Cosa c’era all’inizio di un perfetto acquedotto romano

Il mondo brucia quando Roma brucia e tutto quello che può essere fatto, a quel punto, è tentare di spegnerla con vasto dispendio di uomini, mezzi e legioni. Nella sua accezione più estemporanea, si tratta di una metafora: l’Urbe che può rappresentare l’ordine, il centro, il cardine del piccolo universo degli uomini civili. Ma ci furono molte volte, in effetti, in cui Roma bruciò davvero. Forse una delle più memorabili sopraggiunse nel 537 d.C, quando il possente generale Belisario, sbarcato in Africa per volere del suo sovrano, Giustiniano dell’Impero d’Oriente, risalì la penisola sbaragliando a più riprese le armate del regno dei Goti. Finché all’ultimo, con marce serrate e con ferrea disciplina non portò i suoi soldati fin’oltre le mura del sacro luogo dove tutto era iniziato, riportando, dopo oltre 60 anni, i sette colli sotto il controllo dei romani. Ma le armate di re Vitigio non erano ancora state sconfitte, e riorganizzatasi dal grande centro Ravenna, si apprestavano a contrattaccare. Prima di farlo, tuttavia, misero in atto uno stratagemma: distruggere con crudeltà metodica tutti gli acquedotti che rifornivano la città. In questo modo, ritenevano, un assedio sarebbe durato davvero poco. Poiché se anche Roma aveva la sua riserva di acqua potabile, come avrebbe potuto far funzionare i vitali mulini del Gianicolo, da cui veniva tutto il pane destinato a nutrire le bocche dei temuti avversari? La gente si disperò, preparandosi a mangiare le più orribili cose. I soldati si guardavano l’un l’altro, preparandosi alla sanguinosa e disperata battaglia. Belisario nel frattempo, recandosi presso il suo corpo di genieri, esterno e fece quanto poteva per mettere in atto un’idea. Nelle zone più rapide del Tevere, dove l’acqua scorreva veloce, fece ancorare delle coppie di barche. Fra ciascuna di esse, quindi, dispose che venne costruita una ruota, parzialmente immersa nel corso del fiume. La ruota era costellata di recipienti di terracotta. E costantemente, girava…
La copertina delle guide turistiche riecheggia del senso visibile delle Ere: a Roma il Colosseo, così come a Parigi la Tour Eiffel. Mosca ha il Cremlino e Londra, beh, probabilmente il Big Ben. Ma chiedetelo all’ex primo ministro Tony Blair, che nel corso del suo lungo mandato stanziò i fondi, manovrò le lobby, prese accordi e pose le basi per il rinnovamento dell’area circostante i Jubilee Gardens, nella più grande city e caput mundi del Regno Unito, egli vi risponderà probabilmente che nel suo cuore, quel posto è occupato dal London Eye (oggi grazie a una sponsorizzazione, rinominata Coca-Cola London Eye). La più alta e maestosa ruota panoramica mai costruita, che svetta sul fiume Tamigi in uno sfoggio di appassionata decadenza, nella sua favolosa, magnifica ed inutile immensità. Sia chiaro ad ogni modo, che questa non è la prima città a poter vantare un record in merito a grandi cose girevoli messe in posizione verticale. Ci fu un altro tempo, ed un luogo, in cui la capitale del regno aveva la ruota più grande del mondo. Ed anche la seconda, la terza e la quarta, con un’altezza media di 20 metri. Quel regno faceva capo agli Ayyubidi, una dinastia curdo-musulmana tutelata dai mamelucchi Abbasidi, che dopo la cacciata delle orde mongole, prese un piccolo villaggio sulle rive del fiume Orontes e lo fece grande. Siamo nella zona centrale della Siria, un luogo tutt’ora scosso da sanguinosi conflitti, attorno al XII secolo d.C. Ormai da tempo, la vecchia Bisanzio tremava sotto il peso dei secoli e l’urto delle civiltà avverse, eppure, la sua conoscenza viveva ancora. Assieme al segreto per costruire le norias, un particolare tipo di ruota idraulica, spinta innanzi dalla forza del fiume stesso. Un approccio al problema che, per quanto ne sappiamo, aveva un’origine antica.

Non per la forma della ruota stessa, bensì quello che ha vicino: il susseguirsi di archi sovrastato dal primo antenato delle moderne tubazioni idrauliche. Cosa sarebbe una grande città, senza un valido approccio all’approvigionamento dell’acqua? Soprattutto d’estate…

