioni ineccepibili sulla carta, ma che poi si ritrovano condizionate da problemi di costi e una sostanziale inaffidabilità dovuta alla complessità dei suoi componenti primari. Esiste tuttavia un campo in cui quel particolare vertice del triangolo dell’ingegneria è l’unico rilevante, e questo campo è ovviamente quello militare. A seguito della successiva serie fallimentare (ovvero non conduttiva alla produzione in serie) dei veicoli del progetto XV, avvenne un fatto di cronaca che convinse l’amministrazione statunitense che si, decisamente occorreva rinnovare la flotta elicotteristica a medio e lungo raggio al servizio del paese più forte del mondo. Era il 1980, e il movimento popolare degli studenti al supporto dell’Imam Khomeini avevano preso in ostaggio 55 funzionari dell’ambasciata statunitense in Iran, inducendo l’allora presidente Jimmy Carter a dare il via libera all’operazione Eagle Claw. Sulla carta, un formidabile colpo di mano: una task force di 93 soldati altamente addestrati della neonata Delta Force (il corpo delle forze speciali “invisibili”) assieme a 43 tra soldati “normali”, rangers ed addetti alla comunicazione parlanti la lingua persiana sarebbero piombati sull’ambasciata, paracadutandosi da tre aerei da trasporto C-130 per portare via gli ostaggi a bordo di camion forniti dalla CIA, mentre ricevevano copertura da sei elicotteri Sikorsky CH-53 Sea Stallion. Ma gli ufficiali di stato maggiore che avevano supportato l’idea non avevano fatto i conti con il clima problematico dei deserti dell’Iran, in grado di generare fenomeni atmosferici come l’haboob, un’enorme nube di polvere sottile, in grado di mandare in avaria i sistemi dell’avionica di un elicottero che vola a bassa quota. Uno di essi tra l’altro aveva già subito un’avaria. Quando il capitano del successivo, a causa dei danni subiti, decise di non essere in grado di continuare la missione, questa dovette essere cancellata, con grande risonanza mediatica e una pessima figura per il presidente. L’Ayatollah avrebbe quindi annunciato, con orgoglio ed enfasi, che Dio aveva sollevato la polvere per proteggere l’Iran.
Gli ostaggi, che nel frattempo erano stati spostati in luoghi ignoti, sarebbero stati recuperati soltanto nel 1981, al termine del mandato di Carter, tramite accordi diplomatici di natura segreta. Durante la presidenza successiva di Reagan, a quel punto, il messaggio fu chiaro: gli Stati Uniti avevano bisogno di un convertiplano, in grado di volare più alto e volece di un haboob. E doveva essere realizzato con tutti i crismi migliori del caso.
Il primo volo del V-22 Osprey, nome in codice JXV-15, fu effettuato nel 1989. Esso costituiva la risultanza di una collaborazione tecnica tra la Boeing Vertol (divisione elicotteri del gigante dell’aeronautica) e la Bell, già produttrice di un alto numero di mezzi destinati a fregiarsi del titolo di Marine One. Congiunzione a cui va aggiunta la sempre rilevante Rolls-Royce, produttrice dei due motori AE 1107C contenuti nelle gondole direzionabili che permettono allo strano velivolo di sollevarsi da terra. Manovra che può essere effettuata in configurazione VTOL, ovvero verticale, con orientamento consono dei propulsori, oppure STOL (Short Take Off and Landing) direzionabili a 45°, per sfruttare al meglio l’intero ponte della portaerei (il passaggio completo da volo elicotteristico ad aereo richiede soli 9 secondi). Il primo periodo di test non fu esattamente privo di incidenti. Il problema principale dell’Osprey è che esso, a causa della meccanica del suo sistema di trasmissione, non è particolarmente adatto a sfruttare l’autorotazione, ovvero il fenomeno che consente agli elicotteri, se dotati di un pilota sufficientemente calmo ed abile, di planare fino a terra, salvando per quanto possibile la vita dei propri passeggeri. Aggiungete a questo il fatto che pur avendo due motori, nel caso in cui un’elica cessi di funzionare il velivolo non è assolutamente in grado di mantenersi in aria, necessitando quindi di fermare immediatamente anche la seconda, per tentare la fortuna in un atterraggio di emergenza. Proprio per questo, l’Osprey è dotato di un sistema che gli permette di alimentarle entrambe da uno solo dei due powerplants Rolls Royce. Però questo può servire a ben poco, nel caso di guasti meccanici o al sistema di pompaggio del carburante. Inoltre con la sua particolare configurazione aerodinamica, il convertiplano è statisticamente più propenso allo sviluppo di una pericolosa condizione nota come VTS (Vortex Ring State) in cui la formazione di vortici d’aria attorno al rotore causano una perdita di portanza, con conseguente sviluppo di uno stato di stallo. Oggi, i piloti dell’Osprey sono sottoposti ad uno speciale corso d’addestramento per riconoscere e compensare i segni di un simile disastro. Ma non fu sempre così. Nel corso del suo periodo di rodaggio, dunque, lo strano apparecchio è andato incontro a ben nove incidenti con perdita completa del velivolo, costati complessivamente la vita a 39 membri dell’equipaggio. Ed è forse proprio per questo, che ancora oggi esso viene usato per trasportare lo staff del presidente ma non lui stesso, che deve necessariamente accontentarsi di un elicottero tradizionale.
Dato l’armamento relativamente leggero, inclusivo generalmente di una mitragliatrice portatile posizionata in corrispondenza del portellone ed una piccola torretta a controllo remoto sotto il muso, definita IDWS, l’impiego bellico del V-22 Osprey è stato fin’ora piuttosto limitato. Le sue funzionalità logistiche e di trasporto remoto, tuttavia, si sono dimostrate impeccabili in diverse occasioni. E non credo vada neppure sottovalutato l’effetto appariscente che fa uno di queste inconcepibili creature della scienza, quando posa fragorosamente i suoi piedi su una giganteggiante e placida portaerei, a fronte di un discorso del capo al suo pubblico in sala. Per quante critiche si possano muovere ai “grandi bambini” che guidano e condizionano l’equilibrio delle potenze internazionali, ben pochi potrebbero negare questo: i loro giocattoli sono assolutamente di prima classe. Molto più divertenti, e persino educativi, di quanto riesca a sfornare ogni giorno la fantascienza dell’intrattenimento televisivo e generalista. Giusto un po’ meno innocui, questo si…