Le mani bianche, aguzze, gli occhi cavernosi e neri. Gli arti sottili e affilati. Le costole che protrudono ai lati, per tornare ad abbracciare una serie d’organi che non esiste più. Come potrebbe, da quando il corpo e la pelle si sono del tutto volatilizzati? Ecco, dunque, cosa resta: la parte macabra della struttura, il minerale che sostiene e dava la rigidità. Ma persino un Orisa, lo spirito degli antenati, non può svolgere al meglio le sue mansioni avendo l’aspetto della morte personificata in Terra. Così egli è ricoperto, da capo a piedi, da un costume variopinto. Un velo di perline copre il suo mostruoso volto. Un addetto con la frusta, in abiti soltanto lievemente meno sfolgoranti, lo segue da presso, per assicurarsi che nessuno lo tocchi. Altrimenti, sarebbe punizione capitale per entrambi. Scivolando silenziosamente oltre i confini della piccola città, l’essere non-morto e neanche-vivo si avvicina ad una casa, poi si ferma. Con una voce gracchiante, inizia a richiamare i suoi abitanti. Nessuno comprende le gesta degli Egungun, men che meno le loro parole. Ma le donne si rintanano nei più profondi pertugi dell’abitazione, come vuole l’usanza di Yorubaland. Quindi il vecchio patriarca, spalancando la porta, discende lo scalino sulla soglia. Piegato a causa dell’artrite, ascolta attentamente la disquisizione della strana creatura. Quindi annuisce, offre un obolo al guardiano armato e torna pensierosamente all’interno. Strofinando i piedi, lo strano visitatore si volta e se ne va. Cosa è successo? Quale oscuro segreto ha trasmesso, questa manifestazione sovrannaturale, come avviene ormai da secoli sotto il Sole bruciante dell’Equatore?
C’è un fondamentale fraintendimento, nella concezione universale di questi paesi, per cui qualsiasi luogo che si trovi a sud del Mar Mediterraneo non avrebbe mai contribuito alla cultura universale della società. Questa strana, assurda idea, secondo cui il più antico dei continenti sarebbe una sorta di distesa scarsamente popolata, priva di caratteristiche particolari dal punto di vista delle dinamiche artistiche e sociali. Ovviamente, chi lo pensa è un ignorante. Non in senso metaforico, ma in quello che gli mancano le cognizioni, come del resto a molto di noi, in merito alcune delle usanze, tradizioni religiose e pratiche più straordinarie al mondo. L’Africa è una terra di imperi Imperi sconfinati, difesi dal potere dei guerrieri. Di colori e straordinarie meraviglie. Una landa di terrori e mostri sconvolgenti. Come ogni altro luogo abitato dagli esseri umani, creatori di leggende ed altre storie. Grazie, se vogliamo, proprio all’opera di coloro che sono venuti prima, qui raffigurati dai cultori di una particolare forma di sciamanesimo dell’osso o dell’uomo-osso (ciò vuol dire un tale nome). L’Egun (pl. Egungun) è molto più che un semplice teatrante viaggiatore. Egli è una manifestazione di tuo padre, tuo nonno, il tuo bisnonno, talvolta anche se sono ancora in vita, mediati e interconnessi con le voci corali del Tutto. Che può dirimere questioni, esprimere profezie, comunicare con il mondo dei trapassati. Tra i servizi più importanti resi dai bardatissimi sciamani, quello relativo ai funerali. Quando è l’usanza che la bara del defunto venga accompagnata da una o più di queste figure, che gridi ossessivamente il suo nome. E che il giorno dopo torni a casa di chi l’aveva chiamato, per comunicare gli ultimi messaggi di colui che non risiede più tra i viventi. Un Egun non può mai scoprirsi, né essere scoperto del suo costume. Poiché se fosse possibile riconoscere colui che si trova al suo interno, ne deriverebbe che egli non era uno scheletro animato dal potere degli Orisa. E si trattava, dunque, di un impostore. Tuttavia il processo che gli dona i suoi poteri deve comportare un qualche tipo di trasformazione reversibile, se è vero che nelle abitazioni delle famiglie più abbienti di quest’area geografica, che include anche la Nigeria, possiedono almeno uno o più vestiti da indossare durante i riti sacri. In particolare verso l’inizio di giugno, quando si svolgono i sette giorni della Festa dei Morti. E per le danze del Gẹlẹdẹ, il rito pubblico che celebra le donne e la fertilità. Ma se pure si dice che l’abito non faccia il monaco, sentite a me: esso può certamente fare lo sciamano…