Il primo a ad averne parlato era stato Vitruvio nel suo De Architectura (I sec. d.C.) che le aveva menzionate come uno dei possibili mezzi a disposizione degli ingegneri per sollevare l’acqua, allo scopo di rifornire campi, fontane e giardini. Ma nella sua idea, esso era subordinato, agli approcci più frequentemente utili delle ruote a propulsione animale o spinte dagli schiavi, decisamente più utili nel contesto geografico Mediterraneo, dove raramente i corsi d’acqua raggiungevano una velocità sufficiente a compiere autonomamente il lavoro. Con l’espandersi dell’Impero la questione cambiò ben presto. Attraverso i secoli, ogni provincia reinterpretò a suo modo questa esigenza e più ci si spostava ad Oriente, maggiormente trovava applicazione questo concetto della “ruota di ciotole” (trad. letterale dall’arabo, per l’appunto, di noria). Forse furono i contatti con gli eredi degli architetti ed ingegneri di epoca ellenistica. O ancora i racconti riportati in patria dai mercanti che si erano spinti fino alle più remote terre d’Asia. Fatto sta che nulla, prima di quel momento, si era mai visto a ridosso del vasto Oceano del mondo antico.
Le ruote di Hama, rimaste in uso fino al periodo più tardo dell’Impero Ottomano, e poi di nuovo tra le due guerre del ‘900, come valido approccio all’approvvigionamento idrico, sono una maestosa opera ingegneristica che troviamo menzionata più volte nelle testimonianze di epoche storiche differenti. La prima rappresentazione risale addirittura al 469 d.C, in una raffigurazione artistica contenuta in un mosaico della vicina città di Apamea. Dal fatto che le macchine e le opere d’ingegneria non fossero abitualmente un soggetto preferito dell’arte, possiamo desumere che già allora i dispositivi presentassero un fascino significativo per i visitatori. Ogni singola ruota ancora esistente, tuttavia, fu costruita nel corso del Medioevo islamico, in modo particolare durante l’egemonia di Abu al-Fida, governatore Ayyubide che governò il centro abitato tra il 1310 e il 1332. Fu questa una vera e propria età dell’oro per la regione, quando Hama seppe imporsi come punto di svincolo commerciale dalla primaria importanza logistica e nelle parole del suo stesso governante: “Uno dei luoghi più accoglienti di tutta la Siria.” Ulteriore documentazione delle ruote la ritroviamo nel 1335 all’interno dei diari di Ibn Battuta, il grande viaggiatore marocchino paragonato per certi versi alla figura di Marco Polo.
La città, a quel punto, era piena di palazzi, giardini, pregiati mercati, moschee, madrase (scuole islamiche) ed un ospedale. Ciascuno degli edifici principali, inoltre, era rifornito d’acqua tramite il più avanzato sistema che il mondo avesse mai conosciuto: quello che era stato portato fin qui dagli antichi romani. Nella sua forma basica, una noria non è altro che una ruota di mulino, che tuttavia non ha lo scopo di mettere in funzione alcun tipo di meccanismo. Essa rappresenta, piuttosto, il motore di se stessa, mentre procede imperterrita nel suo operato di sollevare ingenti quantità del fondamentale fluido che da la vita. Esistevano due possibili versioni del dispositivo, che potevano risultare altrettanto utili allo scopo: la prima, piuttosto rara in Oriente, prevedeva l’impiego di compartimenti impermeabilizzati lungo il perimetro della struttura, all’interno dei quali fluiva l’acqua, per poi ricadere per l’effetto della semplice forza di gravità nel punto più alto dell’acquedotto annesso. Mentre le ruote di Hama vedevano l’implementazione del sistema della “ghirlanda di ciotole” ovvero dei recipienti di terracotta, collegati alla ruota, che nel corso dell’immersione si riempivano spontaneamente. Mentre al culmine della rotazione, una sovrastruttura assicurava il loro svuotamento nella condotta di destinazione. Oggi, di tali implementi non resta più traccia nelle noria superstite, che scarne rappresentazioni del loro antico splendore, compaiono nelle illustrazioni e sulle foto scattate a vantaggio dei turisti. Qualche volta, lontano dallo sguardo delle autorità, la popolazione locale le impiega per giocare e tuffarsi nelle rinfrescanti acque del fiume Orontes.

Precisa ed inesorabile come un orologio. Il suono stridente della ruota tradisce, probabilmente, la necessità di una piccola revisione. Ma è palese che le genti di Hama tengono alla loro eredità storica. Altrimenti non vedremmo ancora lì, intatte, delle macchine che hanno oltre 8 secoli di età.

Che cos’è, in definitiva, la perfezione? L’originale concezione di un’idea? O piuttosto la sua più completa realizzazione, grazie ad elementi che permeano il contesto e sollevano le aspettative dei committenti? Quando Abu al-Fida, esattamente come Tony Blair, aveva disposto che la sua amata città potesse vantare “La ruota più grande del mondo!” Egli non aveva certo in mente il concetto della dolce, dolcissima Coca-Cola. Bensì l’impresa di Belisario, che tanti anni prima, aveva spento l’incendio che ardeva su Roma. Difesa l’Urbe contro le armate dei Goti, che erano stati tanto avventati da tentare l’assalto delle mura aureliane con delle ponderose torri d’assedio, facili prede delle frecce dei romani, il grande condottiero imperversò quindi fino a ridosso del fiume Po, scardinando roccaforti, distruggendo schieramenti ed arrivando, persino, ad ottenere da re Vitige l’offerta di governare l’Italia, come ribelle dall’egemonia universale di Giustiniano. Al che Belisario esclamò: “Ma certo, perché no.” Soltanto per rivelare, all’ultimo momento, di essere rimasto fedele all’ideale che l’aveva creato. E così catturò Vitige al momento dell’incontro, riportandolo in catene a Costantinopoli. Dove, qualche tempo dopo, costui morì.
È una costante della storia, che gli eventi, non importa quanto gravosi e terribili, debbano ripetersi al giro delle Ere. Come pale o ciotole di una ruota idraulica, che non modificano la natura in alcun modo, ma piuttosto la veicolano, la instradano e costringono a rispettare il volere imposto dalla mente dell’uomo. L’inondazione…La siccità…. L’unica cosa che cambia, alla fine, sono gli attori. Chi sarà, questa volta, Roma? Chi Costantinopoli? Chi fermerà il corso del fiume?

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