Le distanti origini del gatto nuotatore

All’ombra dell’antico castello, fra gli edifici sfoggianti esempi storici di architettura ottomana, dove sorgevano un tempo le vestigia di Urartu, capitale di un impero, entrò in scena Vankedisi, un ulteriore prodotto del gene turco, che aveva donato ai gatti provenienti dal Mediterraneo qualcosa che non avevano mai avuto prima: un folto pelo, candido e setoso, per proteggersi dai gelidi inverni di queste regioni. È una strana commistione di fattori, poiché si tende a pensare che gli animali debbano per forza essere: A – selvaggi, oppure B – un prodotto della selezione umana. Eppure in una simile regione, situata in corrispondenza delle coste orientali del Mar Nero, esiste questa insolita via di mezzo, per cui il più rappresentativo felino sopravvive non come proprietà delle famiglie di allevatori, bensì in qualità di loro vicino, evolutosi liberamente attraverso le generazioni. Esiste il termine inglese landrace, per cui non c’è un’esatta traduzione italiana (benché a volte venga impiegato il composto “ecotipo”) concepito per riferirsi a una creatura, sia animale che vegetale, i cui tratti specifici e razziali derivano da uno specifico ambiente di provenienza. E ci sarebbe ben poco a differenziare il gatto della città di Van dal suo simile situato 1.000 miglia ad occidente, il gatto d’angora della città di Ankara, se non fosse per una particolare presenza nella sua regione: un lago salino di 12.500 chilometri quadrati. Ora non è chiaro, esattamente, quando questo piccolo mammifero abbia iniziato a visitare le assolate coste di un simile bacino. Eppure attraverso i secoli, e sia chiaro che ne sono passati parecchi, il suo manto ha acquisito una speciale dote idrorepellente, diventando privo del sottopelo, mentre i muscoli delle zampe si facevano più forti e resistenti. Il gatto era diventato perfetto per tuffarsi, ed inoltrarsi tra i flutti alla ricerca di cibo, soddisfazione, fresco estivo…
Le prime attestazioni archeologiche relative al gatto di Van sono datate attorno al 75 d.C, quando questa regione diventò l’estremo confine orientale del grande Impero Romano. E gli ufficiali delle legioni, colpiti dagli scattanti cacciatori di topolini ed uccelli, pagarono per farseli raffigurare sugli scudi. La razza diventò quindi altamente rinomata e caratteristica di questi luoghi, prosperando virtualmente indisturbata fino al XV secolo, quando una serie di fiere commerciali diffusero la sua fama in tutto il Vicino Oriente. A qualche astuto diplomatico, dunque, venne in mente di inviare il gatto in dono alle corti europee, così come anticamente era stato fatto col gatto d’angora verso il regno di Persia, dando origine indirettamente ad un’altra delle razze più celebri dell’attuale panorama felino. Nel giro di 100 anni presso i nostri dintorni culturali, il Van diventò il gatto dei potenti, dei nobili e dei re, che ne tenevano sempre uno nei loro giardini, per costituire oggetto d’invidia ad opera dei loro pari. Nel 1600 il famoso astronomo, botanico e viaggiatore Fabri de Peiresc ne riportò una certa quantità in Francia, dove tra i clienti del suo allevamento poté annoverare lo stesso Luigi XIII e il cardinale Richelieu. Con le successive importazioni del gatto Persiano, tuttavia, tutti i promotori del gatto di Van passarono all’alternativa più popolare, causando la progressiva scomparsa della razza dallo scenario d’Occidente.
Il gatto di Van, nella sua forma originale, è quasi sempre completamente bianco, benché non presenti affatto il gene della sordità, diffuso altrove fra questa variante cromatica dell’animale. Uno dei suoi punti di fascino maggiore sono gli occhi, ambra o turchese, ma ancor più spesso, uno ambra e l’altro turchese, creando un contrasto che sembra mirare al profondo dell’animo e dell’empatia umana. La visione di questi gatti è da sempre così affascinante per i visitatori dell’area geografica che anche storicamente, pare fosse diffusa l’abitudine di prenderne uno e riportarlo con se a casa. Secondo un documentario della BBC del 1991 ma che raccontava anche esperienze pregresse, simili casi si verificarono ancora in epoca moderna, con l’inevitabile conseguenza, altamente spiacevole, di stare effettivamente sottraendo l’animale al suo padrone, che come da prassi turca lo lasciava girare libero di cacciare sulle strade circostanti la sua abitazione. Quindi nel 1955, questa razza fu ufficialmente “riscoperta” dagli europei, finendo però stranamente, per diventare qualcosa di radicalmente diverso.

Avere un Van turco significa, talvolta, portarlo con se sulla canoa. Ed alla fine, stanchi di sentire il suo miagolio perplesso, decidersi a metterlo in acqua, per fargli fare un po’ d’esercizio. Il suo comportamento sereno e competente in acqua è più simile a quello di una tigre, piuttosto che ad altri animali domestici della convenzione.

