Considerato tutto il tempo che ha richiesto il lungo viaggio della sonda Cassini-Huygens dalla Terra fino a Venere, poi intorno a quel pianeta incandescente per sfruttare l’effetto fionda della gravità nell’invertimento di rotta fin qui ed oltre, verso i distanti anelli di Saturno, è singolare che alcuni degli effetti nella presentazione scientifica dei dati abbiano assunto una natura del tutto sorprendente. Come per il fatto che sia possibile recarsi una mattina su Google Earth per controllare un itinerario, scorrendo accidentalmente la rotellina del mouse in senso inverso dal massimo livello di zoom. Soltanto per allontanare e “liberare” la visuale, ritrovandosi di fronte a una nutrita barra laterale di possibilità. Raffigurante… I pianeti rocciosi ed alcuni delle lune più importanti del nostro particolare angolo di spazio siderale. Intendiamoci, non è che qui siano presenti soltanto i mosaici grafici delle fotografie scattate dalla sonda più avanzata della storia. C’è anche, ad esempio, una dettagliata mappa della nostra familiare luna notturna. E una versione ruotabile per circa metà della sua circonferenza di Plutone, il recentemente declassato pianeta “nano” che si trova agli estremi margini di quanto siamo riusciti ad inquadrare di non stellare coi nostri telescopi migliori. E poi Venere, Marte, Mercurio. Quest’ultimo in particolare che può sorprendere, per la somiglianza esteriore con il già citato satellite del nostro Pallido Puntino Blu. Menzione a parte meritano Ceres, l’unico asteroide del gruppo (dopo tutto, è il più grande che conosciamo) Ganimede, principale luna di Giove e una versione navigabile e cliccabile dell’ISS, la Stazione Spaziale Internazionale. Non che fosse particolarmente attinente allo specifico contesto. Ma le vere star dello show sono, a mio parere, proprio loro: Titano, Rea, Giapeto, Dione… Oggetti più grandi di alcuni dei pianeti fin qui citati, e facenti parte a pieno titolo di un vero e proprio sistema all’interno del sistema, il secondo, e certamente il più bello, dei corpi più grandi osservabili nelle nostre immediate vicinanze. Le Sidera Lodoicea (Stelle di Luigi XIV) come aveva scelto di chiamarle il Cassini storico, in onore del suo re e nella stessa maniera in cui Galileo definì “Medicee” le lune di Giove, con riferimento alla più importante famiglia fiorentina del Rinascimento italiano. Luoghi letteralmente sconosciuti al cinema di fantascienza, ed altrettanto poco discussi nei libri di testo scolastici e nei rari documentari d’astronomia. Eppure tra i migliori candidati, in più di un caso, come possibili spazi abitati da forme riconducibili al nostro concetto di forme di vita complessa, nascoste tra rocce che forse, un giorno, arriveremo per ribaltare.
La vera star della serie, ovviamente, è Titano: con una massa che è il 75% di quella di Marte, e quindi definita Luna unicamente in funzione della sua orbita dipendente da quella del gigantesco Saturno, per la prima volta mostrato con un livello di dettagli notevole, grazie ai sedici passaggi ravvicinati portati a termine dalla sonda Cassini Huygens, prima dello sgancio, il 14 gennaio 2005, del suo dispositivo di atterraggio e rilevamento, che continuò a funzionare per circa 2 ore inviando sulla Terra dati importanti e la fotografia di una singola inquadratura di una valle pietrosa, paragonabile a quelle dei due più celebri rover marziani. E sembra quasi di poter navigare, alla maniera di tali veicoli, tra un cratere e l’altro, attraverso l’alternanza di territori scuri e chiari che è una caratteristica tipica anche degli altri maggiori tra i 55 fratelli che ruotano attorno a Saturno. Al che, sarà opportuno specificarlo a questo punto, incontreremmo potenzialmente qualche problema. Questo perché, nella consueta fretta di suscitare l’interesse collettivo implementando qualche nuova funzione, Google sembrerebbe aver commesso un errore piuttosto madornale. O per meglio dire, parrebbe averlo fatto Björn Jónsson, “artista astronomico” a cui il blog ufficiale attribuisce la giunzione ed annotazione delle mappe. Almeno al momento in cui scrivo, quasi 24 ore dall’implementazione del sito, che tutt’ora presenta la nomenclatura topografica di queste lune invertita di 180 gradi. Casistica facilmente verificabile nel caso di Mimas, il corpo celeste spesso paragonato alla Morte Nera di Guerre Stellari per la presenza di un gigantesco cratere da impatto nella sua regione equatoriale, denominato Herschel, dal nome dell’astronomo e compositore tedesco. Ebbene tale nome compare, purtroppo, dalla parte diametralmente opposta della sfera crivellata dagli asteroidi. Altro che senso unico invertito sull’itinerario del TomTom…
