Il segreto della piscina più profonda d’Italia e del mondo

Con la tuta nera e le movenze di un ragno, Guillaume Néry si aggira attorno alla voragine di forma perfettamente circolare. Lui, che di immersioni in apnea davvero se ne intende, come dal record assoluto di profondità infranto tre volte e il titolo di campione del mondo di squadra ed individuale nella categoria del tuffo in assetto costante, ovvero con zavorra artificiale che non viene modificata fino al momento di ritornare in superficie. Eppure in questo caso di pesi non v’è traccia visibile, esattamente come nel precedente video che lo rese celebre ai non iniziati nel 2010, quando assieme alla moglie Julie Gautier si lanciò nelle profonde tenebre del Dean’s Blue Hole, la più impressionante voragine sommersa delle Bahamas (vedi articolo precedente). Perché lui, che di carisma ne ha parecchio, pare fermamente intenzionato a massimizzare l’effetto estetico del luogo in cui si trova. Il grande sportivo compie un ultimo giro, quindi raccoglie il suo coraggio e le forze. Con una piccola ricorsa, giunge fino al ciglio e poi si lancia, verso il centro esatto del grande spazio vuoto. Raccogliendo le braccia sui fianchi inizia quindi a cadere, dapprima lentamente, poi, man mano che aumenta la densità dell’aria residua nei polmoni, sempre più rapido e in profondità. Verso il fondale di questo luogo privo d’eguali.
E qualcuno potrebbe anche muovere l’obiezione che il suo assetto di affondamento appare più simile a una  “I” o a un punto esclamativo, piuttosto che alla lettera “Y” che chiaramente fornisce il nome alla piscina: Y-40, per essere più precisi, dove il numero sono i metri verso cui si estende nelle viscere del sottosuolo padovano. E il segno grafico, invece, dovrebbe ricordare la figura di un subacqueo a testa in giù, con le gambe allargate per allontanarsi il più possibile dalla superficie. Ma Néry non è solito approcciarsi al problema in questa maniera perché ovviamente, muovere i muscoli richiede ossigeno. Riducendo la prestazione finale. Anche se, a ben guardarlo, qui non ci viene mostrata tutta la storia: mancano i momenti, niente meno che essenziali, in cui l’atleta dovrebbe fermarsi ed equalizzare la pressione dei suoi padiglioni auricolari, soffiando mentre si chiude il naso oppure muovendo lateralmente la mascella. Ciò è una pura e semplice necessità umana. Come del resto, non è probabile che l’immersione sia stata realizzato direttamente a seguito delle sue scenografiche esplorazioni di quasi superficie. Del resto non si può visitare un luogo come questo, senza prendere atto della sua eccezionale unicità: le due grandi finestre che danno sul bar-ristorante facente parte dell’hotel Millepini, facendo da tramite al mondo subacqueo e di superficie, e il tunnel trasparente da cui gli spettatori possono assistere allo spettacolo dell’ammasso d’acqua pieno di coloro che s’industriano a visitarlo. Le funzioni di un luogo come Y-40, inaugurato nel 2014 in località Montegrotto Terme, presso Abano, possono essere molteplici: corsi per l’ottenimento di certificazioni, esami tecnici, allenamento. Un’apposito spazio alla profondità di 10 metri circa presenta degli ingressi ad una caverna artificiale, dove fare pratica con le manovre di speleologia. E poi, naturalmente, c’è il baratro privo di un fondo apparente, del diametro generoso di 6 metri. Punto cardine della visione di Emanuele Boaretto, imprenditore e proprietario dell’albergo, laureato in architettura e urbanistica nonché praticante amatoriale delle immersioni, che avrebbe condotto i suoi ospiti più coraggiosi fino a una profondità di 42 metri, sufficiente a farsi una prima idea di cosa significhi affrontare le vere profondità del mare. Non è per tutti, una simile sfida. Benché resti indubbio che da un punto di vista meramente procedurale, non esista un singolo altro luogo in cui approcciarsi all’impresa in totale assenza di pericoli ed imprevisti. La piscina è persino dotata di un completo ambulatorio in grado di fornire soccorso in caso d’incidenti, che l’ha resa, tra l’altro, un punto di riferimento in campo scientifico, dato che permette di effettuare analisi mediche immediatamente dopo un’immersione a simili profondità.
Si potrebbe pensare che il concetto di piscina per immersioni profonde sia totalmente nuovo, laddove non è propriamente così. Y-40 ha trovato in effetti un insigne predecessore e concorrente attuale, della profondità però di “appena” 33 metri, noto per l’appunto con il nome di Nemo 33. Situata in Belgio, presso la città di Bruxelles, questa piscina ha tuttavia sempre avuto un problema tutt’altro che indifferente: scaldare l’acqua. Un’operazione lasù compiuta attraverso l’impiego di un sistema ad energia solare, che tuttavia non gli ha mai permesso di raggiungere, soprattutto in profondità, le temperature confortevoli dell’alternativa italiana. Riuscite ad immaginare il Perché?

L’attenzione internazionale suscitata da Y-40 è sempre stata notevole, come testimoniato da questo enfatico documentario del canale americano Animal Planet, pubblicato sul canale ufficiale dell’hotel.

