C’è un momento, verso la fine della Quarta Sinfonia di Ciajkovskij, in cui la musica varia nel tenore e l’intensità. È molto interessante udire nell’opera di un simile compositore, che si fece carico dell’arduo compito di coniugare la razionalità del modulo musicale proveniente dalla Germania con il romanticismo russo, l’attimo preciso in cui la composizione pare perdere il controllo ed abbandonarsi ai più puri sentimenti: i tuoni, il terremoto e la pioggia, con gli archi e i fiati che si rincorrono in La minore, poi Si bemolle, Si bemolle minore, quindi Re e poi La bemolle maggiore, inframezzati da cimbali come colpi esplosivi. Come le cannonate del catartico “Ouverture del 1912” che l’autore avrebbe scritto nel 1880, soltanto due anni dopo, per commemorare il fallimentare tentativo d’invasione da parte del terribile imperatore francese con il cavallo bianco. Eppure, c’era un qualcosa di più profondo e per certi versi più dolce, in questa sequenza. Come se provenisse da lontano: la voce del fiume, il canto degli alberi, il verso ed il tenore della Natura. Il ricordo delle antiche usanze. Una canzone. In particolare, sia chiaro: perché le note del più grande musicista laureato in giurisprudenza stanno qui riprendendo, in effetti, una celebre canzone popolare intitolata “Il piccolo albero di betulla”, probabilmente usata come riferimento per nulla indiretto alle ancestrali credenze e alla religione del popolo slavo. Che ricorrono ai livelli più diversi dell’arte, visuale, auditiva e inevitabilmente per quella zona intermedia, che è per certi versi la coniugazione di entrambe: la danza. Quale miglior modo, dunque, per ascoltare la versione originale di tale pezzo particolarmente antico, che l’esecuzione abbinata ad un particolare spettacolo, convenzionalmente definito Beriozka (per l’appunto, betulla) ma che potremmo chiamare in maniera più descrittiva, la cavalcata delle fanciulle fluttuanti…
Si dice che una volta vista dal vero un’esibizione di questa ensemble, creata originariamente nel 1948 grazie all’inventiva della coreografa di fama Nadezhda Nadezhdina, sia pressoché impossibile dimenticarla. E resta in effetti indubbio che persino la registrazione digitale, a conti fatti, tenda a fare una certa impressione. Un numero variabile tra le 10 e le 20 ballerine (ma il più delle volte 16) vestite con la gonna lunga che ha il nome di sarafan (per intenderci, la stessa indossata dalla bambola matrioska) compaiono sul palco, tenendo ciascuna in mano un oggetto che può essere a seconda dei casi, un fazzoletto oppure un vero e proprio ramo di betulla. Costoro iniziano, quindi, a muoversi con grazia disegnando diverse figure, ciascuna delle quali dovrebbe rappresentare un particolare fenomeno o un sentimento. Ma è come riescono a farlo, che lascia basiti: poiché esse non paiono muoversi affatto, ma piuttosto scivolare secondo il desiderio, come portate innanzi da un hoverboard o altro gadget motorizzato. Mentre ovviamente, non potrebbe esserci nulla di più diverso dalla verità: secondo una leggenda popolare, in effetti, le fanciulle sarebbero piuttosto venute in possesso di un potente segreto, che in qualche modo trasforma la scena in un fiume, e loro stesse in scogli sulla strada del tempo. Assieme agli occhi degli spettatori, che così vengono invitati a perdersi nella percezione estrema di quel momento. E talmente diffusa è una tale improbabile analisi, che più volte viene citata un’intervista dell’attuale leader del corpo di ballo, Mira Koltsova, la quale si è preoccupata di specificare “Naturalmente, nessuna di noi deve giurare di mantenere il segreto. È [soltanto] duro lavoro e pratica quotidiana.” Già… Tutto qui!
