Un fremito indotto dall’estremo calore percorse la fila di quattro fiammanti Ford Thunderbird, parcheggiate ordinatamente a lato della pista aeronautica di Groom Lake. Un luogo, nel bel mezzo del deserto del Nevada, oggi celebre con il suo nome in codice di Area 51. Non poi così diverso, essenzialmente, dal leggendario cosmodromo di Baikonur, da dove l’Unione Sovietica aveva saputo guadagnarsi il suo temporaneo vantaggio nel campo delle esplorazioni spaziali. E non era certo un caso se in quel momento imprecisato dei tardi anni ’50, questo gruppo di autisti e militari assortiti restava in attesa di un volo semi-diretto da quella specifica, distante destinazione. “Ma come…” Ci si potrebbe chiedere: “…Collegamenti intercontinentali Stati Uniti-Russia agli albori del lungo periodo noto come guerra fredda?” Beh, lasciate che vi racconti una storia: non si trattava esattamente di una traversata autorizzata da entrambe le parti. Bensì di un volo, cosiddetto, di ricognizione. Condotto dall’unico aereo al mondo che potesse, una volta raggiunti gli alleati in Europa, fare rifornimento e volare su, in alto fino alla stratosfera, ad una quota talmente elevata da sfuggire ai potenti radar fatti costruire da Chruščёv, per scattare alcune importanti foto tramite le sue lenti da 13 pollici f/13.85 (risoluzione: 76 cm da 18.000 metri di distanza). Un’arma diversa da quelle esistite fino a quel momento, concepita per acquisire una risorsa particolarmente importante: le informazioni. Fu allora che la vedetta sull’ultimo mezzo della carovana impugnò di nuovo il binocolo, puntandolo verso Est alla ricerca dell’atteso eroe di ritorno e finalmente vide il puntino nero così drammaticamente atteso: “Ci siamo” esclamò all’autista, che con un colpo di clacson, trasmise il messaggio ai suoi due colleghi. Gradualmente, la macchia nel cielo si fece più grande, fino ad assumere le forme riconoscibili dell’U-2 (aereo “di utilità” numero 2 – ancora non esisteva una categoria di velivoli dedicati allo spionaggio). Le ali larghe 31 metri, squadrate ed almeno all’apparenza, non particolarmente aerodinamiche. La fusoliera incredibilmente sottile e l’alta coda, con evidenti funzioni di incremento della precaria stabilità in volo. L’aereo procedeva lentamente, quasi ad ulteriore riconferma della sua insolita natura: nient’altro che un aliante da 7 tonnellate, in grado volare a Mach 0.67 (805 Km/h) quando necessario, ma che in almeno uno specifico caso, lasciava che fosse l’inerzia residua a trascinarlo verso la sua destinazione. E questo caso era l’atterraggio. A tal punto, infatti, il leggendario ingegnere e progettista della Lockheed Clarence Leonard “Kelly” Johnson aveva curato l’aspetto della portanza, e ridotto il peso in proporzione alla potenza, che esso era sostanzialmente incapace di perdere quota, a meno che andasse in stallo. Si diceva che piloti dell’U-2 andassero incontro ad un’usura psico-fisica che non derivava solamente dall’esposizione continuativa alle basse pressioni delle altitudini operative, ma anche per il semplice stress di tenere in volo una macchina che aveva una forcella operativa di di circa 30-40 Km/h, al di sotto della quale sarebbe precipitata, mentre superandola avrebbe generato turbolenze, perso quota e sarebbe stata individuata e colpita dal nemico. E poi, c’era la piccola questione del ritorno a terra…
Mentre il gigante dei cieli si avvicinava finalmente alla pista, le automobili si misero in marcia a velocità sostenuta: l’obiettivo era venire sorpassati verticalmente dall’U-2 (nome in codice Dragon Lady) che sarebbe atterrato di fronte. Quindi continuare a seguirlo, mentre effettuava la delicata serie di operazioni necessarie a fermarsi. Di fronte al primo della fila comparve l’ombra, subito seguìta dall’ammasso di alluminio nero come la notte del formidabile aereo spia. L’addetto alle comunicazioni impugnò il microfono della radio, per indicare direttamente al pilota “Un po’ più a destra, un po’ più a destra. Ecco! Adesso raddrizzati, ci se