Tutto quello di cui abbiamo bisogno, l’unica cosa che dovremmo riuscire a fare, è poter riavvolgere un singolo giorno della nostra vita. Importa realmente quale…? Direi proprio di no. Così raggiunta l’ora del tramonto, ritornerebbe l’alba. Ma sarebbe la stessa di 10 ore prima. E poi di nuovo, in un ciclo infinito d’invecchiamento e rigenerazione. Già, perché una cosa non dovrà per forza escludere l’altra! Questo è il significato ultimo dell’esistenza: pensate ad un pollo, che si trasforma in un uovo, il quale nel giro di qualche tempo si schiuderà, ritornando un pulcino. Qualcuno vorrà ancora sapere, a quel punto, quale delle due forme è venuta prima? Chiedetelo a Christian Sommer, il biologo marino tedesco, ed al suo amico Giorgio Bavestrello, proprietario di un acquario a Rapallo, all’interno del quale negli anni ’80 fu per la prima volta trasferita una creatura, che prima di quel fatidico giorno, non era mai stata notata dall’uomo. E lo credo bene: dopo tutto, la Turritopsis non misura che 2,7 mm di lunghezza, per 3,2 di diametro. Ed per di più semitrasparente, come si confà a una vera medusa. Ciò non significa, del resto, che possa sparire nel nulla. Immaginate dunque la sorpresa di questi due, quando la mattina dopo la fatidica scoperta, ritornando per controllare lo stato della loro cattura, non riuscirono più a ritrovarla in alcun modo. Mentre al suo posto, saldamente assicurato al fondale dell’acquario, c’era quello che gli scienziati chiamano polipo (non un “polpo”) ma che noi potremmo definire per analogia, come una sorta di anemone, minuscolo e sottile, i cui tentacoli protesi verso la superficie sembravano sfidare i perplessi catturatori. Scenari improbabili iniziarono ad affollarsi nella mente degli scienziati: “Forse il secondo animale era nascosto nell’acqua, noi non l’abbiamo notato, e si è mangiato la medusa” oppure “Mi pare evidente che ieri avevamo bevuto un bicchiere di troppo, e tutto il resto l’abbiamo sognato.” nonché ovviamente, la più assurda di tutte: “I nostri occhi stanno guardando la stessa cosa. La medusa di ieri, trasfigurata.”
Possibile? Davvero? Se fino a 30-40 anni fa, un’ipotesi simile fosse stata paventata dinnanzi al mondo scientifico riunito in convegno, svariati insigni studiosi dalla barba bianca sarebbero scoppiati a ridere. Poiché in effetti, molti appartenenti all’ordine degli cnidaria attraversano questa specifica metamorfosi, ma lo fanno all’inverso, come parte di un ciclo che può essere sommariamente riassunto in uovo>larva>polipo>medusa. Ora se realmente, una forma di vita avesse scoperto il segreto per ritornare dalla quarta alla terza fase, e poi nuovamente dalla terza alla quarta, che cosa potrebbe fermarle dal farlo un infinito numero di volte? Essa potrebbe vivere per 100 anni…1.000…5.000, anche 12.000 millenni. Fatta eccezione per la casualità, in realtà statisticamente piuttosto probabile, di finire in bocca a qualcosa o qualcuno. Dopotutto, è difficile mettere radici mentre si viene digeriti. L’intera questione fu dunque sottoposta a uno studio. Finché Ferdinando Boero, un professore dell’università di Salento contattato a suo tempo da Sommer e Bavestrello, non poté pubblicare nel 1996 il suo celebre articolo Reversing the life cycle: medusae transforming into polyps and cell transdifferentiation in Turritopsis nutricula. Tutti quanti, leggendolo, rimasero senza parole. Col che intendo che dal punto di vista dell’uomo della strada, non importò praticamente niente a nessuno. Troppo diverso, appariva, questo insignificante essere tentacolare dalla forma di vita “superiore” di noi possenti e saggi esseri umani. Giusto? Sbagliato, come sappiamo effettivamente dal 2003, grazie al completamento del Progetto Genoma Umano, e ad uno studio del 2005, che mise in relazione il nostro codice genetico con quello di diverse specie animali. Caso in cui fu scoperto, tra un generale senso di stupore diffuso, che in effetti l’unica differenza tra noi e le fluttuanti creature degli abissi sono due eventi evolutivi di duplicazione dei geni. Se soltanto le cose fossero andate in maniera leggermente diversa, nella lunga e articolata storia di questo pianeta, oggi noi potremmo trovarci aggrappati agli scogli, sperando di sopravvivere un altro minuto. E le meduse vivrebbero nelle case, lasciando scie di gelatina dal divano del salotto allo sportello della dispensa in cucina. E fu allora che all’improvviso, l’opinione comune si ricordò della Turritopsis. Questa nostra ritrovata parente, subito popolare poiché in possesso di un qualcosa di altamente desiderabile… Una ricchezza ulteriore… Un segreto che vorremmo anche noi. Oh quanto ci interessava, d’un tratto, la sua minuscola storia….
