L’associazione è chiara nella fantasia popolare, in funzione del famoso detto in dialetto napoletano: “Ogni scarrafone è bell’ a mamma soja” rivolto generalmente a persone considerate non molto attraenti ed all’affetto che le lega all’unica donna che, nella vita, sarebbe propensa a sopravvalutare le loro qualità esteriori. Nessuno tuttavia pensa, realmente, che il cosiddetto insetto che teme la luce (questo il significato letterale del termine latino blatta) abbia un legame particolare con la sua prole, né che ce l’abbia la termite, sua più prossima parente dal punto di vista della classificazione animale. Pensate all’artropode medio, che cosa vi viene in mente? La rapida deposizione della propria ootheca, ovvero la sacca delle uova, in un luogo ritenuto adatto perché sopravviva fino alla schiusa. E poi… Basta. Non c’è altra protezione, non c’è allattamento, nutrimento, sostegno morale di nessun tipo. Nel caso della sempre temuta Blatella germanica tra l’altro, la nascita delle nuove generazioni può essere talmente rapida che ogni singolo decesso infantile viene immediatamente sostituito da letterali dozzine dei suoi fratelli, rendendo del tutto impensabile l’applicazione della cosiddetta strategia evolutiva K, che consiste nell’assicurarsi per quanto possibile che una quantità ridotta di eredi raggiungano a loro volta l’età riproduttiva. Ed il problema, dal punto di vista scientifico, è in fin dei conti proprio questo: parlare di un concetto generico di scarafaggi, a partire da caratteristiche che sono proprie delle specie maggiormente infestanti, essenzialmente una percentuale minima delle varianti totali esistenti su questa Terra. Quattro tipologie, non una di più. Su 4.600 totali circa. Non c’è poi così tanto da restare sorpresi, quindi, se tra una simile varietà esiste anche il caso di madri amorevoli, che farebbero di tutto per assicurarsi la sopravvivenza dei loro piccoli, la pupilla dei loro occhi, gli esseri più belli che abbiano mai avuto modo di conoscere, zampettando allegramente per l’ombroso sottobosco natìo.
E non è certamente soltanto questo, il tratto distintivo del Macropanesthia rhinoceros, anche detto blatta rinoceronte o litter bug (insetto spazzino) nel suo nativo Queensland, luogo selvaggio ed umido a settentrione del continente australiano. Una creatura che pur appartenendo nominalmente all’ordine dei Blattodei, ha altrettanto a che fare con il comportamento scaltro e scattante dei più detestabili visitatori delle nostre case, quando una piccola tartaruga dall’indole gentile. Che scava buche profonde a un metro di profondità. E poi, ci sono le dimensioni: 80 mm dalla testa alla parte più estrema delle placche dorsali, essenzialmente abbastanza da poter ricoprire completamente un palmo umano. Anche la dieta, per lo meno in natura, risulta essere stranamente specifica: stiamo parlando di un insetto che si nutre quasi esclusivamente di foglie secche dell’albero di eucalipto, processandole e riciclandole in maniera organica affinché diventino un qualcosa in grado di concimare il suolo. Da questo punto di vista considerato, quindi, una creatura utile, lo scarafaggio in questione dimostra tuttavia anche un altro merito, la responsabilità amorevole per la sua prole. Animali generalmente solitari, contrariamente alle già citate blatte germaniche, i Macropanesthia non sono in grado di riprodursi per partenogenesi, dovendo quindi trovare una compagna attraverso il richiamo dei suoi feromoni, che li condurrà auspicabilmente all’obiettivo agognato della riproduzione. Una volta fecondata, quindi, la femmina terrà le preziose uova all’interno del suo stesso corpo (ovoviviparità) fino al momento della schiusa, che finirà per assumere quindi le caratteristiche di un parto. Generalmente, di non più di 10-11 cuccioli semi-trasparenti. Nel frattempo anche lui, padre amorevole, sarà rimasto nei dintorni con la consorte, ad aiutare con l’ampliamento della buca e per portare riserve di cibo in essa. Risorse che dovranno servire a fornire il sostentamento alle ninfe, la versione neonata di loro stessi. Creaturine destinate a compiere una metamorfosi parziale nel corso dei prossimi cinque anni e 12 o 13 mute dell’esoscheletro, prima di aver raggiunto l’età adulta e contestualmente, la metà esatta della loro durata di vita presunta.
