L’acqua fredda fino alle ginocchia, dentro la caverna oscura, verso le ore più profonde della notte: è questo l’ambiente ideale per Yoko Fukuchi e Setsuko Kohagura, sacerdotesse noro del più alto grado fin dal 1978, nonché le ultime praticanti di un’arte culturalmente rilevante ed antica. Raggiunta un’età in cui la maggior parte delle persone preferisce passare le proprie ore sul divano di casa, meditando su un buon libro, la televisione o dinnanzi al PC, queste due famose signore dell’isola di Kudaka, situata pochi chilometri dinnanzi alla piccola città di Nanjō-shi ad Okinawa sfidano serenamente il fato, quasi ogni giorno, per il semplice senso di abitudine e la fedeltà all’importante ruolo rivestito nella società. D’un tratto, nell’oscurità si sente un tonfo: è il braccio di Setsuko, rigorosamente privo di guanti o altre protezioni, che s’immerge con sicurezza tra le rocce aguzze, quindi afferra saldamente con la mano… Qualcosa. “Yokatta!” Esclama sottovoce la collega (Buon lavoro!) Mentre la cacciatrice veterana raddrizza agilmente la schiena, estrae il pugno con cautela dall’acqua ed illumina con la sua torcia l’animale catturato, un esemplare femmina di oltre un metro. Contorcendosi vistosamente, la creatura agita la testa e mostra gli artigli grondanti la mortifera tossina, due volte più pericolosa di quella di un cobra con gli occhiali: è un serpente di mare bocca gialla (Laticauda colubrina) fantastico animale a strisce bianche e nere, che un tempo costituiva il pasto spirituale del re. Sorridendo soddisfatta, La catturatrice rivolge il serpente verso Yoko. Che secondo un codice di solidarietà acquisito grazie all’esperienza, l’assiste nel metterlo nel grosso sacco d’ordinanza. Immediatamente, sulla scena torna a regnare l’assoluto silenzio, fatta eccezione per il suono della risacca che s’insinua nella caverna. Illuminandone i più distanti recessi, le cacciatrici ricominciano a cercare…
È un’anomalia così profondamente rappresentativa dell’arcipelago delle Ryūkyū, questa, il singolo luogo con la vita media più lunga la mondo. Dove nel 2007 è stato calcolato che risiedevano 457 centenari, il 20% della popolazione, e i casi di malattie cardiovascolari sono inferiori dell’80%, per esempio, rispetto agli Stati Uniti. Ed è chiaro che a questo punto, il raggiungimento della pensione non è più il segnale che occorre cambiare vita, bensì l’inizio di una nuova, fantastica avventura. Che può culminare, in particolari casi particolarmente estremi, così. È in effetti la prima nozione inculcata a qualsivoglia turista di questa terra emersa di appena 8 Km quadrati, per lo più rurale, il fatto che non sia per niente una buona idea immergersi tra queste acque, per quanto limpide e attraenti possano apparire, se non presso particolari spiagge e prestando sempre la massima attenzione ai dintorni. Questo perché l’isola di Kudaka, fin da tempo immemore, è la patria di oltre 30 diverse specie di serpenti molto velenosi, dalla leggendaria vipera asiatica habu (fam. Trimeresurus, Ovophis) a creature più esclusive di questi luoghi come gli irabu (Elapidae) di cui fa parte per l’appunto il genus dei succitati Laticauda, riconoscibili dalla punta della coda adattata per funzionare come una sorta di pinna posteriore, ma anche perfettamente capaci di strisciare sulle assolate spiagge o tra l’erba. Il che significa, essenzialmente, che qui ci troviamo in un ambiente in cui è possibile morire, anche se si ricevono immediatamente i soccorsi, per la semplice incapacità d’identificare il rettile da parte dei non-nativi, che non riusciranno quindi a ricevere il trattamento del giusto siero. Tanto che si racconta di come a giugno del 1945, durante la drammatica battaglia di Okinawa sul finire della seconda guerra mondiale, i soldati americani fossero più propensi a tenere gli occhi rivolti verso terra piuttosto che in direzione di un possibile agguato nemico. Il che inevitabilmente, portò per loro a non poche infauste conseguenze.
