La curiosa dicotomia dell’ippopotamo africano risulta essere, ormai, piuttosto nota: un animale apparentemente goffo, pacifico, dall’aria sonnolenta. Eppure terribilmente pericoloso, in quanto territoriale ed aggressivo, guidato da una furia cieca che lo porta a distruggere qualsiasi intruso sia tanto sfortunato da comparirgli innanzi. Ciò è piuttosto comprensibile, quando si pensa che appoggiare la propria esistenza a una singola pozza d’acqua, circondata da decine di predatori, comporti la necessità di difenderla a ogni costo dai potenziali nemici. Ed immaginate ora l’esistenza di gruppi da 5 o 6 affusolati ippopotami, da una trentina di Kg l’uno e lunghi all’incirca due metri, ma esclusivamente carnivori e perennemente infuriati. Non è questa, in effetti, una così sfrenata fantasia. Ci siamo semplicemente spostati all’altro capo del mondo, proprio nel mezzo della palude più grande della nostra Era, tra gli ultimi bastioni dei primordi della Natura. E ciò di cui stiamo parlando, quello che stiamo in effetti già analizzando con l’occhio della mente, è semplicemente lo stile di vita dello Pteronura brasiliensis, comunemente detto lontra gigante, o ari’raña in lingua Tupì (giaguaro d’acqua) o ancora lobo de rio in spagnolo (il lupo di fiume). Un essere che, come potrete facilmente immaginare dai suoi prestanome, sta alle nostre nutrie o ai castori americani più o meno come una faina potrebbe essere confrontata con un grazioso coniglietto o topolino di campagna. A tal punto esso riesce a farsi rispettare, coi denti, gli artigli e i muscoli possenti, proprio nel bel mezzo di una delle aree più biodiversamente pericolose nel panorama ecologico contemporaneo.
Come nel caso di molte altre leggende, la questione della lontra sudamericana può essere esemplificata tramite un singolo confronto. La tenzone, frutto di un caso non propriamente voluto, di un caimano jacaré che malauguratamente s’insinua, con la tipica ottusità dei rettili, oltre i confini marcati con lo sterco dell’abitazione a cielo aperto di un’intera famigliola, intenta a fare serenamente il bagno con la loro più recente cucciolata. Ora normalmente, la lontra gigante non ha nessun tipo di predatore. Poiché nel caso di qualsivoglia minaccia, tutto quello che deve fare è ritirarsi in acqua, richiamando a gran voce la forza del branco per assemblare un’armata in grado di farsi spazio in maniera totale ed immediata. Ma ben diversa è la situazione dei loro piccoli completamente indifesi, che possono facilmente cadere preda di creature come il coguaro, il giaguaro e l’anaconda. E questo la rende, il più delle volte, ancor più aggressiva. All’avvistamento del piccolo coccodrillo, quindi, il gruppo si assembla ed accorre per affrontarlo frontalmente. Il Caiman yacare ha spesso questo problema, condividendo in buona parte un areale corrispondente a quello delle lontre ed avendo all’incirca la loro stessa dimensione: 1,5, 2 metri. Si potrebbe tendere a pensare, tuttavia, che la sua grande bocca dentata e la scorza coriacea della corazza lo rendano piuttosto inavvicinabile in un ipotetico conflitto. Laddove l’evidenza, così presentata attraverso il qui presente video del network della BBC, dimostra l’esatto contrario. Non c’è in effetti pressoché nulla che il feroce terrore dei campi da golf possa fare, vista la sua lentezza e relativa goffagine, dinnanzi all’assalto di tali e tanti mammiferi aggressivi quanto i piranha, ma anche coordinati come un branco di leoni del Serengeti. Persino la loro strategia è complessa: il maschio alpha, consorte della coppia reale, balza davanti al caimano, distraendolo coi suoi versi scoordinati. Nel frattempo due esemplari lo aggrediscono dalla parte della coda. Ed altrettanti, balzando all’improvviso dal profondo del fiume, lo azzannano ai fianchi. Talmente repentino risulta essere l’annientamento del minaccioso lucertolone, che questo finisce persino per fare un po’ pena. Ma non c’è proprio nulla che si possa fare per arginare lo strapotere delle lontre assassine del Pantanal?