La danza eponima delle Beriozka (o Beryozhka, o Berezka, tutte traslitterazioni che appaiono possibili e sono impiegate online) venne eseguita per la prima volta a Mosca, all’interno del prestigioso teatro Hermitage. Il corpo di ballo, che proveniva dalla remota città di Tver nell’omonimo oblast nord-occidentale, era tuttavia guidato da una personalità di spicco nel mondo della danza, che aveva esercitato per quasi dieci anni il ruolo di solista nel leggendario balletto del Bolshoi. Ma la Nadezhda Nadezhdina era anche, e soprattutto, una studiosa del folklore e delle antiche usanze russe, che ampliava il suo campo d’interessi fino alle tradizioni antecedenti all’introduzione del cristianesimo da parte dei potenti principi dei ‘Rus. Tanto che la sua interpretazione della danza delle betulle, sostanzialmente, rappresenta una riduzione per la scena teatrale di un qualcosa di molto più antico e ancor più culturalmente rilevante, che anticamente veniva fatto corrispondere alle celebrazioni per l’anno nuovo e l’inizio della primavera: la khorovod, una sorta di quadriglia popolare dalle profonde implicazioni filosofiche e religiose. Che veniva originariamente dedicata nei villaggi, con finalità propiziatorie ed apotropaiche, alla somma divinità Yaril, che rappresenta il Sole. Proprio per questo, le movenze della danza erano originariamente lente e cadenzate, ma anche celebratorie, finché l’avanzata delle nuove usanze non trasformò la khorovod in un’occasione d’incontro, soprattutto tra i giovani di entrambi i sessi, al fine di individuare una possibile consorte futura. Il ballo diventò quindi anche un modo per dimostrare la propria abilità ritmica, e si arricchì per questo di nuovi passaggi, sempre più complessi ed esteticamente appaganti.
Secondo l’usanza tradizionale, per ogni esecuzione dovrebbe essere individuata la figura della khorovodnitsa, una donna, normalmente non giovanissima, nota nella comunità per la sua giovialità ed allegria, che dovrebbe guidare le nuove generazioni all’esecuzione dei più complessi e particolari tra i passi di danza. Esistevano un tempo due tipi diversi di khorovod, distinti soprattutto in funzione della finalità di fondo. Nella danza così detta ornamentale, quella più simile all’interpretazione delle Beriozka, ancora era possibile intravedere l’antica solennità del culto di Yaril. Mentre nella versione più istrionica e giocosa, le interpreti dovevano rappresentare personaggi di fantasia o animali, imitandone le movenze e gli atteggiamenti. Ed era in questo contesto, il più delle volte, che i giovani del villaggio si univano con gioia alla festa, prendendo in mano l’altra estremità dei rami o dei fazzoletti tenuti in mano dalle loro controparti femminili. E mimando il gesto, universalmente comprensibile, di rubarli.
Non è dunque affatto sorprendente, se questo corpo di ballo ha finito per trasformarsi, negli anni, in una parte preziosa del patrimonio culturale nazionale e dell’immagine percepita all’estero dell’antico folklore russo. Non fu tuttavia sempre così. Attorno agli anni ’90 infatti, successivamente all’entrata in scena di Mira Koltsova come direttrice coreografa dell’ensemble, la Russia stava attraversando un periodo di sconvolgimenti socio-politici che portò il pubblico generalista ad un fondamentale desiderio di rottura con il passato. Iniziò quindi un periodo di poco successo in patria, che tuttavia fu strumentale a dare inizio alla serie di tournee globali che avrebbero fatto la fortuna delle Beriozka, con numerose esibizioni in paesi come Inghilterra, Germania, Cina e Corea. Fu anche questo il periodo in cui l’originario gruppo di appena un paio di decine di ragazze venne ampliato in maniera esponenziale, fino alla attuali 70 ballerine donne, 40 uomini e l’orchestra abbinata di 20 elementi. È importante specificare come in un tale salto d’ambizioni fu strumentale il corposo finanziamento ricevuto da parte del colosso dell’energia LUKOIL, che tutt’ora lega indissolubilmente il suo nome a questa preziosa interpretazione del concetto di una danza teatrale esclusivamente, fortemente e fantasticamente russa.
Oggi la danza delle betulle resta la produzione più celebre delle Beriozka, che vengono spesso chiamate ad eseguirla in occasione di eventi pubblici o nazionali dalla grande importanza amministrativa, come conferenze culturali o persino summit politici, quali ad esempio la riunione del G8 tenutasi nel 2006 a San Pietroburgo. Nell’attuale clima globalizzato, in cui tutto deve sempre avere una finalità immediata, potrebbe sembrare parecchio strano celebrare un qualcosa di estemporaneo come la betulla. Eppure quest’albero, che secondo la tradizione slava proteggeva il villaggio dalle malattie e dal male, può costituire un’importante risorsa economica e funzionale: nella tradizione di tali terre, la sua corteccia serviva per scrivere e costruire oggetti votivi, mentre la resina era un alimento particolarmente apprezzato da tutte le classi sociali. Si riteneva in effetti che in tale tronco albergasse uno spirito ultramondano, che era poi lo spirito della Russia stessa. Un po’ come l’orso, ma molto meno agguerrito. Un principio degno di essere promosso, in quest’era di rinverditi nazionalismi…