È neozelandese il più innovativo concetto di mezzo anfibio

La linea inizia in alto a sinistra, prendendo una piega ellissoidale. Quindi, raggiungendo l’apice all’altro capo del diagramma, torna indietro in maniera piuttosto brusca, creando un perimetro inferiore dalla forma verticalmente speculare. Al ritorno verso il punto di partenza, poi non si ferma, ma crea un incrocio e prosegue per la sua via. Gli estremi non si sono incontrati. Sotto la figura, due piedi rivolti in avanti completano il ritratto stilizzato. Avete capito di che cosa stiamo parlando? È il pesce di Darwin, simbolo degli evoluzionisti americani. Che per quanto possa mancare dell’immediatezza e semplicità dell’ichthys, il graffito che identificava segretamente le chiese e le tombe cristiane all’epoca dell’Impero Romano, presenta indubbiamente una marcia in più rispetto all’alternativa: in quanto gli risulta possibile, in caso di necessità, emergere dall’Oceano e mettersi a camminare. Qualcuno giura che proprio questo deve essere successo in un preciso momento del nostro più remoto passato. Altri affermano che assolutamente* non può essere andata così, perché nella Bibbia c’è scritto che fummo creati a Sua immagine e somiglianza. Tutto ciò non si applica, d’altra parte, per quanto concerne le barche. “Ehi, ehi, attento! Non fare così…” In un attimo, l’intero pubblico della spiaggia delle Cannelle volta lo sguardo verso il piccolo dramma, di un bagnante che sta vedendo passare, a una ragionevole distanza di sicurezza, la forma scura di un grosso gommone. Il quale sembra puntato, senza la benché minima attenzione per il futuro, dritto verso la riva: “T’incaglierai!” Madri richiamano i figli, preoccupate. Cani abbaiano verso l’orizzonte. Qualcun’altro si avvicina, per meglio assistere alla catastrofe imminente. Man mano che si avvicina, diventa più facile riconoscere l’imbarcazione: Thunderbee ES-1, enuncia la scritta sul fianco. Il che la identifica come il battello di supporto del mega-yacht approdato ieri presso il porticciolo dell’Isola del Giglio. Le due persone a bordo, dalla provenienza probabilmente americana, non mostrano alcun tipo di rimorso apparente per il disastro che stanno per causare. D’un tratto, come a un segnale non visto, lei solleva il motore fuoribordo, mentre lui si dispone lateralmente ai comandi, quasi volesse attivare un sistema ausiliario di qualche tipo. Il gommone, inesplicabilmente, continua la sua marcia verso la perdizione. Raggiunta la riva, si solleva continuando a grondare acqua e dimostra l’ineccepibile verità: tre zampe poste in corrispondenza dei vertici lo mantengono separato dal suolo. Al termine di tali arti, ci sono altrettante ruote. Senza rallentare eccessivamente, il vascello fuoriesce completamente dal mare, proseguendo felicemente per la sua strada.
Può sembrare ovvio ma in realtà non lo è, affatto: aggiungi le ruote a una barca e quella acquisirà l’abilità di spostarsi fuori dall’acqua. Altrimenti, perché nessuno ci avrebbe pensato mai? La tipica espressione di un mezzo anfibio, sia in campo militare che civile, è da sempre la stessa. Si prende un affidabile mezzo di terra, lo si impermeabilizza tramite l’aggiunta di un vero e proprio scafo, si aggiungono i propulsori da usare nel momento in cui le ruote diventano inefficienti. Nei casi più tecnologicamente avanzati, ci si premura che gli implementi veicolari di terra siano montati su cardini retraibili, per venire ritratti al fine di massimizzare le qualità idrodinamiche del mezzo. Ma alla fine della fiera, la questione è sempre la stessa: si tratta di un’automobile che va nell’acqua. Giammai, il contrario. Il che risulta certamente ideale per uno scenario d’impiego in cui il proprietario intende recarsi al mare (o al lago) già guidando il suo natante su strada, operazione che richiede l’aderenza a determinati standard di sicurezza e funzionamento. Ma che dire, invece, di chi cerca soltanto una maniera semplice per lanciarsi nel mare o fare ritorno alla terra ferma, in assenza di un molo? Bypassando quel tipico, gravoso problema del dover tirare manualmente a riva il gommone etc. etc, facendo bagnare se stessi e gli altri, inclusi gli eventuali bambini ed anziani a bordo.
Una possibile risposta è questa. Nata dalla mente dell’imprenditore, ingegnere ed inventore neozelandese Maurice Bryham, fondatore negli ultimi 20 anni di un ampio ventaglio di aziende del settore tecnologico, tra cui quella di maggior successo, l’internazionale Sealegs. “Gambe di mare” Un nome, un programma; che sembra volersi riferire all’espressione proverbiale per identificare l’esperienza dei marinai veterani. Pur essendo, nel contempo, una descrizione diretta del loro prodotto eponimo, nonché linea di maggior successo commerciale. Lo stesso sistema che abbiamo immaginato a bordo della nostra virtuale Thunderbee ES-1.

Il gradiente massimo affrontabile da una Sealegs può variare tra il 15/25% a seconda del peso e del modello dell’imbarcazione, risultando comunque più che sufficiente a portare a riva il mezzo nelle condizioni di un utilizzo ragionevole sul campo.

