La terribile sfida dei 100 dossi in autostrada

Tutti ricordiamo l’esistenza di un’Età dell’Oro, in cui le auto circolavano felicemente per le strade senza alcuna traccia di catene imposte alla normale viabilità urbana. Poi vennero gli irresponsabili, con la loro abitudine a percorrere determinate strade a una velocità eccessiva. Che cosa avrebbe mai potuto fare, a quel punto, la società civile? Furono installati semafori addizionali, posti vigili a controllare gli incroci. Ma nessuno può essere sempre attento, 24 ore su 24, per evitare infrazioni della legge da parte di chicchessia. In una notte priva di stelle, dunque, tra le fronde di un bosco antico, i progettisti stradali e i capi ingegneri si riunirono attorno ad una stele di pietra, con le mani protese in segno d’inimmaginabile preghiera. Intonando un’invocazione agli Dei del sottosuolo, ricevettero un’ispirazione diabolica, ma funzionale. “Steve, Steve, ascoltami. Ho avuto un’idea…” Disse il più anziano di loro, le rughe sul volto simili a una cartina stradale, il cappello a punta da stregone di un giallo paglierino un po’ come il casco da cantiere che avrebbe dovuto ricordare: “…E se noi mettessimo un qualcosa… D’irregolare, laddove l’automobilista si aspetta un manto stradale del tutto privo della benché minima asperità? Un DOSSO, per così dire…” Steve apparve pensieroso, quindi iniziò lentamente ad annuire. Un fulmine squarciò in quel momento il cielo notturno, dividendo le tenebre di un mondo addormentato. Ma il vero incubo doveva ancora incominciare….
Situazione allarmante a 130 Km/h: siete in marcia verso la vostra destinazione elettiva, come la spiaggia dove cogliere gli ultimi sprazzi d’estate, piuttosto che la convention internazionale degli appassionati della beneamata serie di Alf – Un alieno in famiglia. Il veicolo a quattro ruote di famiglia procede ad un ritmo sostenuto, mentre le sottili vibrazioni del volante trasmettono ordinatamente, alla parte più primitiva del vostro cervello da rettile, la benché minima asperità del terreno. Sotto ogni punto di vista, siete diventati l’automobile, e la strada appartiene a voi. Quando al volgere di un singolo secondo, lungo la linea dell’orizzonte, scorgete sulla striscia d’asfalto qualcosa d’inaspettato. Come un’escrescenza, la cresta di un dinosauro, il dorso del serpente sotterraneo che striscia sotto l’incoscienza dell’odierna collettività. “Se non fosse impossibile, direi che sembra…” Iniziate a sussurrare basiti. Ma il tempo raggiunge rapido l’epoca del suo esaurimento. Mentre il semiasse anteriore arriva in corrispondenza dell’inaspettato oggetto, il parafango corrispondente inizia immediatamente ad accartocciarsi. Il contraccolpo vi scaraventa contro il volante, mentre l’airbag si apre secondo il preciso copione subito seguìto da quelli laterali, e la poppa della vostra nave in tempesta inizia minacciosamente a sollevarsi. Quindi prendete il volo. Mentre il veicolo si dispone a 45 gradi, con il muso che punta verso il terreno ad un’altezza di circa due metri e mezzo, dal parabrezza è possibile scorgere l’orribile verità: non una, bensì altre 99 di questi pericolosi DOSSI, vi aspettano a seguito di un delicato, già sufficientemente pericoloso atterraggio. È esattamente in quel momento che suona l’orologio del forno. Il pranzo è pronto. Con un sospiro, premete il tasto di pausa e spegnete il monitor. Ancora una volta, la marcia inesorabile del tempo ha avuto la meglio sulle esigenze della Simulazione.
E. Che. Simulazione! Stiamo parlando, per inciso, di un software ludico che ha cinque anni di storia, così efficientemente messo alla prova e sfruttato dal canale specializzato di YouTube DestructionNation, che ha imparato a suonarlo letteralmente come fosse un violino di Stradivari (per milioni, e milioni di vi$ualizzazioni). Il suo nome è BeamNG.drive e proviene, come spesso è già capitato nell’ultima decade, non dal mondo dei grandi produttori internazionali d’intrattenimento digitale, bensì dall’universo degli sviluppatori indie, piccoli gruppi d’appassionati tipicamente riuniti nel garage di casa, in grado di mettere in codice la loro personale visione per il futuro dell’informatica di consumo. Ma piuttosto che farlo negli ambiti sempre più redditizi dei social networks, delle app per cellulari, del marketing online, il programmatore tedesco noto come Pricorde & co. fecero una semplice osservazione sulla realtà: di tutte le situazioni rappresentate nei videogiochi ad alto budget, ce n’era una che presentava qualità estetiche decisamente deludenti: l’incidente automobilistico. Rimboccando quindi le maniche delle loro camice, iniziarono a chiedersi che cosa potessero fare per migliorare sensibilmente le cose…

Ve li ricordate gli ormai leggendari incidenti riprodotti nella serie Burnout? Nient’altro che scenette precalcolate, in cui le automobili rimbalzavano di qua e di la alla maniera di scatole di scarpe, passando rigidamente da uno stato “integro” a “danneggiato”. QUESTE sono le vere lacrime e sangue tra lamiere contorte dalla crudeltà dei programmatori.