Intendiamoci: non è che la moderna colorazione del cosiddetto Van Turco sia totalmente sconosciuta nel suo luogo di provenienza. Qualche macchia, marrone o grigia, può talvolta palesarsi su queste aggraziate creature, come prodotto del gene recessivo del leucismo.. Ma per i principali standard delle razze feline, è proprio prevista una configurazione specifica, con due macchie rosse in corrispondenza della testa e la coda, in una livrea che in effetti nella Turchia di provenienza, non verrebbe affatto considerata come rappresentativa del vero Vankedisi. La responsabilità (il merito?) di una simile associazione, è attribuibile a una coppia di viaggiatrici inglesi, Laura Lushington e Sonia Halliday, che in cambio di alcune foto realizzate per l’Ente del Turismo locale avevano ricevuto in dono una coppia di gattini, il maschio proveniente dalla zona meridionale e la femmina da Istanbul. Entrambi erano a macchie (benché sarebbe appropriato dire, in effetti, che la macchia era una soltanto: quella bianca fra i due estremi pigmentati della testa e della coda). Nessuno dei due, tuttavia, proveniva dalla città lacustre a cui sarebbero stati poi associati e benché le proprietarie fossero solite, nei loro scritti, riferirsi agli animali come gatti di Van, non è noto se per una specifica ragione di ricerca, o semplicemente un’idea personale. Durante il viaggio di ritorno, quindi, mentre facevano il bagno in un torrente, le due ne avrebbero scoperto l’inaspettato tratto caratteriale: i felini le avevano seguite, per fare il bagno assieme a loro. “Si, è vero: tutti i gatti sanno nuotare….” Avrebbe in seguito dichiarato la Lushington, venuta a mancare nel 2015 alla veneranda età di 94 anni: “…Ma soltanto ad alcuni PIACE farlo.”
Ben presto, coloro che sarebbero passate alla storia come ambasciatrici del ritorno del Van in Europa, e in seguito negli Stati Uniti, ne scoprirono gli altri pregi indiscussi: la pacatezza accompagnata dalla perenne voglia di giocare, la fedeltà ad un singolo individuo scelto come “padrone”, più simile a quella di un cane, la pazienza con i bambini e gli altri animali della casa. Trattandosi, come dicevamo, non di una razza artificiale bensì un ecotipo, il gatto turco, anche nella sua versione riveduta e corretta ha sempre mantenuto un’innata resistenza alle malattie e difformità genetica, crescendo generalmente forte e in salute. La prima federazione a riconoscere la “nuova” razza fu dunque la GCCF (Governing Council of the Cat Fancy) in Inghilterra, tramite cui lo standard si estese gradualmente al resto del mondo. Nonostante questo, ancora oggi gli allevamenti non sono tantissimi, e resta un gatto piuttosto raro e costoso. Permangono inoltre dei disaccordi sulle caratteristiche accettabili e le effettive livree conformi alle esigenze di categorizzazione, mentre fatto decisamente imprevisto, è proprio l’originale colorazione completamente bianca del Vankedisi ad essere rifiutata nei concorsi d’Occidente. Le solite, stranissime, idiosincrasie umane…

Fin dall’origine dei tempi, tutti i gattini sono egualmente pronti a saltare sul filo di lana. E forse è proprio questo, il miglior complimento che gli si possa mai fare.

Con il trascorrere del tempo, dunque, il gatto a macchie selezionato dagli Europei ritornò in patria. Data la vicinanza della regione di provenienza con il monte Ararat, dove secondo la sapienza degli antichi avrebbe approdato la grande imbarcazione di Noé al termine del Diluvio, fu quindi associato a una particolare leggenda. Pare infatti che nel momento in cui Dio/Allah ritenne di aver annacquato a sufficienza il mondo ricolmo d’iniquità, il felino si fosse posizionato in prossimità della prua, ed affascinato da una tale distesa splendente, si fosse tuffato senza troppi pensieri, ben prima che la famiglia del profeta potesse fare alcunché per salvarlo. Ma fu allora che il Signore Supremo, avendo pietà dell’entusiastico animale, lo sollevò di peso dall’acqua, spostandolo fino alle nuove terre emerse, proprio dove un giorno sarebbe sorta la città di Van. Provate ad indovinare in quali punti aveva toccato il gatto? Esatto: la testa e la coda. Certe storie non hanno confini!
Il rosso del pelo di tali zone, dunque, avrebbe indicato a sempiterna memoria “la benedizione di Allah”. Peccato che fosse originariamente, piuttosto rara. Forse non tutti gatti sono benedetti? Oppure qualcuno di loro è riuscito ad arrivare a destinazione con le sue sole forze, prima che Egli potesse manifestarsi per aiutarlo? Non è sempre facile capire le ragioni di un particolare tratto somatico in una creatura. Quando poi si aggiunge all’equazione l’imperscrutabile volontà divina, sicuramente le cose non diventano più semplici. Anzi, tutt’altro…

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