Ad un livello puramente basico, non c’è niente di troppo avveniristico a bordo di uno dei numerosi modelli d’imbarcazioni prodotte quotidianamente dalla Sealegs, grazie al corposo finanziamento ricevuto partire dal 2015 ad opera degli Avenport Investments, compagnia privata con sede nell’arcipelago delle Mauritius. Si tratta di gommoni o scafi completamente rigidi, con una lunghezza variabile tra i cinque ed i nove metri, a bordo dei quali trova posto però un secondo motore, idraulico ad attivazione elettrica, che governa il movimento di tre aste non ammortizzate, al termine delle quali trovano posto degli pneumatici da fuoristrada. L’utilità di un simile artificio “da nulla” non può essere sopravvalutata. Questo tipo di piccole barche più o meno ricreative, in effetti, che non sono concepite per essere ancorate ad un molo e lasciate a mollo, ma devono piuttosto essere tratte a riva ogni volta dopo l’approdo, avevano la tendenza a risultare particolarmente gravose e stancanti da gestire, togliendo molto spesso il divertimento, per non parlare della sveltezza di molte possibili circostanze d’impiego. Secondo aspetto, questo, che può dimostrarsi determinante nel caso in cui lo strumento nautico debba servire ad intervenire sulla scena di un disastro, prima che sia troppo tardi per le persone coinvolte. O ancora, in uno scenario di tipo militare, in cui le forze speciali tutto desiderano fare, tranne lasciare in bella vista il chiaro segno dell’avvenuto sbarco in pieno territorio nemico. E in un primo momento Maurice Bryham in effetti, assieme al suo CEO comerciale David McKee Wright, si era interessato primariamente al settore professionale, stipulando alcuni validi contratti con le forze di pronto intervento neozelandesi e australiane.
Un caso di stipula contrattuale particolarmente utile alla collettività si è avuta ad esempio con l’aeroporto di Brisbane, circondato dal punto di vista topografico da un’ampia distesa di sabbia occasionalmente ricoperta dall’alta marea, nell’area della quale è pur sempre possibile il verificarsi di atterraggi di fortuna o altre tipologie d’incidenti aerei. Oltre 200 persone, dunque, sono state addestrate allo sfruttamento delle Sealegs per intervenire in maniera diretta sul luogo del disastro, varando letteralmente se stessi fuori dal garage/deposito degli avveniristici natanti. Un’altra versione specializzata dei gommoni ruotati si ha con la Sealegs Firecraft, dotata di potenti pompe a bordo per sfruttare l’acqua di mare in caso d’incendi di qualsivoglia tipo. Ma l’impiego principe (se mi concepite il doppio senso) dei prodotti del marchio neozelandese resta quello dell’intrattenimento, primariamente per chi ha ingenti somme da spendere, visto che il prezzo minimo di queste barche si aggira sui 130.000 dollari, raggiungendo vette letteralmente inesplorate. Il Re del Marocco ne ha una, così come il rinomato designer Philippe Starck, che si è fatto dipingere l’interno completamente  di nero. Anche il rinomato esperto di sopravvivenza Bear Grylls è un cliente della compagnia, apparentemente meno propenso ad incagliarsi e naufragare di quanto i suoi show vogliano darci a vedere. Nel 2015 inoltre il principino George, attualmente penultimo arrivato nella famiglia dei reali d’Inghilterra, ricevette in dono una versione ridotta in scala di un gommone Sealegs. Ovviamente, funzionante in ogni sua parte.

I più imponenti Sealegs non sono tuttavia prodotti in-house, ma derivano dall’applicazione del meccanismo delle gambe a battelli pre-esistenti, come questo impressionante IKA11 che supera facilmente i 10 metri. Simili mezzi potrebbero avere importanti impieghi in ambito militare e del soccorso in mare.

Dal punto di vista tecnico, il motore idraulico della componente terrena nella tipica Sealegs presenta all’incirca 22 cavalli di potenza, e un’autonomia di 30-40 minuti, preventivati l’impiego dei sistemi a bordo dell’ABS, il servosterzo e il differenziale. Le batterie vengono ricaricate durante l’impiego del sistema di propulsione principale, benché sia previsto un alloggiamento per un secondo set di riserva, in caso d’improvvido esaurimento. Apparirà chiara, a questo punto, la maniera in cui il mezzo sia concepito esclusivamente per le operazioni di varo e sbarco, lasciando il trasporto fino al luogo d’impiego ad un’attrezzatura dedicata, come un rimorchio stradale di tipo convenzionale. La vera e propria tempesta perfetta, ovviamente, resta unicamente a vantaggio di chi possiede una casa con lo sbocco sul mare, magari un grande yacht o perché no, un’intera isola privata. Per questo non esiste un prodotto dell’azienda che costi meno di 100.000 dollari. Questo è il tipico caso dell’irritante stereotipo: “Se devi chiedere quanto costa, non fa per te.”
Come il pesce di Darwin, l’evoluzione è una presenza noetica che non può essere facilmente cancellata. Ciò non significa, del resto, che ogni ramo sia profittevole nei suoi germogli, arrivando a fiorire e fornendo, in ultima analisi, il gradito e succulento frutto finale. Che le Sealegs riescano ad imporsi come sistema marittimo per eccellenza, in questa generazione o la prossima, è decisamente presto per dirlo. In determinati campi e specifiche situazioni, tuttavia, restano la migliore soluzione che abbiamo. Magari non eccessivamente a buon mercato….

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