Già, avete capito bene! La longevità di simili creature è in assoluto la più significativa della loro intera famiglia, nonché tra le maggiori di tutti gli insetti, soprattutto quando si considera come non ci sia alcuna fase d’ibernazione e conseguente rallentamento del metabolismo, come avviene ad esempio nel caso delle cicale. Cosa che è bastata a renderli, alquanto inaspettatamente, uno dei più desiderabili e costosi animali che possano essere introdotti nel terrario domestico di un appassionato.
Semplice da nutrire, estremamente resistente al freddo e alle malattie (tutti gli scarafaggi sono davvero proverbiali in questo) con nessuna esigenza di dimostrazioni d’affetto o gente sempre pronta a fargli compagnia; anzi è persino possibile dimenticarsi di averne uno, mentre quest’ultimo segue il suo istinto scavando in profondità nel sostrato di cui dovrà essere stato fornito. Il litter bug è sotto molti punti di vista, la creatura domestica definitiva. Aggiungete poi che a differenza dei suoi colleghi più piccoli, non può volare né correre molto velocemente, ed avrete anche uno dei più accessibili e controllabili insetti per chi voglia praticare questo particolare approccio all’amore verso i nostri amici animali. Un’accessibilità che non si riflette, purtroppo, nel prezzo medio: un singolo esemplare di Macropanesthia in età riproduttiva può arrivare a costare fino a 100 dollari o più, davvero uno sproposito rispetto a qualsiasi altro artropode terrestre ad essere normalmente commercializzato. Le ragioni sono diverse, a partire dalla sua lentezza di maturazione, oltre alla difficoltà nell’ottenere i permessi che consentono di esportarlo al di fuori del territorio australiano. Aggiungete a questo la lunga durata della vita, che si presume aggiunga un “valore” ulteriore all’acquisto, ed avrete una creatura il cui allevamento in serie potrebbe risultare non soltanto soddisfacente, bensì giungere ad offrire i propositi di un vero e proprio affare. Certo, tutto questo a patto di saper trovare dei compratori per un beniamino vivente tanto insolito e su cui persiste un così vasto catalogo di pregiudizi.
Odiato in maniera estrema e spesso con ottime ragioni, persino lo scarafaggio meno auspicabile del senso comune (ovvero una di quelle succitate quattro specie infestanti: Supella longipalpa, Blatella germanica, Periplaneta americana e Blatta orientalis) è in realtà del tutto innocuo per le forme di vita superiori. Molti non sanno in effetti come in tutta la storia dell’umanità, non ci sia stato un singolo caso di epidemia o altra contaminazione dovuta alla presenza di questi insetti, che proprio per questo vengono considerati nel settore delle disinfestazioni come portatori di un grave danno d’immagine ma nessun effettivo pericolo immediato. Gli animali in questione non sono inoltre inerentemente più “sporchi” di qualsiasi altra creatura cammini a pochi millimetri da terra, benché le secrezioni di talune varietà, in particolare quella germanica, siano associabili ad un odore caratteristico e nauseabondo. Gli scarafaggi sono dunque indifesi, innocui, naturalmente spaventati dalla luce. Che cosa abbiamo effettivamente da temere, dunque, da loro? La risposta possibile è soltanto una: la loro terrificante proliferazione. La capacità, in determinate circostanze, di soverchiare completamente la nostra presenza, trasformandoci in note a margine tra mura che, dal punto di vista oggettivo, dovrebbero appartenere esclusivamente a noi. Da questo punto di vista, il litter bug australiano è quanto di più tranquillo si possa riuscire ad immaginare.
Immaginate, di contro, lo scenario: se simili giganti fossero grado di riprodursi su vasta scala, non arrivando ai loro miseri 100-150 figli nel corso dell’intera vita (bé, per un insetto non sono tantissimi) bensì a, 10.000, 15.000 che cosa succederebbe su questa Terra? Anzi, che cosa sarebbe già successo, da tempo… Difficile non pensare, in tale ipnotico contesto, allo scenario post apocalittico del recente manga giapponese Terra Formars, di Yū Sasuga e Kenichi Tachibana, in cui scarafaggi sottoposti a manipolazione genetica si sarebbero evoluti per diventare esseri antropomorfi più forti, e talvolta intelligenti, dei loro stessi ex-padroni umani. Ed in effetti più di un personaggio tra i capi delle loro tribù marziane, nell’intreccio fantascientifico della narrazione, si prestavano ad essere interpretati come una diretta derivazione della specie Macropanesthia, biologicamente superiore e molto più longeva del comune appartenente alla famiglia dei Blattodei. Il più forte del mondo. Il più grosso e possente. L’unico ad aver raggiunto il suo pieno potenziale, grazie alle cure e l’incoraggiamento di un’amorevole coppia di genitori.