Una delle più famose citazioni in merito alla creatura sferica di colore giallo, senza ombra di dubbio il più diffuso passatempo elettronico degli anni ’80, è stata ideata dal comico inglese Marcus Brigstocke, e recita: “I videogiochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se Pac-Man avesse lasciato il segno sulla nostra generazione, oggi staremmo tutti saltando su e giù in sale scure, mangiucchiando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva.” Il che, una volta elaborata la cupa ironia di fondo, chiarisce inavvertitamente l’assurdità di una simile linea di ragionamento: Pac-Man non ha creato la vita ai margini della discoteca, semplicemente perché essa esisteva già. Se mai, l’ha rappresentata. E poi, la creazione di Namco rappresenta una situazione talmente astratta da non avere dirette corrispondenze nel mondo reale. Voglio dire, vediamo che succede se adottiamo questo ragionamento all’epoca successiva: se i videogiochi avessero influenzato la generazione dei millennials, oggi la gente si sparerebbe per le strade, ruberebbe le auto malmenando il conducente, rapinerebbe le banche ed eleggerebbe candidati politici inclini a fare la guerra nei paesi lontani dalla propria area geografica di appartenenza. E poi, non solo: Se [bla-bla-bla] oggi mangeremmo tutti dei funghi prima di metterci alla guida, per andare velocissimi mentre buttiamo banane e ci lanciamo a vicenda dei gusci di tartaruga! Ops. Ecco che ci avviciniamo, accidentalmente, alla più pura e inverosimile realtà. Per trovarne la piena dimostrazione, occorrerà soltanto registrarsi alla Motorizzazione per una patente internazionale, ed avventurarsi dietro il volante nella distante metropoli delle luci (al gas xenon) Tokyo la grande, la caotica, a volte, l’incomprensibile gemma che vibra nel cuore dei terremoti. Il cuore ed il nocciolo, al tempo stesso, dell’intera questione.
“Sono pazzi, questi [X]” Affermava Obelix nei fumetti nei film, il guerriero dei galli dal piccolo elmo alato, osservando di volta in volta i Romani, gli Egizi, i Greci… E così hanno scritto l’altro giorno molti utenti di Internet, rispondendo al Tweet di Hugh Jackman, l’attore che interpreta Wolverine, mentre avvistava sulla soglia di un semaforo giapponese l’intero caravanserraglio del gioco Nintendo più in voga del momento, con tutta la ciurma sulle sue automobiline rosse, il muso tondo di Yoshi, la principessa rosa, le punte sul guscio di Bowser, i baffi degli idraulici e tutto il resto. Senza notare, in effetti, come il 90% degli individui che componevano il corpo di spedizione dal mondo del digitale fossero in effetti gaijin (stranieri). È una scelta particolare questa, ma non del tutto inaudita. Che mira a trasformare la propria stessa città in una sorta di Luna Park, in cui è possibile fluttuare temporaneamente all’estremo limite del codice della strada, per creare ricordi insoliti destinati a circolare sui social network, con tutta la forza di 10.000 Soli. C’è in effetti un piano attentamente calibrato, se la MariCar (questo il nome della compagnia organizzatrice) pubblicizza sul suo portale un pacchetto chiamato “Happyness Delivery” che comporta uno sconto per chi promette di “parlare a tutti i suoi amici dell’esperienza.” Il passaparola è semplicemente fondamentale, per una simile venture turistica. E poi, sapete cos’altro risulta esserlo? La stessa viabilità e lo stile di vita della capitale giapponese. Che prevede l’impiego dei mezzi pubblici, quando possibile, e in caso contrario un metodo di guida assolutamente tranquillo e del tutto conforme. Dico, ve l’immaginate gestire un simile tour in una grande città italiana… Molto probabilmente la liberatoria da far firmare ai partecipanti dovrebbe essere più alta della Treccani. E poi, l’appeal dell’evento sarebbe più adatto agli appassionati di sport estremi, come i praticanti assidui del base jumping con la tuta alare. No, noi siamo molto più avanti. Per far fruttare il fascino delle città, abbiamo i nostri saltimbanchi, giocolieri e soprattutto, i figuranti vestiti da antichi romani.
