C’è una diffusa credenza popolare, soprattutto nei grandi Stati Uniti d’America, secondo cui il mondo sarebbe segretamente guidato dai rettiliani. Questa razza aliena dotata della capacità di farsi piccola e rinchiudersi all’interno di corpi umani artificiali, da pilotare quindi come una sorta di robot biologici dal notevole fascino e capacità di persuasione. I quali più volte, nel corso della nostra storia recente, sarebbero riusciti a giungere ai massimi vertici delle classi dirigenti di questo pianeta. Una simile teoria, naturalmente, non è mai stata dimostrata: sono troppo furbi, questi esseri provenienti dall’altro lato della stella di Betelgeuse. E se vi dicessi che adesso, invece, delle lucertole vivono letteralmente nella testa di alcune delle più grandi figure storiche del succitato paese? Striscianti, lucidi piccoli animali, amanti di due cose, sopra ogni altra: i luoghi caldi ed arrampicarsi. Fin dentro l’oscura scatola del cranio…
Spunta sulla destra percorrendo l’Interstatale 64, partendo dall’estrema punta della penisola della Virginia così come fecero i primi coloni all’epoca di Pocahontas, e verso la città di Richmond che poggia su sette colli, un po’ come un altro luogo celebre d’Italia. E le somiglianze, a conti fatti, non finiscono lì. A prima vista, da lontano, può sembrare un cimitero: un’alta quantità di oggetti, o forse sarebbe più giusto dire strutture, dall’altezza unitaria di fino a 6 metri, con una base larga ed una cupola in cima ricoperta da un’accenno di chioma, un po’ come fossero delle… Teste. Ed è palese che il materiale di cui sono fatte dovrebbe sembrare marmo, in una sorta di omaggio all’arte neoclassica che tanto spazio aveva avuto in questo Nuovo Mondo, durante il periodo medio della sua breve storia. Ma man mano che ci si avvicina, gradualmente, emerge chiaro che si tratta di un ben meno pregevole, ma pur sempre funzionale cemento. Emergono, inoltre, i difetti: laggiù manca un naso. Qui, un pezzo di mento. Molte figure riportano una crepa sul retro all’altezza della nuca, mentre una in particolare, dalla riconoscibile barba senza baffi, la fronte ampia, i lineamenti nodosi e forti, è completamente scoperchiata nella sua parte posteriore. Si tratta del presidente Lincoln, ferito in effigie così come il giorno della sua violenta dipartita. Al suo interno è possibile scorgere il vago scintillio la struttura di metallo che sostiene il tutto, ancora non del tutto ricoperta dalla ruggine e la corrosione. Non che ai suoi colleghi, messi ordinatamente in fila dal nuovo proprietario della collezione all’interno di una fattoria di circa un centinaio di acri, sia andata notevolmente meglio: tutti quanti seri e compunti, e tutti altrettanto bucati da una vistosa ed identica presa d’aria, nel punto centrale della sommità della testa, praticata con apparente crudele precisione ed intento dissacratorio verso gli uomini più grandi della Nazione. Niente paura, ragazzi. Si tratta semplicemente del foro praticato per agganciarli uno per uno, tramite l’impiego di una possente gru. Già, ma perché farlo…
La storia del Parco dei Presidenti di Everette H.”Haley” Newman III, un tempo ospitante 43 busti sovradimensionati dei POTUS (Prez. Of The United States) andanti da George Washington a George W. Bush (il figlio) realizzati dallo scultore texano David Adickes è una vera anomalia nel paese che venera letteralmente la sua identità, al punto da raffigurare la bandiera sulla spalla dell’uniforme dei soldati rivolta al contrario, come se “sventolasse nel vento mentre avanzano, senza ritirarsi mai.” C’è in effetti qualcosa di anomalo, nel chiamare cantanti di larga fama per interpretare l’inno al SuperBowl, tra l’esultanza di chi lo conosce a memoria, e poi lasciare che gli spettri del consumismo divorino letteralmente la riproduzione inanimata dei volti che fecero tale Storia, creando l’analogia funzionale di certe scene decadentiste successive alla fine dell’Unione Sovietica, il nemico giurato di tanti anni fa. Crollano le statue, rovesciate al termine di un regime. O crollano le statue, dimenticate perché non rendevano abbastanza. Incredibile, no? Eppure, nel 2004, era sembrata un’ottima idea: costruire una nuova attrazione nel cosiddetto Triangolo Storico, tra Jamestown, la Williamsburg Coloniale e Yorktown. Un’altro di quei “luoghi meravigliosi” che dovrebbero portare gli automobilisti a fermarsi in maniera inattesa, soltanto per poter dire “L’ho visto.” E il tutto fu fatto a regola d’arte, con un investimento di appena una decina di milioni di dollari, un piccolo museo, il negozio di souvenir e cartelli interattivi per ciascun busto, in grado di emettere la voce di questo o quel presidente. C’erano, tuttavia, significativi problemi: in primo luogo la location, preso un motel privo di particolari attrattive, lungo un tratto di strada che non portava ad altri notevoli punto d’interesse. Per non parlare della concorrenza dei veri luoghi storici, disseminati un po’ ovunque nello stato. Fatto sta che nel giro di appena 8 anni, l’imprenditore e committente dell’intera venture turistica determinò che non avrebbe mai recuperato neppure i costi annuali di gestione, tanti pochi erano i turisti. Quindi vendette il terreno ad una compagnia di auto usate, dietro la garanzia che ogni statua sarebbe stata prontamente rimossa. Chiamato quindi il suo buon amico e proprietario di un’impresa di costruzione, Howard Hankins, gli chiese gentilmente di prendere uno schiacciasassi, e farne letteralmente polvere fine per seminare la terra. Ma lui, come potrete facilmente presumere, fece tutt’altro…