Detto questo, come normalmente si dice, tra il dire e il fare… Il problema fondamentale di qualsivoglia studio possa effettuarsi sulle appartenenti alla variegata famiglia delle Turritopsis è in effetti condizionata da un significativo problema: nel giro di poche ore dopo che sono state tratte dal loro habitat, generalmente subiscono uno stress tale da passare a miglior vita, senza aver modo di mutare verso la loro soluzione di salvezza. Il che spiega, incidentalmente, la gran confusione fatta dagli studiosi nel corso delle loro analisi in relazione a questi piccoli abitanti dei mari: fu in effetti scoperto, a distanza di anni, che gli esemplari studiati da Boero erano in realtà appartenenti alla specie T.dohrnii, non T. nutricula come pensato all’epoca, mentre la maggior parte delle immagini reperibili online appartengono alla T. rubra australiana, sensibilmente più grande e quindi più facile da fotografare. Senza, per sua fortuna, toccarla.
Perché già, vi rendete conto? Una creaturina che potrebbe avere l’età di Napoleone, ma che dico di Plutarco o persino Abocodopsolos, il primo cittadino di Atlantide, uccisa con l’intenzione mal guidata di fare del bene… Questa è la condanna, il fondamentale consiglio della curiosità: che nulla importi, purché si raggiunga lo scopo. E non c’è alcunché di sacro al mondo! Tranne l’opera degli uomini straordinari. C’è in effetti una singola persona, tra gli odierni teorici della faccenda, che sia riuscito a mantenere sotto osservazione per un periodo prolungato un certo numero di queste meduse, gelosamente custodite in un frigorifero all’interno del suo ufficio. Il suo nome è Shin Kubota e lavora presso il Laboratorio Biologico Marino Seto dell’università di Kyoto, presso la candida spiaggia di Shirayama, una rinomata località turistica nella prefettura di Wakayama. Famosa per una formazione rocciosa ad arco, frutto dell’erosione, e i costanti sforzi fatti dall’amministrazione locale per preservare quest’ultima e l’erosione della costa, tramite l’importazione di enormi quantità di sabbia dalla distante Australia. Kubota costituisce una vista piuttosto nota nella zone, largamente riconoscibile grazie alle sue molte apparizioni televisive, e spesso osservato mentre passeggia con il retino sulla spiaggia privata del Seto o si avventura tra i canali e le insenature della città, in cerca di acqua stagnante in cui trovare, si spera, altri esempi della creatura a cui ha scelto di dedicare la sua intera vita professionale. Quando non trascorre, piuttosto, alcuni specifici orari della giornata a nutrire i minuscoli animali con gamberetti nei loro contenitori, avendo cura che non s’indeboliscano a tal punto da diventare incapaci di rigenerarsi. La sua complicata routine, quindi, ha costituito il tema di molti approfondimenti pubblici, che nel tempo hanno portato le meduse in primo piano nell’opinione generalista del pubblico giapponese. La ragione non è difficile da immaginare: in un paese in cui l’età media è vertiginosamente alta, l’idea che si possa prolungare in qualche modo la propria vita cattura l’attenzione di chicchessia. E lo stesso Kubota, nelle sue spiegazioni ed attività marginali, riesce ad essere particolarmente accattivante: con l’aiuto di uno dei suoi due figli, musicista, ha persino creato una serie di canzoni a tema sulle meduse immortali, che esegue indossando i surreali panni dell’uomo medusa, una sorta di bizzarro supereroe. E se questo dovesse sembrarvi ridicolo ed infantile, evidentemente non conoscete il modo di pensare dei giapponesi!
