Nelle profonde oscurità oceaniche, per una vita ti ho cercato. Due, tre, quattro settimane. Tu sei la mia alba ed il mio tramonto, la mia Luna, casa ed avventura. So bene che se riesco finalmente a trovarti, la mia vita cambierà radicalmente: niente più nuotare liberi, nessuna ebbrezza della caccia. Tu sarai per me l’apoteosi e una prigione, al tempo stesso, l’Alfa e l’Omega della mia insignificante vita. Ma se l’immensità di questo ambiente, le grandi distanze ed il vertiginoso senso della solitudine, alla fine, avranno la meglio sulla mia ricerca, allora morirò di fame, lentamente. Pensando a te. Questo è il senso dell’amore per “noi”. Che cosa siamo? In Italia ci chiamerebbero, con esibizione d’antonomasia, la rana pescatrice, benché in effetti quel particolare tipo di pesce abissale sia bentonico, ovvero abituato a vivere in prossimità dei fondali e per questo appiattito verticalmente, mentre noi che pratichiamo questa specifica modalità di accoppiamento siamo i veri diavoli del nulla, gli abitatori dei grandi spazi vuoti tra i 1.000 ed i 2.000 metri di profondità. Scientificamente: i Ceratiidae, ma anche qualche specie di Melanocetidae. Quasi mai, i Lophiidae delle più spericolate tavole ittiche europee. In inglese, ci chiamano anglerfish, con riferimento alla lenza luminosa che impieghiamo, assai frequentemente, per attrarre a noi le piccole prede da cui siamo chiamati a trarre nutrimento. Perché quaggiù nell’infernale vuoto, il cibo è scarso per definizione, richiedendo uno sforzo continuo per mantenersi in vita. Così l’evoluzione ha dotato le nostre femmine, ma non noi maschi, di una pinna dorsale modificata, in cui il primo raggio cartilagineo presenta una serie di pori, all’interno dei quali vivono batteri bioluminescenti. Ma questo non è il solo caso di interrelazione simbiotica tra lei ed altre creature. Esseri come il qui presente pseudo-parassita, che dovrà fare il possibile per dare un morso alla sua pelle. E in un abile colpo di mano, diventare tutt’uno con lei.
È un fatto relativamente poco noto che questa intera categoria di pesci abissali (oltre 200 con distribuzione in tutti gli oceani della terra) presenti il più marcato dimorfismo sessuale dell’intero regno animale. Il che vuol dire che mentre lei, a seconda della specie, può arrivare a misurare fino a un metro di lunghezza, raramente lui supera i 3-4 cm dalla testa alla coda. Come può avvenire, dunque, la fecondazione? Se non grazie alla straordinaria furbizia e capacità strategica della natura… Dal momento stesso della nascita, lui dispone infatti di un olfatto straordinariamente sviluppato. Seguendo la direzione delle sue spropositate nari, le più grandi in proporzione alle dimensioni del cranio, cerca attentamente finché non gli riesce di trovarla, possibilmente, girata da un’altra parte. Questo perché un anglerfish è perennemente affamato, e mangerebbe pressoché qualsiasi cosa prima ancora di aver capito la sua effettiva natura. La segretezza è importante perché non deve esserci una battaglia. Bensì soltanto lui che, avvicinatosi a sufficienza di soppiatto, trovi un punto da mordere per fare come il pitbull col postino, che stringe quella caviglia per non lasciarla andare mai più. E quindi secerne una saliva contenente l’enzima digestivo, che dissolve la sua mascella e il preciso punto di congiunzione, creando i presupposti per l’orribile ibrido uomo-cane. Ma tralasciando una simile visione degna dell’isola del Dr. Moreau, e ritornando quindi a noi, ovvero a me & Lei, tutto quello che noi chiediamo da una simile contingenza è l’opportunità di realizzare la fecondazione.
L’esigenza di un simile complesso rituale, che tra l’altro sembra diminuire la probabilità di sopravvivenza del maschio, è in realtà giustificato dal medesimo fattore sopracitato: la mancanza di sufficienti forme di cibo nell’habitat circostante. Per questo lui mangia pochissimo, o persino non mangia affatto. Un po’ come la farfalla ormai pronta a spiccare il volo e non guardarsi indietro mai più.
