Una foto può essere bella perché inspiegabile, però diventa ancor più memorabile, quando la sua stranezza approda nel porto sicuro della scienza astronomica, trovando il nesso e il senso della sua stessa esistenza. Questa è la scena: dal candido asfalto di una strada dell’isola di Oahu, quattro estrusioni metalliche gialle, del tipo generalmente collocato per agire come deterrente contro gli automobilisti maleducati, disegnano una linea immaginaria trasversale rispetto all’angolo di ripresa. Impossibilmente, essi sembrano fluttuare in corrispondenza di un punto indeterminato del pavimento. Perché… Non hanno ombra. Gli oggetti non presentano alcun tipo di ombra! Eppure, non si tratta di un’immagine elaborata al Photoshop, né lo screenshot di un videogioco con i dettagli grafici al minimo (anche se sembra entrambe le cose) soprattutto una volta considerato come un’automobile ed un distributore di bibite, ripresi ai margini dell’inquadratura, presentino la regolare zona scura al di sotto della loro tangibile opacità. La svista o stregoneria, miracolo o anomalia che dir si voglia, sembra ledere soltanto le convenzioni in materia di cose dritte, verticali e possibilmente, gialle. Tutto vero tranne l’ultimo punto e tutto dovuto, neanche a dirlo, alla grande lampada che risiede nel cielo. Il giallo, accecante Sole, sferoide fiammeggiante al di là del tempo iperboreo, che determina i giorni in funzione del movimento meccanico di un sistema. L’orologio cosmico dei pianeti di cui noi siamo, da un certo punto di vista, il fulcro pensante in questo piccolo angolo di cielo. Non le balene, con la loro saggezza profonda e la flemma delle epoche sommerse ed oscure; non le rapide scimmie, alla costante ricerca di soddisfazione immediata; e di certo neppure i corvi ed i pappagalli più introspettivi, benché essi completino la carrellata delle specie animali pensanti sul nostro pianeta. Soltanto gli appartenenti alla genìa degli umani, attraverso determinati passaggi della Storia, furono in grado di acquisire il segreto dell’occulta, eppure palese realtà.
Certo all’epoca di Eratostene (filosofo greco, terzo secolo a.C.) nessuno usava chiamarlo “mezzogiorno di Lahaina” per il semplice fatto che la parola Lahaina, per quanto ne sappiamo, ancora non apparteneva ancora al linguaggio comune di alcun popolo noto. Né kau ka la i ka lolo, che in lingua hawaiana significa “il Sole che batte sopra il cervello” eppure il fenomeno era noto, e annotato con grande attenzione dall’intero popolo di chi aveva un sufficiente spirito d’osservazione. Tanto che a lui, bibliotecario presso la grande collezione libraria della città di Alessandria, capitò di leggere un resoconto, proveniente dalla città di Syene 5.000 stadia (800 Km) più a meridione, in prossimità delle coste del Mar Rosso, in cui si parlava di uno strano fenomeno visuale. Quando, due volte l’anno in periodi dall’estrema regolarità, in prossimità del solstizio d’estate, tutte le ombre delle colonne del tempio sembravano scomparire, assieme a quelle degli obelischi e le altre strutture verticali, mentre la luce penetrava all’interno dei pozzi, illuminandone il fondo in maniera palese. Questo perché, benché non fosse ancora possibile determinarlo, Alessandria e Syene si trovavano rispettivamente al di sopra e al di sotto di quella linea immaginaria, che oggi prende il nome di tropico del Cancro. Che poi sarebbe l’esatta definizione geografica, assieme al sottostante tropico del Capricorno, dell’area entro cui il sole può trovarsi esattamente allo zenith, in funzione dell’inclinazione a 23,5° dell’asse di rotazione terrestre. O per usare un termine anglofono spesso frainteso, il cosiddetto high noon, che non è come spesso viene tradotto, semplicemente il mezzodì. Ne ciò che ha finito per indicare, tramite il fenomeno dello slittamento semantico coadiuvato da stereotipo cinematografico, ovvero l’ora fiammeggiante in cui si sfidavano a duello i feroci pistoleri del Far West. Bensì quello specifico momento, che capita esattamente due volte l’anno, in cui ci si trova nell’esatto punto sub-solare, e tutte le ombre cadono in maniera perfettamente verticale al di sotto dei nostri piedi. È perfettamente geometrico, un’esperienza quasi trasformativa: le persone vengono stampate in maniera esatta, con persino la forma del naso visibile sul pavimento. Gli animali quadrupedi, come i cani, appaiono a guisa di lucertole o insoliti coccodrilli. E i pali…Beh. Immaginate voi, di avere una forma perfettamente regolare, e una base d’appoggio larga più o meno quanto la sommità. La prova non è difficile da fare, neppure in casa: prendete una lampada mobile e puntatela sopra una penna, precedentemente disposta in equilibrio sulla superficie piana del suo cappuccio. Non ci metterete molto, a replicare il mirabolante fenomeno della sparizione dell’ombra di Peter Pan. Ma su scala maggiore, tutto appare assai più significativo e ricco d’implicazioni ulteriori. Non soltanto quelle dei benedetti cow-boys sanguinari, che in effetti aspiravano a un tale momento, per quanto possibile al di sopra dei tropici, allo scopo di raggiungere l’assoluta parità d’illuminazione, mirando…