quasi. Cala di potenza…” Ad un osservatore esterno che avesse assistito all’evento, un fatto principalmente avrebbe causato più di qualche perplessità: al velivolo mancavano alcune ruote. Ne aveva, sostanzialmente, soltanto due coppie, disposte in linea come quelle di un pattino rollerblade (ovviamente nessuno, negli anni ’50, avrebbe mai saputo di che cosa stiamo parlando) senza nulla che potesse mantenerlo in equilibrio una volta toccata terra. Non che ne avesse, in un primo momento, alcun tipo di bisogno: esercitando un’abilità acquisita attraverso anni di esperienza, il pilota cominciò dunque a manovrare gli alettoni, avendo cura di mantenere le ali parallele al suolo. Incredibilmente, per qualche attimo, non sembrò aver bisogno d’altro. Quindi, ad un segnale non pronunciato, le rimanenti due Thunderbird superarono le altre macchine a 60 miglia orarie, per andare a disporsi ai lati dell’aereo. Quest’ultimo rallentò, progressivamente, e non appena possibile, gli addetti sui sedili di dietro balzarono letteralmente fuori, correndo verso l’oggetto della collettiva attenzione. Due di loro si attaccarono a un’ala, per evitare che si alzasse per effetto della mera forza di gravità. Se l’U-2 si fosse adagiato su un fianco, sarebbe stato un grosso problema. Nel frattempo, degli uomini chiave si insinuarono sotto, trasportando l’oggetto più strano che il nostro ipotetico osservatore avesse mai visto: una ruota montata su un bastone flessibile, quello che in gergo viene definito il pogo.
Il pogo fu un’aggiunta successiva, ed inizialmente ritenuta superflua, al concetto dell’aereo spia concepito dalla fervida mente di Kelly Johnson. Lui che aveva curato, verso la fine della seconda guerra mondiale, la messa in opera dell’invincibile P-38 Lightning, il caccia pesante che era allo stesso tempo veloce, maneggevole ed altamente temibile per qualsiasi asso al servizio della marina giapponese. E che ricevuta la mansione di affrontare su un terreno diverso il nuovo incombente nemico, l’Unione Sovietica, aveva originariamente adattato il suo Lockheed XF-104, monomotore ad alte prestazioni, per essere più leggero, rimuovendo tra le altre cose, il carrello. E costruendo un aereo che doveva atterrare, senza particolari problemi, raschiando il ventre sul duro asfalto (possiamo immaginare il rumore) Al che si racconta che nel 1954, il generale Curtis LeMay del Comando Aereo Strategico avesse obiettato durante una presentazione: “Che cosa mai dovremmo farcene, di un aereo che non ha le armi e neppure le ruote?” Ma il problema era in realtà un altro: con i suoi 70.000 piedi massimi di elevazione, il velivolo sarebbe si, facilmente sfuggito all’inseguimento dei caccia sovietici. Ma sarebbe stato comunque individuato dai radar di terra. Occorreva qualcosa che andasse ancora più in alto, quasi al di là della percezione possibile dell’esperienza umana. Persa la sua approvazione incondizionata negli ambienti militari, quindi, la divisione segreta all’interno dell’azienda Lockheed trovò un’alleato inaspettato nella Central Intelligence Agency (la CIA) quello stesso Richard Mervin Bissell Jr. che sarebbe stato, di lì a poco, l’organizzatore della fallimentare invasione della Baia dei Porci. Secondo un atto di legge varato nel 1949, il direttore della CIA era l’unico dipendente federale che potesse spendere il suo budget senza bisogno di giustificarsi di fronte al congresso. Ad Allen Dulles (in carica: 1953-1961) piacque dunque l’idea, e la sanzionò. Fu attorno a quel periodo che i progettisti e gli altri colleghi di Kelly Johnson iniziarono ad acquisire un ruolo di prestigio all’interno della loro azienda, ed acquisirono la nomina e l’emblema che li avrebbe trasformati negli Skunk Works, divisione dedicata agli aerei sperimentali. Più di un ufficiale sovietico, nei molti anni a venire, avrebbe agitato il pugno all’indirizzo delle loro creazioni, tra cui il diretto erede dell’U-2 (il ben più celebre Blackbird) il caccia da incursione stealth F-117 e molti anni dopo, l’F-22.