Il video di Néry finisce all’improvviso, purtroppo, una volta raggiunto il fondale. Ma risalendo dalle profondità con la sua muta tutt’altro che necessaria (tranne che forse, per dar spazio allo sponsor) egli avrà attraversato l’area di osservazione, fino all’ingresso che da direttamente sugli spogliatoi. Una volta completati gli esercizi di raffreddamento e preparatosi a tornare nel mondo di superficie, avrà quindi attraversato del foyer-sala meeting, ma non prima di far visita, su di un lato, alla stanza da cui proviene continuamente uno strano suono. La vera e propria sala macchine, o stazione di depurazione e pompaggio, che si occupa d’immettere periodicamente e mantenere puliti i 4.300.000 litri d’acqua contenuti nella piscina. Macchine dall’aspetto e dal funzionamento tutt’altro che convenzionale perché, dobbiamo davvero ripeterci? Questa è Abano Terme! Una località le cui qualità benefiche hanno indotto ad oltre un millennio di solenni abluzioni, fin dall’epoca degli antichi Romani, alla ricerca di guarigione dalle afflizioni più disparate. Ma si tratta pur sempre di un fluido che non può essere veicolato da tubi convenzionali, pena la formazione quasi immediata di accumuli calcarei ed altri gravosi problemi. Ed è in questo, fondamentalmente, il grande vantaggio di Y-40 su tutte le altre piscine di grande dimensioni presenti nel mondo: la sua acqua non deve essere riscaldata, bensì lasciata raffreddare dalla temperatura sorgiva di  ben 85°, fino a dei ben più sopportabili 30-35 gradi. Il che, incidentalmente, costituisce la ragione per cui l’abbigliamento di Néry aveva un mero scopo pubblicitario: perché l’acqua in cui si stava inoltrando, forse per la prima volta nella sua intera carriera, era tiepida in superficie così come fino alle propaggini estreme della vertiginosa avventura. Anche se, va pur sempre specificato, 42 metri non sono una cifra così considerevole per lui, che ne ha raggiunti fino a 125, detenendo tutt’ora l’assoluto record francese per quanto concerne l’apnea ad assetto costante (mentre per la cronaca, il limite umano massimo di profondità appartiene attualmente ad Herbert Nitsch, che nella disciplina della discesa assistita ha raggiunto gli impressionanti 253 metri).
Sul cosa spinga, giorno dopo giorno, simili campioni a sfidare i limiti estremi del proprio fisico esiste una sola possibile risposta: l’esplorazione dei confini ultimi delle nostre capacità. Il fatto che la rimozione delle bombole, e del conseguente rischio di espansione dell’ossigeno al ritorno in superficie, permetta di immergersi senza un sostanziale limite diverso da quello del proprio fiato, costituisce al tempo stesso una sfida a cui è impossibile resistere, e la dimostrazione che gli umani provengono dagli abissi, così come ogni altra forma di vita su questo pianeta. Il nostro corpo fatto al 70% d’acqua, e quindi incomprimibile, ne è la prova. Così come coloro che si arrampicano sulla cima delle montagne (hobby praticato, anch’esso, da Guillaume Néry, gli apneisti fanno da apripista alla nostra coscienza, dimostrandoci che il nostro senso d’insicurezza fisico è largamente immotivato. Volere è potere, molto più di quanto spesso si tenda a pensare. E l’esistenza di un luogo come Y-40, assai chiaramente, ne è la prova.

Un aspetto interessante: questa spropositata piscina è stata costruita, incredibilmente, in meno di un anno. A tal punto è valsa la guida del committente ed architetto (niente meno che “Leonardesco” come arriva a definirlo la rivista Wired) e l’abilità procedurale delle maestranze nostrane.

E che prova! È decisamente raro, in campo sportivo, trovare un’immagine online così chiara e precisa nella divulgazione programmatica e progettuale. Il sito di Y-40 (nome che andrebbe letto, per la cronaca, come ypsilon-meno-quaranta) offre un ricco catalogo fotografico completo di scansione a 360° caricata su Google Maps, i numerosi rimandi al canale YouTube ufficiale e tutte le informazioni, più o meno pratiche, che si possano desiderare prima di organizzare la propria visita verso l’artificiale profondo. Viene inoltre pubblicato il prezzo dei biglietti d’ingresso, che è anche possibile prenotare online: tra i 32 e i 40 euro a seconda della fascia oraria ed il giorno della settimana selezionato. Che oggettivamente non sono pochissimi, ma pienamente giustificati dalla qualità del servizio e l’evidente appartenenza ad una grande eccellenza del turismo italiano. Sono previste lezioni a pagamento con istruttori o personal trainer, oltre a sconti per le comitive. Va del resto considerato come per chi abbia intenzione di costruirsi una carriera nell’ambito del mondo subacqueo, Y-40 può costituire un’importante strumento professionale.
Per tutti gli altri, invece, è un brivido azzurro dall’aspetto strano e conturbante. Non pochi, tra i commentatori occasionali all’intera questione, lamentano online una certa inquietudine causata dal concetto di discesa all’interno di un tunnel verticale, sotto incalcolabili tonnellate d’acqua. Ed è questa in ultima analisi la prova che la thalassofobia, una delle tante condizioni psichiche nate dal bisogno di dare un nome agli atavici timori dell’uomo, non trae l’origine dal vero e proprio θάλασσα (thalassa – mare) bensì dalla pura e primordiale paura di morire annegati. Un qualcosa che che in ambienti controllati con bagnini addestrati, come quello di una piscina, è pressoché impossibile che succeda. Ma tutto questo, l’amigdala non lo sa.

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