Non sembra particolarmente colpito nelle sue più recenti interviste, lo scultore e pittore David Adickes, dal fato di questa sua particolare serie di opere d’arte. Lui, dopo tutto, era già stato pagato. E conosce piuttosto bene le problematiche gestionali di un Parco dei Presidenti, visto che per un periodo grossomodo parallelo a quello da noi preso in esame, ne aveva costruito un altro, con esattamente le stesse sculture, presso Deadwood nel Dakota del Sud. Non troppo distante proprio da quel Monte Rushmore con i volti di Washington, Jefferson, Roosevelt e Lincoln, che lo aveva profondamente colpito in un giorno non meglio definito del suo passato, nel corso di un viaggio di ritorno dal Canada, ispirandolo nel dedicare un preciso momento della sua carriera alla creazione di statue che avessero la dimensione, per così dire, perfetta. “Sono magnifici, maestosi!” Racconta con enfasi: “Così scolpiti nel lato della montagna, grandi come delle vere e proprie forze della natura. Ma a conti fatti, non puoi avvicinarti e toccarli. Devi soltanto scrutarli da lontano…” Nel suo studio di Houston, Texas, Adickes iniziò quindi a lavorarci attorno al 2000, inventando un suo specifico metodo produttivo. Dapprima, ciascun presidente veniva realizzato con la creta a proporzioni umane, quindi misurato tramite l’impiego di un sistema laser, per trasferire le cifre all’interno di una macchina di taglio del polistirolo. Assemblate quindi le fette prodotte da quest’ultima alla dimensione monumentale desiderata, come un “peperoncino da chili gigante” (parole sue) seguiva la copertura con uno strato di gomma e successiva colata di cemento. Per questo, sostanzialmente, le statue sono tutte cave. A completare il processo, uno degli assistenti dell’artista sarebbe entrato da sotto, per costruire all’interno la struttura di rinforzo in acciaio. Niente male come soluzione tecnologica per un artista ormai alla soglia degli 80 anni, nevvero? Eppure, così pieno di strabilianti progetti… Come il cowboy da 85 metri che vorrebbe produrre per la sua amata Houston, come simbolo e statua più grande nella storia d’America.
Lui non avrebbe avuto, dunque, granché da ridire. Ma non così il costruttore Howard Hankins. Che prima di vedere le statue distrutte, di sua spontanea iniziativa, chiamò aiuto per spostarle una per una nella sua proprietà. Non fu affatto un’impresa semplice, anzi, potremmo arrivare a dire che si tratti di una vera e propria carneficina. Il personale che non si era mai occupato di una simile impresa, imparò i metodi in corso d’opera, per così dire. Non prima che un’alta percentuale dei busti cadesse, venisse fatta sbattere contro le sponde dei camion, urtasse o rotolasse in giro per la campagna della Virginia. E se volete saperlo si, questa è l’origine dell’infortunio riportato dal busto di Lincoln, proprio uno dei più importanti. Adickes e Haley, l’originario committente, avevano infatti deciso che gli 8 “più grandi presidenti” secondo il celebre sondaggio tra gli storici del professore di Harvard Arthur M. Schlesinger, sarebbero stati riprodotti su una scala maggiore, per meglio riflettere l’importanza avuta nella storia del paese. Curioso che invece Barack Obama, eletto successivamente al completamento del parco e considerato 12° nella classifica odierna, sia stato realizzato soltanto un misero busto a dimensione naturale. Ma forse a quel punto, sono semplicemente mancati i fondi. E più sei grande, ovviamente, maggiormente diventi difficile da spostare. Chissà dove finirà Donald Trump!
Il futuro di queste statue, oggi, appare incerto. Benché Hankins abbia garantito che le terrà sul suo terreno a tempo indeterminato, preferendo letteralmente vederle cadere a pezzi piuttosto che distruggerle con le sue mani. Tempo fa istituì anche una campagna di raccolta fondi su GoFundMe, con il proposito di costruire un nuovo parco, ma dei 500.000 dollari richiesti ne raccolse appena un migliaio. Un vero peccato, visto come il suo progetto includesse anche una riproduzione dello studio ovale, dell’Airforce One e una galleria dedicata alle First Ladies ed un’altra per il servizio segreto. L’unico parco dei presidenti ancora visitabile, allo stato attuale dei fatti, resta dunque quello del South Dakota, dove alcuni dei busti sono stati però spostati presso un campeggio vicino, ed altri venduti al miglior offerente. La testa di Roosevelt ad esempio, alquanto appropriatamente, si trova attualmente presso la Roosevelt Inn di Waltford, SD. E quella di Lincoln a Lincoln Park. Non mi sorprenderebbe affatto se anche loro fossero bucati. Mentre molti degli altri, a quanto pare, sono diventati un habitat prediletto dai tacchini selvatici della regione. E poi lucertole, lucertole ovunque! Possibile che si tratti soltanto… Di un caso?