L’U-2 era, sotto i punti di vista citati ed ulteriori altri, un aereo straordinariamente estremo. Per operare, esso necessitava di un particolare carburante resistente al congelamento e alla formazione di bolle d’aria, noto come JPTS (Jet Propellant Thermally Stable). Nel 1955, un contratto segreto stipulato con la Esso per svariati milioni di dollari del loro insetticida FLIT causò una carenza globale di questa sostanza, giudicata importante per l’agricoltura. Per offuscare i dettagli delle sue operazioni presso i fornitori, la CIA elaborò una storia fantastica su alcuni razzi da testare ad alta quota. Quindi iniziò ad addestrare i piloti.
Coloro che osavano sfidare le estreme altitudini a bordo di un simile arnese avrebbero dovuto vestirsi, ovviamente, di conseguenza. Il pilota dell’U-2 indossava una tuta pressurizzata non troppo diversa da quella usata in fase di rientro dagli astronauti, in grado di fornire l’ossigeno nel caso in cui andasse persa la pressurizzazione della cabina. Era richiesta, oltre all’abilità, una notevole calma e sangue freddo, vista la qualifica essenzialmente di spia internazionale. Una volta scattate le fotografie, qualora si verificasse un’avaria con conseguente atterraggio in territorio nemico, ci si aspettava che costoro si togliessero la vita ingerendo l’apposita pillola di cianuro. Finché nel 1960, dopo che un membro del team aveva quasi ingerito il veleno per sbaglio (forse l’aveva scambiato per una mentina?) la CIA decretò che l’implemento fosse sostituito da una moneta con all’interno nascosto un ago, imbevuto del veleno letale di un non meglio definito mollusco (probabilmente, il Conus geographus delle coste australiane).
Attraverso la sua lunga, quasi infinita storia operativa, l’U-2 ha contribuito e generato, di pari passo, un considerevole numero di crisi. Riuscite a crederci? L’aereo è ancora in servizio dopo oltre 60 anni, grazie alla notevole modularità e le qualità intrinseche del progetto. Proprio per questo, l’arte di arpionarlo al ritorno come una balena nera dei cieli viene tutt’ora coltivata da un corpo speciale all’interno di basi dedicate. Nel 1960, un U-2 venne abbattuto nei pressi di Ekaritenburg, causando una crisi diplomatica dalle molte ramificazioni. Il pilota, Gary Powers, morì immediatamente. Un simile fato subì il maggiore Rudolf Anderson, due anni dopo, sopra i cieli di Cuba. Nel 1962, una serie di foto scattate da uno di questi velivoli diede l’origine alla drammatica crisi dei silo missilistici installati sull’isola caraibica di Fidel. In tempi più recenti, altri esemplari si sono schiantati nei pressi di Taiwan, Afghanistan e Corea del Sud. La leggendaria difficoltà nel domare la Signora dei Draghi, ancora oggi, continua a mietere le sue vittime coraggiose. Che pur preso atto dei rischi, farebbero di tutto per continuare a tessere le sue lodi. Nonostante l’introduzione, nel 1964, del suo diretto successore, l’SR-71 dal formidabile turbogetto (vedi articolo precedente) il quale non seppe mai guadagnarsi la sua autonomia, la sua intrinseca leggiadria… Tanto che ancora nei tempi odierni, il primo viene considerato più adatto alle missioni di ricognizione spionistica ad ampio spettro, mentre il secondo si occupa di incursioni dirette ad uno specifico bersaglio. Così convivono, faticosamente. Come gli antichi nemici, alleati economici dei nostri tempi. Ha ancora senso, in un mondo sottoposto all’espansivo processo della globalizzazione, mantenere operativi dei velivoli concepiti per scattare foto clandestine al territorio di nazioni distanti? Questa è una domanda a cui purtroppo, non è molto facile rispondere. Forse qualcuno, negli oscuri sotterranei della CIA, ha già pronta una riposta al quesito. Ma per precise istruzioni del suo governo, continua a tenerla per se.
Articolo interessante, ma prima di pubblicarlo avreste fatto meglio a controllare sintassi e ortografia…LOL
Grazie per l’interessamento Sig. Prepuzio. Più tardi ricontrollerò quanto avevo scritto allora 🙂 – (firmato: l’unico autore del blog)