Basta uno sguardo per notare, ad ogni modo, come questi cugini prossimi della nostrana rane pescatrice, o coda di rospo che dir si voglia (Lophius piscatorius) siano creature assolutamente degne di popolare i nostri incubi più tremendi. Gonfi e bitorzoluti, con una mandibola dal vistoso progenismo, sono concepiti per assalire molto rapidamente la preda e trangugiarla in un sol boccone. O forse sarebbe meglio continuare ad usare soltanto il pronome femminile… Visto come il maschio, di contro, non possa terrorizzare alcunché. La scoperta è in effetti piuttosto recente, con l’interpretazione antica che vedeva questi pesci, talvolta catturati accidentalmente nella rete dei pescatori, come affetti dalle infestazioni di uno strano tipo di parassita. Fino a cinque o sei pesciolini, saldamente conficcati in varie zone, ormai perfettamente incorporati nel corpo di lei. Successivamente alla fusione, il maschio perde in effetti la funzionalità di quasi tutti i suoi organi interni tranne le gonadi, che naturalmente dovranno continuare a produrre sperma fino alla fine di una questo asimmetrico sodalizio nuziale. Con un simile approccio, la femmina si garantisce l’estrema prontezza nel mettere al mondo la prole, nel preciso momento in cui dovesse decidere di aprire il portone. Mentre lui, di contro, riceverà sostentamento tramite la circolazione sanguigna condivisa, e protezione dai pochi, ma voracissimi predatori che si spingono fin quaggiù.
Non si sa molto delle abitudine quotidiane, delle tecniche di caccia e la dieta di questi animali. Del resto sarebbe anche difficile elaborare un discorso di tipo generico sull’argomento. Da uno studio sulla costa del Pacifico nel Centroamerica, sappiamo che una delle prede preferite dagli anglerfish è il gambero Pandalidae, che una volta richiamato dalla luce dell’illicium (questo il nome del raggio di pinna ingannatore) sarà rinchiuso oltre i perfetti denti del predatore, piegati verso l’interno per eliminare ogni possibile via di fuga. Altre prede trovate all’interno del grande stomaco includono crostacei di vario tipo e pesci non cartilaginei, ovvero dotati di scheletro osseo. Presumibilmente, l’alternativa più leggiadra e scattante non risultava altrettanto facile da catturare. O forse gli rimaneva indigesta. Data l’estrema località remota in cui vivono, questi pesci abissali non hanno predatori degni di nota, fatta possibilmente eccezione per l’uomo. In particolari paesi dell’Estremo Oriente, il loro fegato viene considerato una vera e propria prelibatezza. Il genus Lophius nel frattempo (la rana pescatrice) è consumato abitualmente in Occidente, tra Europa ed America, talvolta catturato attraverso tecniche di pesca non sostenibili e lesive per l’intero ambiente di provenienza.
Analizzando cosa significhi, nello schema generale delle cose, il rapporto tra la femmina e il maschio dei Ceratiidae/Melanocetidae è possibile fare una breve ma significativa riflessione. Su come il sacrificio di un intero sesso permetta, in ultima analisi alla specie di prosperare. Il maschio di questi pesci nasce debole, e tale rimane per il corso della sua intera vita, incapace di nutrirsi o proteggere se stesso. Mentre la fammina cresce e cresce, diventando abbastanza affamata per tutti e due. Quindi nell’ora della congiunzione finale, sarà lei ad avere tanti compagni, piuttosto che il contrario, tenendoli pronti come gli assi di un mazzo di carte da sfoderare nel pregno momento della verità. Senza alcuna esitazione o considerazioni pietose, i due eseguono il preciso copione di cui la natura li ha forniti. Altrimenti, non potrebbe esserci alcun anglerfish.
Alba e tramonto, luce ed ombra, che cosa sono? Nelle tenebre dell’eterna profondità nulla ha senso, tranne il desiderio. A guisa di sghemba sardina, faticosamente risalgo la corrente oceanica, che per chiare ragioni logistiche, trascina l’agognata fragranza. Quando a un tratto, al di sopra dell’orizzonte invisibile, appare una stella. È la lampada del cammino, il pinnuto simbolo del domani. Sùbito muore ogni proposito di prudenza. Tutto quelle che resta da fare, è compiere il balzo in avanti. E sperare che lei, in quel preciso momento, non sia particolarmente affamata.