Secondo la tradizione, fu in primo luogo l’esperienza di un uomo, notoriamente incredulo. Il viaggiatore con una Grande Missione, forse la più grande di tutte: salire su una nave e viaggiare ad Oriente, per trasmettere in India gli insegnamenti di Gesù. Ma l’apostolo Tommaso, secondo le credenze di questi luoghi, non sarebbe mai giunto sul continente dalle mille e più culture. Poiché forse per volere di Dio, oppure del Fato, avrebbe invece sperimentato l’esperienza terribile di un naufragio, approdando forzatamente proprio presso l’unica isola degna di questo nome che si trovasse a largo del golfo di Aden, tra il corno d’Africa e lo Yemen. Una terra del tutto fuori da questo mondo. Un luogo misterioso ed almeno all’apparenza, sovrannaturale. È del tutto possibile, in effetti, nascere in un luogo e prendere atto della sua flora e fauna come un qualcosa di assolutamente normale, benché appartenente biologicamente ad un ecosistema totalmente scollegato dal resto del mondo. Dopo tutto, se l’hai sempre conosciuto, che c’è di strano? Ma pensate all’esperienza dei primi naturalisti che raggiunsero l’Australia, oppure le Galapagos o le giungle del Brasile. O immaginate, ancora, l’aspetto della singola terra emersa (non di origine vulcanica) che si distanziò per prima dalla massa ultra-continentale del preistorico Gondwana. L’isola di Socotra, con gli altri tre scogli sovradimensionati che costituiscono il suo “arcipelago” esiste in assoluta solitudine, si ritiene, almeno dal Miocene, ovvero un minimo di 5 milioni di anni fa. Abbastanza per sviluppare un suo intero ecosistema, estremamente caratteristico e secondo alcuni, del tutto alieno. Una qualità che gli deriva, in primo luogo, dall’aspetto insolito della sua vegetazione.
Non ci sono mammiferi endemici superstiti, su quest’isola, tranne i pipistrelli, ma quasi tutto il resto è solo ed esclusivamente suo. Numerose specie di rettili ed insetti, ragni e granchi mai visti altrove. Uccelli, migratori e non, che da tempo immemore costruiscono il nido unicamente nell’area delimitata da queste spiagge. E questo non è tutto: si ritiene che i quasi 2.000 anni di abitazione da parte degli umani abbiano, nel tempo, ridotto esponenzialmente la quantità di specie originali portandole all’estinzione, soprattutto introducendo animali domestici, come le capre. Ma c’è ancora qualcosa che sopravvive indisturbato, benché ridotto di numero rispetto all’epoca più antica: l’albero del sangue di drago, altrimenti detta Dracaena cinnabari. Unica fonte, sacra ai locali, di una resina rossa nota come il cinabro, che si riteneva potesse fungere da panacea di tutti i mali. Oltre a servire per la creazione di una tintura, estremamente preziosa in campo tessile e per la realizzazione di mobili laccati. Secondo la leggenda, dopo il naufragio San Tommaso costruì la sua chiesa impiegando il legno della nave con cui aveva progettato di attraversare l’Oceano Indiano. Quasi come se il legno proveniente da questa terra non potesse realmente definirsi parte del regno di Dio.
Secondo la maggior parte dei racconti degli eco-viaggiatori, che oggi si spingono fin qui con assoluta disinvoltura e giustificato senso d’aspettativa, l’albero in questione è anche la principale ragione che è valsa a quest’isola la nomina di “luogo più alieno della Terra”. Basta uno sguardo, per capirne la ragione: come le altre dracene originarie dell’Africa, il sangue di drago è un arbusto che presenta pennacchi di foglie nastriformi al di sopra di un labirinto di rami simili a radici. Queste ultime, tuttavia, appaiono totalmente rigide, puntando in ogni direzione come gli aculei di un porcospino. La sommità della chioma, poi, appare quasi perfettamente piatta, enfatizzando ulteriormente questa illusione ottica di trovarsi di fronte ad un’albero girato al contrario. La compattezza estrema delle fronde, in realtà, ha uno scopo ben preciso: in quanto Socotra presenta un clima arido che si avvicina pericolosamente a quello di un deserto, e l’evaporazione dei liquidi costituisce un potenziale problema. Così i rami dell’albero si proteggono vicendevolmente, assicurandosi che almeno una parte di loro, per quanto possibile, rimanga in ombra. Un tempo, questi alberi prosperavano grazie alle nebbie e foschie mattutine, oggi più rare in funzione del mutamento climatico. Essi non sono che le antiche vestigia di un’epoca remota, assieme ai loro molti compagni di sventura…
Esistono oltre 800 specie di piante sull’isola di Socotra, il 37% delle quali risultano del tutto uniche al mondo. Piante che ispirano un senso di surrealismo di fondo, come l’albero succulento Dorstenia gigas, dal tronco tozzo e grassoccio, talvolta gonfio come una sorta di tubero sopra il suolo. O il Dendrosicyos socotranus, l’unico albero appartenente alla famiglia dei cetrioli, anch’esso bulboso e con una corona di fronde estremamente piccola, ancora una volta con l’obiettivo di combattere l’evaporazione. C’è un albero di melograno denominato Punica protopunica, normalmente non commestibile ma i cui semi si dice possano curare il mal di stomaco. E numerose specie di aloe, ciascuna delle quali ha trovato nei lunghi secoli applicazioni nelle medicine tradizionali dei popoli locali. Ma la sostanza tenuta in maggior considerazione fin dall’epoca medievale è sempre stata, naturalmente, la resina dell’albero del drago, utilizzata oltre che nei casi sopracitati anche per la lavorazione della lana, come cosmetico, per incollare la ceramica, in magia ed alchimia. Si riteneva nel mondo antico, inoltre, che avesse delle doti coagulanti, mentre in realtà era vero l’esatto contrario. Per tutto il XVIII secolo, costituì un’esportazione importante verso l’Italia, dove veniva impiegata come vernice dai maestri liutai. In epoca moderna, lo sfruttamento dell’albero è stato più severamente regolamentato ed esso inserito nell’indice delle specie vegetali vulnerabili all’estinzione, come del resto la maggioranza delle altre presenti sull’isola di Socotra. L’isola, che dal 2008 è stata integralmente nominata patrimonio dell’UNESCO, è quindi stata fatto oggetto di diverse iniziative di conservazione, che in vari modi hanno limitato la diffusione di impianti turistici e la costruzione di strade. La posizione geografica piuttosto remota, naturalmente, ha aiutato, benché in buona parte, in effetti, i danni fossero già stati fatti.
