La figura in giacca e cravatta a lato della pista di decollo principale dell’aeroporto di Van Nuys si voltò verso il suo nutrito entourage di fisici, ingegneri, uomini d’affari e segretari. Nei suoi occhi risplendeva una luce che non si era vista da ormai da svariati anni : “Azcoltatemi, coleghi! Qvesto è il più importante mezzo che abbiamo per portare noztri piloti su Lùna.” Dietro di lui, svettante come un bizzarro e indecente animale, il più strano aereo che molti di loro avessero mai visto: le ali relativamente piccole, con quattro propulsori ad elica dall’aspetto già piuttosto desueto, in quel 1962 durante il quale persino in campo civile si preferiva impiegare i jet. Ma niente sembrava poter smorzare l’entusiasmo di Wernher Von Braun, il direttore del Marshall Space Center dell’Alabama e quindi, per estensione, una delle figure più importanti in quella particolare fase del programma spaziale americano. Personaggio controverso, non soltanto per la sua nazionalità tedesca ed il ruolo nell’invenzione della bomba V2: il progettista dell’unica arma che fosse riuscita a bombardare Londra, prima di essere espatriato negli Stati Uniti, era stato anche un nazista ed un membro delle SS (benché non per scelta) ed informazioni a quel tempo classificate lo ponevano come perfettamente al corrente delle atrocità commesse nel campo di concentramento di Mittelbau-Dora, da cui lui stesso prelevava i lavoratori da mettere all’opera nella sua fabbrica sotterranea di Mittelwerk. Il suo entusiasmo quasi infantile di quel giorno in cui tutto era stato perdonato, tuttavia, sembrava derivare da una parte completamente diversa di lui, l’infantile passione che gli aveva permesso di diventare un amico personale di Walt Disney, e realizzare assieme al grande intrattenitore una serie di documentari sullo sforzo statunitense per primeggiare lassù, nel cosmo conteso col grande nemico russo. La forma bombata dell’impossibile fusoliera d’aereo si stagliò nettamente, per qualche secondo, tra il cielo e la sua testa canuta, sembrando l’aureola della sua assoluta innocenza. Quando d’un tratto, il velivolo raggiunse la posizione designata ed una piccola figura umana iniziò a scendere dalla scaletta mobile già attentamente posta in posizione.
Il pilota, nonché progettista del Pregnant Guppy (Pesciolina Incinta) era John Michael “Jack” Conroy, un agile quarantenne dalla carriera pregressa ad Hollywood, rimasto celebre nei tardi anni ’30 per la sua partecipazione alla serie di film dei cosiddetti Little Tough Guys, un gruppo d’attori “affascinanti e un po’ maledetti” protagonisti del cinema d’intrattenimento di allora. Che successivamente al suo arruolamento durante la seconda guerra mondiale, aveva assunto il ruolo di pilota di una fortezza volante B-17, il che l’aveva posto, nei fatti, a capo di una squadra di nove membri dell’equipaggio. Finché nel 1942, durante una missione, non dovette paracadutarsi in situazione disperata sopra i campi nei pressi della città tedesca di Zelt, venendo preso prigioniero con un braccio e una spalla fratturati. Il che, lungi dal porre fine alla sua carriera, avrebbe piuttosto rafforzato una profonda passione per l’aeronautica, portandolo successivamente alla sua liberazione nel 1945 ad arruolarsi di nuovo nell’USAF, come pilota sperimentatore ed istruttore delle unità di riserva. Nel 1955, quindi, la singolare figura aveva completato il Progetto Boomerang, pilotando un caccia a reazione Sabre da questo stesso aeroporto di Van Nuys fino a New York e ritorno, nel corso di una sola giornata di volo. Un’operazione che stabilì numerosi nuovi record mondiali. Ma adesso, quasi 10 anni dopo, la commissione della NASA era lì per valutare un suo diverso presunto merito o stravagante follia: l’idea che fosse possibile trasportare i componenti dei loro razzi per via aerea, mediante l’impiego del più brutto e sproporzionato mezzo volante nell’intera storia dell’aviazione. L’ex eroe di guerra aveva rischiato molto per giungere a questo: trasformatasi in imprenditore, nel 1960 aveva fondato la compagnia Aero Spacelines, spendendo tutti i risparmi ed ipotecando la sua stessa casa. Un gesto piuttosto azzardato, quando si considera che il suo unico possibile cliente era il governo. E se quest’ultimo avesse rifiutato…
Il nutrito team d’intervento e spegnimento incendi riservato spontaneamente dalla direzione dell’aeroporto, alla semplice vista di una simile mostruosità che tentava di decollare, ricevette l’ordine di tornare a riposo, mentre Conroy, seguìto dal suo giovane copilota Clay Lacy, si avvicinava con lunghe falcate al compunto scienziato tedesco, enfatico promotore del destino intra-solare, e persino marziano, della futura razza umana. Senza che una singola parola fosse pronunciata, i due si strinsero la mano. Il nutrito pubblico, a quel punto, iniziò ad applaudire.