Oggi la cattura dei serpenti dalla bocca gialla è un’attività presumibilmente piuttosto diffusa, vista la generosità con cui questo cibo viene costantemente offerto negli alberghi dell’intera area turistica delle Ryūkyū, come importante biglietto da visita degli usi e costumi locali. Ma la sua procura avviene sempre tramite l’impiego di strumenti moderni, protezioni e la ragionevole cautela della modernità. Mentre soltanto le due anziane sacerdotesse, mantengono viva la memoria di come un simile cibo possa costituire anche l’ingrediente principale di un importante rito di comunione con la natura, specie durante l’annuale festival del mese di ottobre, quando tutti i 200 abitanti dell’isola si radunano presso lo spiazzo del paese e preparano un grande banchetto a base di serpi irabu, cotte ed affumicate secondo la tradizione locale. Ed è anche questo l’unico momento in cui viene permesso ai turisti di assaggiare le uova che le creature depongono occasionalmente nelle ore successive alla cattura, il cui gusto viene generalmente riservato alle sacerdotesse del culto locale. È importante notare, a tal proposito, che la religione di Okinawa, come molti altri aspetti della cultura di queste isole, assomiglia in parte a quella del resto dell’arcipelago giapponese ma risulta in realtà profondamente diversa. Per costoro, infatti, l’individuo possessore del principio fondamentale della purezza e comunione con gli Dei non è l’uomo, bensì la donna, tanto che successivamente ai 31 anni le appartenenti sposate della comunità ricevono uno spirito protettore dai loro antenati, che si occuperà di difendere il villaggio dalla sventura e le malattie. Il ruolo di Yoko e Setsuko in questo sistema di credenze è semplicemente fondamentale, visto il rango religioso di Kaminchu, ovvero “donne dall’eccezionale potere spirituale” che non è stato più raggiunto da nessuna dopo di loro.
La stessa isola di Kudaka è un luogo dall’estrema sacralità, vista la registrazione negli annali del Chūzan Seikan (1650) secondo cui proprio qui sarebbe discesa all’alba dei tempi la dea Amamikyu, creatrice della terra e della stessa società delle Ryūkyū, che avrebbe governato dalla sua abitazione presso il castello di Tamagusuku, il più antico rudere della regione. Ma prima di prendervi residenza, ella sarebbe giunta sul promontorio di Sefa-utaki, dalla caratteristica formazione rocciosa con un tunnel di forma triangolare, per inviare da questo luogo i suoi tre figli e due figlie a costituire il primo re, il primo signore feudale (Aji) il primo agricoltore, mentre le due sorelle diventavano capostipiti della linea di sacerdotesse noro, antenate professionali delle nostre attuali cacciatrici di serpenti. Questo corpus tradizionale è una parte fondamentale delle tradizioni dell’isola, tanto che ad oggi essa presenta un’impressionante quantità pro-capite di feste e celebrazioni annuali, con ben 30 eventi per appena 200 persone. E (quasi) tutti accompagnati da quel particolare, inconfondibile sapore!
Molto a lungo gli scienziati, assieme ai settimanali d’intrattenimento dei quattro angoli del mondo, si sono interrogati sull’origine del segreto delle genti di Okinawa, che sembrano in grado di vivere più a lungo, mantenersi in salute e sostanzialmente, non invecchiare fino all’ultima stagione della loro interminabile vita. Attraverso disparati studi a campione, si è quindi occasionalmente giunti ad attribuire tale fortunata condizione a una dieta speciale a base di alghe, come la konbu o la semi-leggendaria ed apprezzatissima mozuku (vedi articolo) frutta, verdura, soia e pesce, mentre la quantità di riso impiegato è sensibilmente inferiore a quello del resto del Giappone. Possibile, all’interno di questa logica, che l’occasionale consumazione di serpenti costituisca un elemento in grado di apportare benefici ulteriori? O che si tratti, piuttosto, di un metodo per mantenere un filo di collegamento con il passato, e quindi ampliare naturalmente i propri orizzonti, permettendo di cogliere a piene mani il frutto sacro del mondo infinito.
Fatto sta che l’antica tradizione, fra tutti, sembra arrecare i suoi più importanti benefici proprio a loro due, le coraggiose donne che ancora lavorano duramente per trasmetterne il ricordo alle nuove generazioni. Purché qualcuna, tra le loro figlie e nipoti, si dimostri in grado di raccoglierne la pesante staffetta. Sovrastata delle benevole fiamme del ricordo, ma anche intrisa di uno spietato, e pur sempre temibile, Veleno…