Seconda in ordine di grandezza è Rea, denominata dalla titanide della mitologia greca figlia di Urano e la dea primordiale della Terra, Gea. Nonché sorella e moglie di Chrono, e madre di Zeus. Un nome decisamente altisonante dunque, per una luna fotografata per la prima volta da vicino negli anni ’80, grazie all’impiego delle due sonde Voyager, e che colpì gli osservatori in primo luogo per una disparità nella sua composizione, con i crateri maggiori tutti concentrati lontano dai poli e dall’equatore. Composta quasi interamente di ghiaccio, incluso secondo le più recenti ipotesi il suo nucleo, questo corpo astrale potrebbe ospitare anche un vasto oceano sommerso, come la più famosa luna Europa di Giove. Un’ipotesi che conduce alla presenza probabile di vita, e che appare ancora più probabile nel caso di Encelado, sesta luna saturniana per dimensioni, in cui tale massa d’acqua dovrebbe trovarsi, secondo l’ipotesi più accreditata, a poche centinaia di metri dalla superficie, presentando condizioni non dissimili da quelle dell’Artico terrestre. Nulla è impossibile, a questo punto, inclusa la presenza di pesci ed altri organismi multi-cellulari. Encelado presenta inoltre la caratteristica di essere attivo dal punto di vista geotermico, eruttando occasionalmente dei poderosi geyser che ora sappiamo essere i principali responsabili dell’anello E, catturato e mantenuto in posizione dall’attrazione del gigante gassoso sottostante. Una manifestazione di energia in eccesso che potrebbe derivare dai residui di un precedente rallentamento dell’orbita di questa luna, causata dalla sua carenza dal punto di vista dell’equilibrio idrostatico, una caratteristica comune a molte delle lune maggiori di Saturno. Come anche Giapeto, la terza per dimensioni dopo Titano e Rea, il più grande oggetto noto i cui fluidi non compensano vicendevolmente le rispettive pressioni, con l’effetto di uno schiacciamento ai poli che gli dona una forma obloide fin dall’epoca della sua formazione, con una maestosa cordigliera nel suo punto di cesura centrale. Una luna suddivisa, in maniera ancor più evidente di quanto succede a Titano, in due emisferi dal grado di luminosità estremamente diverso, talvolta paragonata ai lembi di una palla da tennis, che si abbracciano l’uno all’altro. Una condizione che si ritiene causata dal suo ampio contenuto di metano, ghiaccio o ammoniaca, che alla base di un’attività vulcanica di eruzioni magmatiche saltuarie, in grado di ricoprire e ricolorare intere aree del suo vasto paesaggio, soltanto apparentemente immoto.
A chiudere la carrellata dell’offerta saturniana di Google ci pensa Dione, con le sue singolari striature luminescenti, oggi ricondotte alla presenza di un qualche tipo di attività criovulcanica, forse la causa di ricadute di neve o cenere che possiamo osservare, in maniera perfettamente analoga, sul nostro accogliente e comparabilmente solitario pianeta Terra.
C’è sempre un momento di transitoria delusione, nel percorso astronomico di adulti e bambini, quando si giunge ad apprendere che i due più grandi pianeti del Sistema Solare, Giove e Saturno, nonostante l’aspetto vivace ed attraente, sono degli ammassi di vari gas, sui quali sarebbe del tutto impossibile far atterrare una navicella di qualsivoglia tipo. Per non parlare della loro forza gravitazionale terrificante, paragonabile a quella di una stella in miniatura. Cosa che dopo tutto, in un certo senso, effettivamente sono. Ma la realtà è che il diavolo si nasconde, come quasi sempre accade, nei minimi particolari. Quelle 55 letterali pietruzze, scagliate a molti chilometri al secondo esattamente come la nostra Luna, che per quanto ne sappiamo potrebbero costituire altrettanti mondi, luoghi futuri d’appartenenza per un’umanità ormai capace di spostarsi liberamente tre le sue più prossime regioni del cosmo. Certo, il viaggio interstellare ci sembra sempre di più una chimera: noi primati evoluti, che in meno di tre quarti di secolo passammo dal primo volo all’atterraggio lunare, ma che ora che è trascorso un tempo quasi paragonabile, fatichiamo anche a spingere i nostri sogni fino alle distese battute dal vento del solo ed unico pianeta rosso. Ma persino i più pessimisti, ritengo, non potranno negare che un giorno, inevitabilmente, ci spingeremo fin quaggiù. Non per conoscere un singolo e inutile pianeta, ma tutta la sua famiglia, quel significativo 4% della massa complessiva composto da Titano, Rea e gli altri. E sarà forse proprio allora, che incontreremo per la prima volta una qualche forma di vita extraterrestre.
Speriamo soltanto che per allora, Google abbia finalmente corretto l’errore delle etichette sui crateri sbagliati. Restiamo tutti in trepidante, oserei dire spaziale attesa.