Niente affatto. Quasi. Più o meno. Si, certo. Non è invincibile, neppure una torpedine con le zampe corte e tozze, il pelo super-fitto e la capacità di serpeggiare non vista fuori dall’occhio dei suoi possibili avversari. Poiché esiste, proprio laggiù in Brasile, un essere in grado di gettare nello sconforto anche il più abile dei cacciatori. Colui o colei che non produce rumore, ma ascolta molto attentamente, le orecchie tese e le macchie sulla pelliccia, una testa enorme. E ti credo: non è per niente facile, mantenere il primato di gatto dal morso più potente dell’intero pianeta Terra. Si dice che un giaguaro di 100-110 Kg sia forte quanto e più di una tigre da 190-200 Kg. Tanto che il suo approccio alla necessità di ghermire la preda, contrariamente a quanto avviene nella maggior parte del regno animale, consiste nell’afferrarla davanti e mordergli la testa, fracassandogli direttamente il cranio. Che poi è anche quello che usa fare la lontra gigante. Che coincidenza…Inaspettata.
Porto Jofre, situata alla fine della strada Transpantaneira, è una delle poche vere città del Mato Grosso. Non è perciò sorprendente che proprio qui si trovino la maggior parte dei resort e i pochi hotel dedicati ai turisti sufficientemente avventurosi da desiderare di spingersi in questo territorio concettualmente di frontiera, tra il mondo moderno e quello preistorico, fatto di belve feroci, recessi pericolosi ed ancor più terribili specchi d’acqua. Dove può capitare, puntando la telecamera, di ritrovarsi davanti a lei, Panthera onca! Mentre si avvicina guardinga alla riva, avendo fiutando qualcosa di…Interessante. Sono di nuovo loro, potrebbe quasi essere la stessa famiglia (probabilmente no) di nuotatrici piscivore, subito pronto a organizzare il loro fronte quadrupede di battaglia. Ed è una visione carica d’aspettativa, nonché certamente terrificante, quella del grande felino che scruta pensieroso la superficie increspata, meditando se è il caso di fare un tuffo e ghermire una o più di cotante arroganti testoline. Se non che d’un tratto, ad un segnale non visto, le lontre si sollevano e iniziano a intonare il loro canto di guerra. Una caotica bailamme, simile a un abbaio acuto, che facendo seguito alla strana danza di queste creature crea una suggestione alquanto surreale e terrificante, in grado di spaventare qualsiasi essere tenga alla propria stessa sopravvivenza. In breve tempo, quindi, la situazione viene capovolta ed questa volta il felino, a doversi ritirare. Pareggio: 1:1
Il che riconferma, se mai ne avessimo bisogno, che si, l’unione fa la forza. E che se questa particolare specie di mustelidi, facente parte di una famiglia di animali notoriamente solitari, costruisce in effetti gruppi dalla complessa articolazione sociale, c’è una validissima ragione frutto della pura e semplice necessità. Altrimenti gli sarebbe parecchio difficile, assolvere all’ardua mansione di sopravvivere in questi luoghi.
La lontra gigante, oggi minacciata come tutti gli altri animali della foresta neotropicale a causa del progressivo ampliarsi del territorio sfruttato dagli umani, non fu in precedenza cacciata con particolare frequenza dai popoli nativi. In parte perché sembra che abbia (stranamente) un pessimo sapore ma anche perché legata a culti e leggende tali da renderla sacra. Secondo le tribù dei Bororó, questi animali sarebbero in realtà la reincarnazione dei primi indigeni che osarono fumare la pianta di tabacco, così puniti dal volere degli spiriti e degli dei. Per i Kichwa dell’Amazzonia peruviana, invece, si tratterebbe delle canoe viventi di Yaku runa, la madre di tutte le acque del mondo.
E i Maxakali presentano un’elaborata leggenda, secondo cui i loro antenati potessero avvalersi dei servigi di una lontra sacra, che aveva la missione di procurare enormi quantità di cibo per tutto il villaggio, a patto che i tre pesci più grandi, come da tradizione, fossero sempre lasciati a lei. Finché il genero del grande capo, chiedendo ed ottenendo l’onore di uscire con l’animale, un giorno infausto decise di tenere tutte le prede per se. Ed allora la lontra, offesa, se ne tornò nella foresta, proprio mentre il sommo creatore Topar, per punire l’umanità, scatenava su di essa un terribile diluvio. Da cui soltanto questo il giovane peccatore, nonché il primo dei Maxakali, riuscì a salvarsi nascondendosi all’interno di un tronco. Così che Topar, impietosito, potesse trarlo in salvo, ed insegnargli il metodo segreto per accoppiarsi con una cerva. Dal cui grembo fecondo, in seguito, sarebbero giunti gli odierni popoli del Pantanal. Notate le sottili analogie? È il segreto dei primordi, che trascende ogni confine geografico ed il concetto stesso di razza o nazionalità. La fonte di tutte le religioni, ovvero l’osservazione della realtà. E gli occhi scrutatori di quella belva, silenziosa e impassibile, che ordiva tra i denti la trama del fato.