Da un punto di vista meramente tecnico, gli aeromobili della serie Guppy furono raramente i più grandi cargo del panorama coévo, e di certo mai i più potenti. Essi derivavano in effetti dal vetusto Boeing 377 Stratocruiser, nient’altro che un adattamento al trasporto passeggeri di quegli stessi bombardieri B-17 pilotati durante la guerra da Conroy. Erano tuttavia al momento della messa in opera, e rimasero per lunghissimo tempo, quelli con il volume di carico maggiore. Il che li rese niente meno che fondamentali per il trasporto degli enormi razzi necessari al completamento del progetto Apollo, relativamente leggeri visto il loro scopo finale di portare un carico al di sopra della stratosfera terrestre. La NASA in quegli anni aveva infatti un problema, apparentemente impossibile da superare: tutti i suoi fornitori, e le sue fabbriche, si trovavano sulla popolosa costa Ovest, mentre l’unico luogo da cui fosse favorevole lanciare un qualcosa che andasse oltre il cielo era stato localizzato in Florida, dall’altro lato del continente. Per i primi quattro anni dalla sua fondazione (avvenuta nel 1958) l’agenzia governativa aveva lavorato trasportando via nave e via treno le molte tonnellate di mezzi e materiale necessari alla realizzazione dei suoi primi esperimenti. Ma l’idea di potersi affidare ad un sistema più veloce ed affidabile nei tempi fu sempre al centro dei pensieri di tutti.
L’esemplare dimostrativo della serie Guppy nacque disegnato sul proverbiale tovagliolo, durante una cena tra Conroy ed il suo amico Lee Mansdorf, industriale che aveva recentemente acquistato a prezzo di convenienza una serie di svariati Stratocruiser prossimi allo smantellamento, senza sapere effettivamente che cosa farci. Al profilarsi dell’inconfondibile sagoma tracciata sul pezzo di carta bianco, i due si trovarono presto d’accordo: sarebbe stato possibile prenderne due, unire le fusoliere e creare un qualcosa di unico, capace di risolvere al tempo stesso, il problema della NASA e le loro finanze. Così nacque Pregnant Guppy, primo di una lunga serie, le cui prestazioni risultarono, sorprendentemente, del tutto paragonabili a quelle di un aereo da trasporto normale: c’era soltanto una lieve diminuzione di velocità dovuta all’aumento dell’attrito con l’aria. Tanto che colui che aveva il potere decisionale maggiore, Von Braun in persona, rimase immediatamente colpito alla prima dimostrazione di fattibilità, diventando uno dei maggiori sostenitori dell’idea. La quale ben presto fu alla base di un ordine più significativo di cinque velivoli, per i quali Conroy e Mansdorf scelsero un approccio più radicale: di nuovo impiegando gli Stratocruiser, portarono la lunghezza dell’aereo da 38 a 43 metri. Inoltre cambiarono i motori dal vecchio sistema a pistoni con delle turbine Pratt & Whitney T-34-P-7, incrementando la capacità di carico a 24,4 tonnellate e la velocità massima a 480 Km/h. Per la prima volta, i carichi della NASA avrebbero viaggiato più in alto e più rapidamente che mai.
Del Super Guppy, quindi, sarebbero state realizzate ulteriori due varianti: la prima era l’SGT (Super Guppy Turbine) dotato di una fusoliera creata completamente ad-hoc e quindi un’ampiezza del fondo di carico maggiorata, oltre a nuovi motori (Allison 501-D22C) e una cabina finalmente pressurizzata, aggiunta relativamente avveniristica per la metà degli anni ’60. Nel ’67 sarebbe quindi arrivata una versione migliorata dell’originale prototipo, rinomata Mini Guppy, con capacità di carico di 14.500 tonnellate e una velocità di 400 Km/h. La sua successiva versione “Turbine” (di nuovo una distinzione solamente semantica, dato che TUTTI questi aerei funzionavano effettivamente a turbina) avrebbe avuto vita decisamente breve, andando incontro nel 1970 ad un incidente che sarebbe costato al vita al suo intero equipaggio. La causa non fu mai determinata.
Ancora oggi, incredibilmente, c’è un appartenente a questa insolita flotta che vola ancora: il quarto Super Guppy Turbine, numero di riconoscimento N941NA, in servizio presso l’aeroporto di El Paso, Texas. L’aereo, recentemente modernizzato nella sua avionica, resta tuttavia una vera e propria bestia d’altri tempi, priva di facilitazioni al pilotaggio come i servomeccanismi dei controlli di volo. Tanto che per pilotarlo occorrono due figure professionali, una delle quali tiene la cloche, mentre l’altra regola la manetta della potenza: ciò perché sarebbe letteralmente impossibile mantenerlo livellato, persino in fase di atterraggio, con una singola mano. Il motivo per cui la NASA non se ne sia liberata, come fatto per gli altri esemplari che oggi si trovano tutti esposti in svariati musei e campi d’aviazione, resta vulnerabile alle più sfrenate ipotesi dell’uomo. Forse si trattava di un mezzo talmente strano, che rimpiazzarlo costerebbe più che mantenerlo semplicemente in condizione operativa. Oppure si tratta di un omaggio indiretto alla passione di qualcuno per i graziosi pesciolini tropicali, tra i più frequenti occupanti degli acquari nelle case di mezzo mondo. No… Impossibile! Non poteva certo trattarsi del compunto Wernher von Braun.