Nel robot da combattimento Megabryoz, ogni elemento costituente ha il suo ruolo e la sua funzione. Tigrid, il grande felino che si trasforma nella gamba destra, identifica il nemico e manovra il sistema di volo durante le trasferte lunari. Rhingo il rinoceronte/gamba sinistra, è in grado di correre sulle ruote o lanciare missili dal suo ginocchio. Il falco e il gufo che formano le braccia, Apex e Zenith, sono combattenti all’arma bianca dalle competenze straordinariamente varie, in grado d’impugnare spade, lance, alabarde. Mentre Justin la grande tartaruga, ritirando la testa, diventa un torso del tutto impervio a qualsiasi attacco del nemico. Basta però che uno solo dei veicoli costituenti sia assente nel momento della mega-trasformazione, affinché essa diventi letteralmente impossibile da portare a termine. Se uno degli eterogenei e inaffidabili piloti dovesse un giorno ubriacarsi, svegliarsi per il verso sbagliato, innamorarsi o vincere al SuperEnalotto, il male avrebbe vita straordinariamente facile per un’intera settimana. Quindi al minimo, il pianeta sarebbe invaso da pericolose creature aliene. Un po’ come avviene nel nostro organismo, nel caso di disfunzioni ad un organo come fegato, polmoni, pancreas o cuore. Si, sapete quale sarebbe la soluzione? Non avere componenti specializzati tra le proprie cellule costituenti, bensì piccoli granuli indipendenti. Talmente adattabili che se un giorno, qualcuno dovesse tagliarci a metà, ben presto potremmo rigenerarci. Ed allora, d’un tratto, esisterebbero due di noi. Storia impossibile per gli umani. Tutt’altro che impensabile per una creatura principalmente costituita da gelatina e…
Siamo nel cuore verde di un’intera città, la vasta riserva naturale di 405 ettari che costituisce, al tempo stesso, l’orgoglio e la principale attrattiva turistica della città di Vancouver. Un intero habitat, con foreste, colline, radure abitate da letterali dozzine di animali diversi, molti dei quali appartenenti a specie protette o facenti parte di assi migratori importanti. Coronato, nella sua parte centro-orientale, da un corposo bacino chiamato la Laguna Perduta. Non perché sia inesplorato (stiamo parlando, dopo tutto, di una città da oltre 600.000 abitanti) bensì per una vezzo della celebre scrittrice del XIX secolo, E. Pauline Johnson, che si lamentò poeticamente della maniera in cui la sua riva preferita tendesse a scomparire, per l’effetto del clima e delle maree. Già perché all’epoca, in effetti, questo luogo non era un lago, bensì la riva dell’Oceano Pacifico, finché nel 1916, non senza critiche da parte dei cittadini per la spesa tutt’altro che trascurabile, l’amministrazione non decise di costruirvi attorno una strada rialzata. Ed a quel punto, la sua esistenza diventò fissa ed indipendente per tutta l’eternità. O almeno così si pensava, finché l’estate particolarmente secca del 2017 non portò ad un calo sensibile del livello dell’acqua, con conseguente istituzione di un BioBlitz d’emergenza della Stanley Park Ecology Society, un ente affiliato al Dipartimento Parchi della città. Stiamo parlando, per essere più precisi, di un insolito evento giornaliero in cui scienziati, naturalisti ed esperti di tassonomia incontrano la gente comune, per istituire gruppi di ricerca temporanei finalizzati a riconoscere, e possibilmente catalogare, il maggior numero di specie animali presenti all’interno dei confini urbani. Procedura in grado di condurre, in questo specifico caso, ad almeno una scoperta estremamente degna di nota: la presenza di numerosi esemplari di Pectinatella magnifica, per la prima volta avvistati ad ovest del fiume Missouri.
Qualcosa di non tanto splendido quanto il suo nome farebbe pensare… Anzi, qualcuno potrebbe addirittura definirlo orribile, nella sua appartenenza estremamente rappresentativa al phylum dei briozoi. Dei letterali ammassi marroni dalla forma non definita, che alcuni hanno ben pensato di definire animali-muschio, per l’impossibilità sostanziali d’inserirli all’interno di categorie biologiche esistenti. Se osserviamo dunque l’albero della vita, li troveremo lungo la diramazione dei protostomi, ovvero gli animali che hanno una sola apertura per fungere da bocca ed ano, in un singolo ramo del tutto privo di ulteriori suddivisioni. Qualcuno ipotizza una vaga parentela con determinati vermi marini, ma ciò resta una teoria per lo più priva di fondamento. Dunque per quanto ne sappiamo essi semplicemente esistono, fin dagli albori dei tempi, risultando il prodotto di un sentiero evolutivo tra i più diretti e sicuri, mirante al raggiungimento della più perfetta collaborazione tra esseri potenzialmente distinti. Esattamente: ciascuno di questi “piccolini” (che possono in realtà raggiungere la dimensione di un pallone da basket sgonfio) nasce come una singola larva o zooide, dalle dimensioni inferiori al millimetro, che quindi clona se stessa infinite volte, fino alla costituzione dell’ammasso informe che stiamo per andare a descrivere più nei dettagli.