Il motore di deformazione e danneggiamento fisico noto come Beam venne rivelato al pubblico esattamente l’11 agosto 2005, con la prima release del videogioco/tool simulativo del tutto open source (gratuito e modificato dalla comunità) intitolato Rigs of Rods. Originariamente concepito come una piattaforma per un futuro videogioco di corse off-road, forse ispirato al recente successo del titolo 1nsane di Codemasters, esso costituiva in realtà poco più di una prova di fattibilità, anche vista la componente estetica non propriamente al passo coi tempi, basata sul motore grafico, anch’esso gratuito, OGRE 3D (Object-Oriented Graphics Rendering Engine). Esso presentava, tuttavia, almeno un tratto assolutamente rivoluzionario: la capacità di simulare il danneggiamento degli autoveicoli sulla base di calcoli di tipo soft-body, ovvero finalizzati a mostrare la natura deformabile degli oggetti in movimento. Qualcosa di letteralmente inaudito, soprattutto a quel tempo, nell’industria dei videogiochi, tranne che alcuni limitati effetti, come la stoffa o i capelli del personaggio principale. Ma non certo su tale scala, e con una simile complessità procedurale, che teneva conto dello stress strutturale prima di calcolare il raggiungimento del punto di piegamento e rottura. Nonostante la natura non commerciale del prodotto quindi, o forse proprio per quella, attorno al suo sito ufficiale nacque una fiorente community, di utenti disposti a produrre spontaneamente nuovi veicoli, mappe e contenuti per Rigs of Rods. Proprio tra loro, il primo programmatore Pricorde seppe quindi individuare un gruppo di fedelissimi, che dopo un lungo periodo di pianificazione invitò a lavorare con lui. Tra loro Tdev, che si era mostrato interessato a mantenere ed aggiornare il codice secondo le esigenze dello sviluppo progettuale, assieme al suo collega Ulteq e Gabester, un designer veicolare di considerevole talento. Dall’unione di queste quattro figure, quindi, nacque la BeamNG. Un’azienda disposta a sfidare il concetto stesso di cosa dovesse essere, in effetti, un gioco di guida.
Qualcuno ha giustamente fatto notare come da un certo punto di vista, il progetto avesse sbagliato il suo target. In un settore come quello dei giochi d’azione, in cui ciò che conta è soltanto l’estetica per sommi capi, a chi sarebbe importato impegnare preziosi calcoli del processore soltanto per acquisire l’assoluto realismo dei (seppur frequenti) incidenti causati dal giocatore? Mentre nei veri simulatori di guida, molto spesso, sono le aziende che concedono in licenza le loro preziose automobili a dare l’ordine specifico che non queste non possano danneggiarsi se non in maniera estremamente limitata. Contrariamente a quanto succede nel cinema di Hollywood, aggiungerei, dove Ferrari o Lamborghini trasformate in letterali palle di fuoco sono poco meno che pane quotidiano per un pubblico dagli occhi sempre più iniettati di sangue. La loro passione, tuttavia, era questa, e ben presto dal sogno venne infine concretizzato un prodotto. Il suo nome era BeamNG.drive. Oltre due anni dopo, si trova ancora in Early Access su Steam.

Nelle prime versioni del software mostrato alla stampa di settore, la componente grafica era gestita dal Cryengine di Crytek, con un risultato esteriore decisamente più affascinante. Purtroppo, tale soluzione si rivelò inadeguata a gestire i calcoli del Beam, e si dovette passare al più rudimentale Torque di GarageGames.

Osservando approfonditamente i machinima (cortometraggi creati a partire da un videogioco) del canale DestructionNation, è possibile scorgere le caratteristiche di un futuro che doveva essere già arrivato, ma in qualche fastidiosa maniera, è sfuggito dalle mani dell’attuale generazione di videogiocatori. Un nuovo genere di giochi in cui l’automobile è una parte dello scenario, per così dire, mobile, e colui che ne codifica i comportamenti non dovrà verificarli uno per uno. Semplicemente perché sarà il computer a farlo, in corso d’opera e grazie al processo della fisica soft-body. Ma se così non è stato, perché? Forse al di là degli ostacoli già citati, c’è un altro, fondamentale problema alla diffusione commerciale del motore grafico Beam: il suo provenire, per l’appunto, dal mondo degli sviluppatori indipendenti. Immaginate voi la figura di un game designer capo, inserito come figura cardine all’interno di un progetto multimilionario, che ad un certo punto va dal produttore e dice: “Avete presente i nostri oltre 200 tra artisti grafici, programmatori, addetti alla creazione di asset di vario tipo? Ecco, adesso mettiamoli a lavorare su qualcosa di nuovo. Voglio che costruiscano il gioco attorno all’opera autogestita di quattro ragazzi tedeschi, che l’hanno distribuita per anni in maniera del tutto gratuita al vasto pubblico del web.” Letteralmente impensabile: sarebbe come mettere Harrison Ford a recitare in una fanfiction di Guerre Stellari, creata da un gruppo di studenti a una scuola di cinema, per quanto abili possano risultare. Non che iniziative simili per sommi capi, nella storia dell’intrattenimento, siano sempre risultate fallimentari. Ma l’industria dei videogiochi, oggettivamente, non è ancora abbastanza matura e cosciente di se stessa da poter percorrere serenamente una simile strada. Siamo ormai sempre di più a chiederci quando, finalmente, riuscirà a diventarlo.

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