La popolazione nativa di Socotra, al momento, si aggira sulle 50.000 persone, distribuite in larga parte tra le tre città principali di Hadibu, Qalansiyah e Qadub. L’impiego di generatori a diesel ha fornito l’elettricità ad ogni angolo di questo mondo a parte, mentre dal 1999, esiste anche un aeroporto, che per la prima volta ha reso l’isola facilmente raggiungibile in ogni periodo dell’anno, anche quello dei monsoni. I primi visitatori portoghesi lasciarono resoconti, nel XVII secolo, di un ambiente ecologico molto più vario e diversificato, che includeva anche la presenza di bufali d’acqua selvatici. Di cui oggi non resta nessuna traccia, potenzialmente in funzione della sempre maggiore diffusione delle capre, che trasportate fin qui dagli uomini, hanno finito per occupare la stessa nicchia biologica. Anche la vegetazione si è progressivamente ritirata dai luoghi impiegati per il pascolo, a causa della distruzione dei teneri virgulti. Come avviene per tutte le dracene, in effetti, ci vogliono anni affinché un albero del sangue di drago raggiunga uno stato di solidità assicurata e riesca a rimpiazzare le eventuali foglie perse a causa di erbivori di passaggio. E ciò si applica, in larga parte, anche alle altre specie più rare e particolari dell’arcipelago.
Dal punto di vista amministrativo, oggi Socotra fa parte dell’antistante Yemen, ma non è sempre stato così. Secondo il Periplo del Mar Eritreo, una guida di navigazione risalente al primo secolo, essa fu ai tempi remoti la terra dei Dioscuri, una tribù semi-leggendaria distante culturalmente dalle terre circostanti, ma pur sempre aperta ai commerci dietro il pagamento di un giusto prezzo. Intorno all’anno 1000, invece, abbiamo il resoconto del geografo arabo Abu Muhammad al-Hasan al-Hamdani, che parla di un paese isolato e principalmente cristiano, validando in qualche la credenza locale relativa al naufragio ecumenico di San Tommaso. Di questa anomalia religiosa parla anche Marco Polo, benché preoccupandosi di specificare, nel suo Milione, di come i cristiani di Socotra facessero in realtà capo non al Papa di Roma, bensì all’arcivescovo di Baghdad, secondo i precetti dell’eresia Nestoriana. Successivamente, l’isola sarebbe stata soggetta al dominio dei sultani di Mahra, venendo in larga parte convertita alla religione musulmana. Ancora oggi, nelle grotte dell’entroterra, sono presenti iscrizioni cruciformi ed altri segni di un culto cristiano segreto, portato avanti dai più irriducibili tra i fedeli.
Nel secolo del 1800, invece, l’isola venne inserita prepotentemente dentro la sfera d’influenza dell’impero Britannico, attraverso un primo tentativo, fallimentare, di acquistarla tramite la Compagnia delle Indie Orientali dal sultano, che risiedeva in Yemen, e successivamente stilando con lui un accordo di relazioni diplomatiche e commerci esclusivi con la corona inglese. Fino al 1967 quindi, con la fine del protettorato di Aden, Socotra e gli altri territori limitrofi continuarono a riservare le loro fenomenali ricchezze naturalistiche e medicinali al solo appannaggio della società e civiltà vittoriana, attraverso i cui alti e bassi, per oltre un secolo, avrebbero trovato soddisfazione le prime esplorazioni scientifiche, geografiche e commerciali, di questo vasto e ancora largamente sconosciuto pianeta.
Da qualche parte, fra le basse dune e il terreno pietroso di questa lacrima solida tra il vasto mare, sopravvive forse un princìpio ben distinto del flusso della natura. L’inizio imprescindibile, e mai defunto di un possibile ecosistema parallelo, che se soltanto le cose fossero andate in maniera lievemente diversa, se la grande glaciazione fosse durata un po’ di più, oppure di meno, oggi regnerebbe su tutto, sostituendosi ai pini, agli abeti e gli eucalipti delle altre foreste più note all’uomo. Grazie al potente respiro del drago. Ma voi pensate davvero che, sui distanti pianeti ipotizzati dalla fantascienza, la situazione possa presentarsi in maniera poi così radicalmente diversa? Alieno è un concetto semplice da evocare. Che diventa applicabile, talvolta, soltanto salpando verso ciò che si innanzi. E basta effettuare lo sbarco, perché dimostri la sua flessibilità di applicarsi all’inverso.
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