Nella percezione umana della circostanze geologiche, nulla genera un senso maggiore d’inquietudine dell’espressione: “la furia della montagna”. Un sentimento immaginario, di cose enormi che non possono neppure concepire la loro stessa esistenza, il quale conduce generalmente ad un determinato tipo di eventi, riassumibili con l’espressione Vulcanismo. Niente di peggio, nulla di persino più terrificante. Del magma sotterraneo che riemerge, per colare inesorabile verso la vita degli insediamenti umani. Le Hawaii conoscono fin troppo questa sensazione, vista l’occorrenza più o meno annuale, di intere isole che devono spostare i propri insediamenti, mentre molti dei più preziosi tesori umani (la casa, i campi, i ricordi) vengono inghiottiti dalla pietra fusa che avanza. Sapete dove invece, parlando in senso generale, non ne sanno proprio alcunché? In Himalaya ovviamente, sul tetto del mondo, dove gli unici vulcani più o meno attivi si trovano nel gruppo occidentale di Kunlun, dove l’episodio massimo è un’emissione di timido fumo ogni tanto. Il che non significa del resto, che il paese dalla più antica e celebrata espressione del Buddhismo Mahayana sia del tutto immune dalla “furia della montagna”. Che tende ad esprimersi attraverso un metodo di certo meno incandescente… Ma non per questo, privo di un potenziale distruttivo senza limiti potenziali. Si tratta di una scoperta nuova, nel senso che a giudicare dal successo avuto dal qui presente video su Weibo e gli altri social network cinesi proiettati verso la diffusione internazionale, non molti avevano visto qualcosa di simile prima d’ora. E del resto, l’aspetto estetico dell’episodio assomiglia a qualcosa di fuoriuscito dalla serie cinematografica de La Storia Infinita, la mano metaforica di un pianeta che si ribella a ciò che i suoi occupanti hanno avuto il coraggio di fare. Così in senso figurativo, come nella realtà dei fatti: poiché ciò a cui stiamo assistendo, è stato valutato dagli scienziati interpellati sull’argomento, costituisce probabilmente una diretta risultanza del mutamento climatico causato dall’effetto serra: siamo dinnanzi al freezer terrestre che decide di sbrinare se stesso.
Ovvero non si tratta di una comune frana o slavina di fango, né di un qualche tipo di flash flood, causata a monte del grande plateau. Bensì di un qualche cosa di ben più preoccupante in senso sistemico, poiché potrebbe verificarsi di nuovo in qualsivoglia momento. Per chi non avesse familiarità con il termine permafrost, spieghiamone brevemente il significato: stiamo parlando di un tratto di suolo che si ritrova ghiacciato per l’effetto delle basse temperature, riuscendo a restare tale per un periodo di almeno due anni. Dopo di che, il più delle volte, non si squaglia mai più. In tale espressione topografica, che ricopre il 24% dell’emisfero settentrionale, non sono sempre, né frequentemente presenti grosse masse d’acqua congelate, come in un ghiacciaio, bensì delle venature rigide d’umidità nascosta, all’interno dell’ammasso stesso del suolo, che donano al paesaggio un particolare aspetto definito come termocarsismo. Affinché queste possano liquefarsi, dunque, è necessario un aumento sostanziale delle temperature. Così come è stato registrato negli ultimi anni nell’intera regione dell’Himalaya, fatta eccezione per i picchi più alti, in congiunzione con un progressivo processo di desertificazione dell’altopiano centrale. Incapace di mantenere una quantità considerevole d”acqua, quindi, la terra viene spostata lungo le pendici dall’effetto dei venti. E una volta raggiunta la pendice congelata, inizia a gravare con il suo peso, finché non si raggiunge la massa critica e si genera il disastro. Una visione apocalittica, per piccole comunità come queste, o nello specifico la famigliola che sembra aver prodotto il qui presente video, a cui il verificarsi improvviso dell’episodio è costato la piccola struttura mobile che usavano come ranch e per buona misura, anche l’unica automobile in loro possesso. L’esatto luogo in cui si svolge la scena non è stato pienamente determinato, anche se gli utenti dei social media e una scienziata corrispondente del National Geographic, Mika McKinnon, sembrano aver riconosciuto una valle in prossimità del villaggio di Dimye, nella contea di Yushu, prefettura di Qinghai. Ovvero nel Tibet storico, ormai facente parte del territorio cinese.