Ciascun individuo che forma l’ammasso finale, dunque, è una creatura polipoide racchiusa all’interno di uno zoeecio, sorta di conchiglia chitinosa che può essere dotata, o meno, dell’opercolo di chiusura. La sua corona sporgente, detta il lofoforo, presenta una certa quantità di tentacoli impiegati per trarre nutrimento dalle correnti marine, catturando il plankton e gli altri microrganismi di passaggio, loro malgrado. Una volta superato lo stadio di ancestrula (entità indipendente) e nutritosi a sufficienza, l’animaletto inizia quindi a replicare se stesso infinite volte in maniera asessuale, con lo scopo di proteggersi dai pericoli del vasto mare. In questa configurazione di massa infatti gli individui al centro dell’ammasso risulteranno estremamente difficili da divorare per i predatori ittici, che il più delle volte si limiteranno a mangiucchiare la parte esterna del misterioso agglomerato (difficile immaginare che abbia un sapore particolarmente buono). Nel caso Pectinatella magnifica poi, specie atipica in quanto adattata a sopravvivere in acqua dolce, è possibile anche la riproduzione sessuale, mediante un metodo che prevede il rilascio di ovuli o sperma nell’acqua, confidando che questi incontrino la controparte, generando la nuova generazione di ancestrule e successive colonie. In caso di situazioni di pericolo estremo o necessità di migrare, poi, i briozoi hanno un’ultima modalità di riprodursi all’interno del proprio ventaglio di possibilità: la produzione di statoblasti o “nuclei di sopravvivenza” concettualmente non dissimili dalle gemmule delle spugne marine. Questi agglomerati di zooidi tenuti assieme da un muco più duro, quindi, possono rotolare sul fondale, oppure venire a galla ed attendere di restare impigliati nelle piume di qualche uccello che tenterà di mangiarli. Qualche ora, o persino diversi giorni dopo, ricadranno nel mare, iniziando l’immancabile proliferazione.
Come potrete facilmente dedurre da questa descrizione del loro ciclo vitale, i briozoi sono animali dalla notevole potenzialità infestante, che almeno in un caso, possono avere ripercussioni sull’economia umana. È stato prodotto nel 2013 infatti uno studio, ad opera del Dr. Timothy S. Wood dell’Ohio, che evidenziava come un improvviso aumento della popolazione di queste creature in prossimità di condotte o impianti di trattamento dell’acqua, avesse la tendenza per finire con un’ostruzione di tali strutture, e conseguente dispendiosa necessità d’intervenire con soluzioni di sterminio o ricollocamento. Un proposito tutt’altro che semplice, quando si considera come la maggior parte delle volte i briozoi vengano scambiati per alghe e conseguentemente trattati con sostanze assolutamente inefficaci. In presenza di veleno nell’acqua, lo strato esterno di zooidi può infatti sacrificarsi, trasformandosi in una barriera impenetrabile che difenderà il resto della colonia. Nonostante questo, la presenza di queste forme di vita biologiche all’interno di un bacino d’acqua viene in genere considerata un segnale positivo, poiché indica un certo grado di purezza dell’acqua e l’assenza di agenti inquinanti troppo significativi.
Questa intera classe di creature, che include sia specie di acqua marina che dolce, rappresenta uno dei rari casi in cui il riscaldamento terrestre sta avendo effetti positivi, piuttosto che sconvenienti. La loro presenza infatti, che normalmente non può verificarsi al di fuori dei mari tropicali, è stata in epoca recente registrata anche nei territori del più remoto settentrione, come appunto il Canada al di sopra dei Grandi Laghi. Un aspetto interessante di alcuni briozoi di acqua dolce, come il Pectinatella magnifica, è la loro capacità di spostarsi camminando letteralmente sul fondale in caso di necessità. Un’attività condotta tramite l’agitazione contemporanea di molte migliaia di lofofori, che gli permettono di raggiungere la non proprio ragguardevole velocità di un metro l’ora, con un considerevole dispendio d’energia. Proprio per questo, un simile approccio alla vita è considerato unicamente un’ultima risorsa, da mettere in campo nel caso di vere e proprie situazioni d’emergenza. Per il resto del tempo, il briozoa preferisce restare immobile e vegetare, nella consapevolezza che lo sconfinato progredire della natura, immancabilmente, si occuperà di lui.
Esseri senza cervello, sentimenti, una propria visione imperitura del mondo e della realtà delle cose. Che vivono soltanto per nutrirsi, riposare e riprodursi (NRR) la vita che fondamentalmente, vorrebbero fare tutte le creature semplici di questa Terra. Nonché indubbiamente, persino alcuni esponenti della nobile razza umana. I quali dal canto loro, si guardano bene dal coltivare il giardino dell’assoluta e imprescindibile collaborazione. Ed è forse proprio questa la loro più fondamentale debolezza.