Dal punto di vista morfologico e del ciclo vitale, prendendo in analisi la medusa T.dohrnii che è l’unica appartenente alla famiglia che sia stata fatta oggetto di osservazioni in cattività (benché si ritenga che anche le altre specie possano essere immortali) si può affermare con certezza che essa non possieda caratteristiche notevoli o dall’alto grado di specificità, fino al miracolo della rigenerazione. Molto piccola, come dicevamo, ha circa una decina di tentacoli al primo raggiungimento dell’età adulta, che gradualmente aumentano fino a 90. Il suo cappuccio è piuttosto sottile e all’interno è possibile osservare gli organi digestivi con disposizione cruciforme, di un vivace color rosso intenso. L’animale, come tutte le altre meduse, possiede un solo orifizio, attraverso cui filtra ed espelle nuovamente l’acqua ricca dei microrganismi di cui si nutre. Una volta messa da parte una quantità d’energia sufficiente, esso depone una certa quantità di uova, che iniziano a galleggiare nella corrente. Una volta trovate da un secondo esemplare, quindi, vengono fecondate. A quel punto nasce una forma larvale appena in grado di muoversi sulle sue forze, chiamata planula, che nel giro di poche ore precipita fino al fondale. A questo punto, immancabilmente, sviluppa uno scheletro interno e mette radici, replicando se stessa in una serie di polipi (ribadisco, non POLPI) che formano una colonia, simile a un anemone di mare. Trascorso un tempo variabile in base alla temperatura dell’acqua, l’essere trasforma nuovamente se stesso e diventa medusa. A questo punto, c’è un bivio: poiché se tutto procede normalmente, il ciclo potrà ripetersi come avviene in qualsiasi altro essere vivente. Ma se la medusa subisce un trauma, viene ferita (anche intenzionalmente, in laboratorio) o sente per qualche altro motivo che la morte sta per avvicinarsi, essa può disgregare se stessa in una sorta di poltiglia, mentre ciascuna delle sue cellule subisce un processo chiamato transidifferenziazione: sostanzialmente, cambia se stessa e diventa una cosa diversa. La parte di un polipo, nuovamente giovane e pronto a formare la sua colonia. Nessuno sa davvero come ciò sia possibile. Succede, e basta.
A seguito di questa descrizione, potreste pensare che simili meduse dovrebbero dominare la Terra. Cosa può realmente fermare, un essere che non invecchia mai, dal popolare ogni angolo più recondito del vasto mare? Anche in merito a questo, possiamo dire che non siamo realmente certi, ma esistono delle teorie. Secondo la Dott.sa Maria Pia Miglietta, dell’università di Notre Dame, la storia recente delle Turritopsis è quella di una vera e propria “invasione silenziosa” che le sta letteralmente portando a sovrascrivere gli organismi più piccoli di innumerevoli habitat distinti. Le meduse, che avrebbero ricevuto i natali nell’Oceano del Pacifico, sono oggi presenti pressoché ovunque, anche grazie al trasferimento accidentale avvenuto a causa dell’acqua contenuta nelle sentine delle navi. Sapete quanti esseri di pochi millimetri di diametro possono trovarsi concentrati in 100, 1.000 litri d’acqua? Chiedetelo alle migliaia di gamberetti, che giorno dopo giorno, il Prof. Kubota sacrifica per il benessere delle sue conviventi. Al punto che ormai non si sa più chi sia stato a catturare chi! Anzi, ho un’idea migliore: chiedetelo ai nostri discendenti, gli eredi di questo pianeta. Ma non tornate poi qui a lamentarvi, se per farlo, vi occorre un dizionario medusa-italiano.
Buongiorno Dr. Jacopo Ranieri,
Io credo alla vita eterna, all’immortalità, al ringiovanimento processo inverso dell’invecchiamento. La ringrazio, pertanto, per la pubblicazione di questo articolo.
Interessante è anche l’interessanento mostrato dal ricercatore giapponese.
Infatti, c’è un racconto dove viene narrato che un imperatore giapponese si era fatto preparare una pozione ringiovanente. Dopo averla utilizzata si ritrovò bambino e voleva comunicare agli altri questa soeprendente scoperta. Solo che era troppo piccolo per poter parlare.
Che bella storia!
Io vorrei presentarVi una mia intuizione che ho avuto studiando biotecnologia che porterebbe al prolunganento della vita. E chissà! Magari anche all’immortalità.
Distinti saluti
Paola De Agostini
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