C’è una diretta ed interessante corrispondenza, tra l’altro, del modulo elaborato col genere di provenienza dell’intero exploit: MariCar permette in effetti di apprezzare a pieno il colore locale, perché ti rende parte essenzialmente di esso, come un lungo tronco trasportato dalle acque del fiume. Ed è proprio questa per puro caso (?) in ultima analisi, la differenza tra film e videogiochi…
Nota: per il post di Hugh Jackman, fare click qui
O almeno, così dovrebbe essere idealmente. Negli ultimi tempi, c’è stata questa corrente traversale (ormai oggettivamente agli sgoccioli) che mirava a rendere il fruitore dell’esperienza digitale una sorta di attore o spettatore incapace di modificare gli eventi, tenuto a recitare la sua parte in una storia dal raffinato copione e l’ancor più curata scenografia. Non così, Mario Kart. E neppure Nintendo, se vogliamo: una compagnia ultra-centenaria, di gran lunga la più antica ancora operativa nel suo settore e che precorse di molto il concetto stesso di videogioco, tradizionalista fino all’estremo, tanto da adottare in ritardo molte delle soluzioni tecnologiche e gli standard operativi del suo media. Ma andare piano, come dicevamo, comporta molto spesso una minore quantità di errori. Ed è proprio adesso, che il significato del concetto di videogioco come meccanismo complesso stava andando perduto, che l’idraulico italiano ideato da Shigeru Miyamoto nel 1981, soltanto un anno dopo Pac-Man di Namco, ritrova la sua importanza artistica e creativa. Lo dimostra la sua rinnovata risonanza generazionale sulla cultura di massa, ma anche e soprattutto la maniera in cui la grande N sembra risorgere costantemente dalle sue ceneri, senza risentire in alcun modo dei numerosi catastrofici errori commerciali. Così dopo ogni Virtual Boy viene un Nintendo 64, dopo il rendimento mediocre del Gamecube arriva l’impatto clamoroso del Wii, a seguito dell’accoglienza tiepida riservata al suo successore Wii U, l’astro nascente della non-poi-così-portatile console Switch. Per non parlare delle iniziative collaterali di chi è pronto a brillare di luce riflessa, come per l’appunto la MariCar.
Perché forse l’avrete immaginato (non è affatto difficile) ma questa compagnia in effetti non ha nulla che vedere col colosso multinazionale con sede a Kyoto. Troppo problematico sarebbe stato gestire qualcosa di simile, anche a livello internazionale. Con un impatto sulle rendite annuali, a quei livelli, semplicemente irrisorio. No, qui siamo di fronte a qualcosa di molto più semplice, e furbo, di così. La compagnia di tour tokyoita prevede in effetti il semplice noleggio dei suoi personali go-kart omologati per circolare su strada, in abbinamento quasi casuale con un costume a scelta dall’ampia gamma a disposizione. E non è certo colpa loro, se quelli scelti dalla maggior parte delle persone appartengano alla gamma di Peach, Donkey Kong & co. Così come la somiglianza del nome della compagnia al titolo del gioco “ispiratore” sia una mera coincidenza, benché Nintendo abbia tentato già due volte di citarla in tribunale per infrazione del copyright. Fin’ora senza risultati, per fortuna, mentre le automobiline continuano a correre felici tra i tubi di scappamento e i flash delle macchine fotografiche della gente, che esclama: “Sono proprio pazzi, questi [X]”
Passiamo, quindi, ai dati di riferimento. Dopo tutto, se oggi stesso dovessi partire per la patria di Gundam ed Evangelion, un pensierino o due ce li farei: la sede principale di MariCar si trova a Shinagawa, una zona del distretto Chiyoda-ku, noto all’estero soprattutto con il nome di Akihabara, ed il soprannome di “Patria di tutti gli amanti degli anime e dei videogiochi” Ovviamente, la collocazione geografica è concepita per attrarre il target principale di questo tipo di eventi. Occorrerà, ovviamente, essere maggiorenni ed avere un documento di guida valido per il Giappone per ogni partecipante, dato che i go-kart sono ovviamente delle monoposto, anche se è prevista l’opzione per far trasportare il bambino al seguito a bordo di un tuk-tuk, il tipico furgoncino a tre ruote in uso in tutto l’Estremo Oriente. Però voglio dire, a quel punto che senso ha? Il sito ufficiale prevede tre giri diversi, di cui l’A e il B della durata di due ore (costo 8.000 yen, 64 euro) differenziati in base al fatto che si preferisca passare per le destinazioni di Odaiba o Shibuya, mentre il C le include entrambi (e costa 11.000 yen, 88 euro). Prezzi assolutamente ragionevoli, quando si considera che includono il noleggio del veicolo, del costume e la guida locale alla testa del convoglio, che eviterà di perdersi lungo la via. Tutto diventa molto accessibile, quando il grosso del fascino deriva semplicemente dalla location in cui ci si trova. E in effetti MariCar non è l’unico operatore che organizzi simili tour, benché resti di gran lunga quello di maggior successo, soprattutto in funzione delle prestazioni superiori delle loro automobiline, concepite “Per entrare a pieno titolo nel traffico di Tokyo, piuttosto rallentarlo.” Il che tutto considerato, potrebbe anche indurre un vaghissimo senso d’ansia del guidatore.
Volando a pochi centimetri sopra l’asfalto, le fiamme sotto le ruote, le punte sopra le mani. Ho visto cose… Ho visto il verdilinguo fluttuare dietro la forma paraboloide della Tokyo Tower. Ho visto il malefico Wario perdere il cappello oltre un dosso, mentre si lasciava andare ad un sacrilego “Mamma mia.” Con una silenziosa preghiera al dio della guerra Hachiman, ho alzato quel guscio ceruleo sopra la testa, sulla punta delle dita ad artiglio. E poi l’ho lasciato andare. In quel momento, ho capito Tokyo. O forse sarebbe più giusto dire, che Tokyo ha capito me?
Recapito della compagnia:
Tour by Shinagawa Kart LLP.
* Karts by MariCAR Inc.
1-23-15 Kita-Shinagawa Shinagawa ward Tokyo Met, 140-0001, JAPAN
sito web per prenotazioni: maricar.com