Gli effetti del termocarsismo, generalmente, non sono particolarmente distruttivi. Così come i mutamenti del terreno calcareo dovuti alle infiltrazioni d’acqua, da cui prendono il nome, essi costituiscono piuttosto l’origine di certi tipi di paesaggio, attraverso una trafila che normalmente può durare anche svariati milioni di anni. Ma a differenza di questi ultimi, ciò di cui stiamo parlando stavolta è una mera conseguenza di condizioni climatiche che l’uomo, in maniera assolutamente involontaria, si è dimostrato in grado di modificare attraverso le attività della moderna società industriale. “Sai che c’è…” Potrebbe dire qualcuno: “Se distruggere qualche piccola comunità in Tibet o in Siberia vuol dire continuare a fare un uso indiscriminato dell’automobile, sperperare a piacimento l’energia e godere dei vantaggi del progresso scientifico nel corso della mia vita, poco importa!” E invece importa moltissimo, eccome. Questo perché la liquefazione del permafrost, generalmente, porta con se un evento ben più grave della semplice frana: il liberamento delle sostanze chimiche contenute al suo interno. Metano e altri gas, ma soprattutto, anidride carbonica, in quantità tale che nessuna foresta del pianeta possa efficientemente riuscire a riconvertirla in ossigeno vivificatore. Ora naturalmente, finché simili eventi colpiscono solamente una quantità limitata di aree geografiche, non potrà esserci un effetto misurabile sulle condizioni dell’intero pianeta. Eppure in epoche estremamente remote, almeno un evento apocalittico si è verificato sull’onda di condizioni simili, generate da cause del tutto diverse: il Massimo termico del Paleocene-Eocene (circa 55,5 milioni di anni fa) quando per una sorta di tempesta perfetta delle condizioni ambientali, furono rilasciate nell’atmosfera svariate migliaia di gigaton C (10 gigatoni) di anidride carbonica, causando estinzioni di massa e una drastica riduzione delle varietà biologiche sulla Terra. Alcuni ipotizzano, in effetti, che un qualcosa di simile potesse aver annientato, già 10 milioni di anni prima, l’intera popolazione dei dinosauri.
Quanto presto, dunque, ci aspetta un destino altrettanto crudele? Come potrete facilmente immaginare, le stime variano, tuttavia studi del National Snow and Ice Data Center statunitense sembrano aver dimostrato come entro il 2200, il 60% del permafrost dell’emisfero occidentale sia destinato a franare a valle nella modalità mostrata poco sopra. E possiamo soltanto vagamente immaginare quale effetto potrà avere il suo contenuto gassoso sulla salute della nostra già sofferente atmosfera. Già nei prossimi anni, è stato valutato da uno studio di Ellen Dorrepaal et al, potremmo arrivare a rilasciare tra i 38 e 100 milioni di tonnellate l’anno. E questo senza prendere in considerazione la quantità prodotta dalle nostre industrie e lo stile di vita urbano. A conti fatti, sembra proprio che la corrente instabilità geopolitica possa ben presto diventare l’ultimo dei nostri problemi.
Ed il problema è che come al solito… Non se ne parla in maniera adeguata, approfondendo cause e conseguenze. Sussiste in modo particolare tra l’elite governante dei paesi attualmente più significativi, questa percezione illogica secondo cui ogni paese debba agire secondo la propria personale coscienza, perseguendo finalità che comportino in primo luogo la stabilità economica, e soltanto secondariamente, attenzione ai problemi del clima. Il rifiuto unilaterale da parte degli Stati Uniti degli accordi sul clima di Parigi non è che un segnale evidente di questa linea di pensiero, secondo cui, se una nazione è a posto con i suoi obiettivi di riduzione dell’impronta geotermica, essa non ha poi alcun motivo di fare il possibile perché ciò avvenga anche altrove. E poi, l’aumento delle temperature non è mai stato provato, giusto? Voglio dire, siamo ancora tutti quanti “vivi” (più o meno…)
Comprendiamo perfettamente il concetto di globalizzazione sociale, ma non quello ben più semplice di eventi su scala planetaria, secondo le regole ancestrali della natura. Per cui se un pezzo di montagna cala a valle in Tibet, il suo contenuto gassoso permea anche la nostra aria e ingrandisce lo stesso buco dell’ozono. Forse ce ne renderemo conto quando l’onda finale sommergerà l’intero mondo del poderoso e invincibile Occidente. Ma allora, è ragionevole affermarlo, sarà già troppo tardi per cambiare le cose.