Eratostene, dunque, lesse attentamente quel resoconto. E confrontandolo con le proprie conoscenze pregresse, giunse a porsi un’importante domanda: “Com’è possibile che nel giorno esatto in cui a Syene spariscono tutte le ombre, qui ad Alessandria non succeda alcunché di nulla?” I suoi studenti non seppero rispondergli. La gente per strada lo prese per uno stravagante profeta. I colleghi studiosi della biblioteca, dal canto loro, applicarono una sorta di primévo rasoio di Occam (la regola della “spiegazione più semplice”) esclamando: “Chiaramente, il racconto del fenomeno è falso.” Ma la mente del filosofo, che tende ad andare più a fondo, replicò allora che non c’era alcun motivo di inventare una fandonia in materia di fenomeni tanto mondani e insignificanti. Così pensò e pensò, arrivando a una facile conclusione: ovviamente, la Terra doveva essere una sfera. Soltanto in quel modo, era possibile spiegare il fatto che due strutture simili potessero gettare ombre tanto radicalmente diverse in uno stesso momento “x” del tempo. Calcolando quindi la distanze e le date, unite alla sua ipotesi di partenza, egli calcolò una presunta dimensione del nostro pianeta, equivalente a circa 50 volte lo spazio stimato tra Alessandria e la città di Syene. Ovvero 252.000 stadia. Nel 2012 lo studioso Anthony Abreu Mora ripeté lo stesso calcolo utilizzando una misurazione più precisa, riuscendo ad ottenere un risultato finale di 40.074 Km, soltanto 66 meno della precisa circonferenza oggi stimata del globo terrestre.
I popoli polinesiani, dal canto loro, diedero un’interpretazione diversa dell’intera questione. Loro che di stelle ed astronomia se ne intendevano tutt’altro che poco, vista l’importanza rivestita da esse nella navigazione attraverso gli sconfinati mari dell’altro lato. E questo senza neppure considerare l’attenzione riservata al calendario con finalità rituali, legate ai culti animistici della loro antica religione. Per loro, il momento altamente specifico del mezzogiorno di Lahaina, che oggi prende il nome da una specifica regione dell’isola di Hawaii (significato: il Sole crudele) era l’occasione in cui Ka Piko o Wakea, l’ombelico di Wakea (padre del Cielo) si allineava con l’ombelico della Madre Terra Honua, ovvero l’equatore. I piko, o punti energetici, nella cultura polinesiana tradizionale erano tre: il primo sulla sommità del cranio, in corrispondenza della fontanella, il secondo all’altezza dell’ombelico ed il terzo in corrispondenza dei genitali. Essi costituivano, come i chakra delle discipline orientali, l’origine di tutta l’energia spirituale dell’individuo, definita in questo distinto ambito culturale mana, o energia simbolica in grado d’influenzare l’Universo. Proprio per questo, il kau ka la i ka lolo era considerato un momento adatto alla realizzazione di prodigi, esattamente come le eclissi ma senza le stesse implicazioni tragiche e nefaste. Quel preciso e duplice momento, la prima volta nel nostro mese di maggio, la seconda a luglio, in cui l’ordinario cessa di esistere, e per una mezz’ora a partire da mezzogiorno, le condizioni del mondo appaiono radicalmente diverse dinnanzi allo sguardo incredulo dei presenti.
Ciò che ha un’ombra nei giorni sacri, dunque, può perderla. Ma potrà mai ritrovarla? Tutto dipende dal mana. Le proiezioni dei pali, come dicevamo, spariscono solamente all’interno dell’area dei tropici, poiché è qui che si sposta, un mese dopo l’altro, il punto della massima illuminazione sub-solare. Non è quindi sbagliato affermare che strutture come il Colosseo o l’arco di Costantino hanno sempre proiettato la loro immagine sugli spazi antistanti, e continueranno a farlo finché esisteranno per il volere dei costruttori. Così come la Torre Eiffel, la Statua della Libertà. O la siepe all’angolo del vostro giardino. E come, incidentalmente, l’obelisco del Vaticano di fronte a San Pietro, trasportato nel 40 d.C. ad opera di Nerone per il suo circo, a partire dalla città di Alessandria d’Egitto. Se però ce ne fosse stato un secondo, lì accanto, proveniente dalla più meridionale Syene, beh allora statene certi: sarebbe stata tutta un’altra Storia. Mentre cow-boy e fuorilegge, usandolo come una cosmica meridiana, sarebbero giunti fin qui dal Far West, per pianificare duelli, in occasione del prototipico high noon.