Esistono più di 130 tipi diversi di Egungun, dei quali la classificazione può risultare estremamente difficile, poiché i singoli esecutori del ruolo reinterpretano e modificano costantemente le caratteristiche dei loro costumi. Un punto fermo irrinunciabile, è la presenza come primo abito dell’Aso-Oke, il sudario azzurro che si usa per coprire i defunti. Al di sopra di esso, generalmente, sono presenti numerosi strati sovrapposti di cotone riccamente decorato, spesso con immagini di animali o altre creature leggendarie. Interconnessa a questa marea di stoffe, una ricca selezione di amuleti, talismani e ninnoli protettivi, di cui i più potenti sono tenuti ben lontani dall’occhio degli spettatori. Sulla tenuta di alcuni praticanti sono incluse delle formule magiche di vario tipo, scritte a caratteri chiaramente leggibili da lontano. Altri ornamenti includono conchiglie, specchi, corna di bufalo, strani pupazzi incorporati nel disco da portare sopra le spalle. Le mani sono rigorosamente coperte da guanti, o qualche volta semplicemente nascoste sotto gli strati di stoffa, nella totale assenza di maniche di alcun tipo. Per quanto concerne le calzature, talvolta ricavate da copertoni di bicicletta, esse sono attentamente cucite ai calzoni variopinti del costume. Neanche un centimetro di pelle deve emergere dagli strati protettivi dello sciamano, che altrimenti potrebbe essere riconosciuto con conseguenze, secondo la tradizione, estremamente spiacevoli per ogni parte coinvolta.
L’abito di un Egun è il prodotto cooperativo di svariate figure specializzate, che includono sarte, tintori, l’erbalista e il praticante della divinazione, che deve “vedere” l’aspetto finale ritenuto desiderabile per il bene comune. Ciononostante, può stupire che una simile finezza e precisione decorativa si trovi integrata ad una cultura d’Africa, dove la convenzione vedrebbe generalmente maschere di legno e mantelli di paglia costruite secondo margini e valori molto più spontanei e quasi naïf. Il problema, come dicevamo, è la poca considerazione che si ha per la Storia: attorno all’XI secolo, durante il nostro Medioevo, le popolazioni mesolitiche dell’area del Volta-Niger erano già confluite in un singolo gruppo etnico, che avrebbe costituito il primo grande impero del continente africano. Gli Yoruba sono da sempre dei praticanti dello stile di vita urbanizzato, costruttori di grandi città fortificate e grandi mercanti. Si stima che Òyó-Ilé, la loro capitale fin quasi all’epoca moderna, potesse vantare oltre 100.000 abitanti, sotto il saggio governo di un re, che governava per concessione divina. A sèguito di un periodo di guerre civili nel XIX secolo, circa 150 comunità degli Egba e degli Owu migrarono presso un altro grande centro, Abeokuta. Fu quindi decretato che ciascuna delle parti costituenti potesse mantenere i propri organi di governo, mentre quattro sovrintendenti presentavano ad un consiglio centrale i voleri dei diversi quartieri della città. Il comandante Frederick Forbes, rappresentante della Corona Britannica, che aveva visitato questi luoghi nel 1853, restò a tal punto colpito dalla complessità di un simile sistema amministrativo, da giungere a definirlo la “Repubblica più straordinaria del mondo.”
Ci sono almeno due maschere riconoscibili e ricorrenti, tra gli Egungun: i figli di Yemoja, la “madre di tutti gli Orisa”. Ovvero colei che, destinata a dare i natali agli stessi esseri sovrannaturali che avrebbero protetto la società umana, si era dovuta arrendere all’evidenza della sua presunta sterilità. Finché non si recò presso una veggente degli Ifa, che gli consigliò di indossare dei particolari braccialetti alle caviglie, offrire dei sacrifici e danzare con una maschera di legno che gli coprisse il volto. Dopo l’esecuzione del rituale, dunque, ella restò subito incinta. I due nati sarebbero diventati Efe, il dispettoso, e Gelede, una donna corpulenta che avrebbe rappresentato il principio femminile della danza. Ma costoro, come la madre, non poterono fare figli, finché non ripeterono anche loro il preciso rituale che gli aveva permesso di venire al mondo. Secondo la tradizione, questo fu l’inizio dell’imprescindibile importanza data alla musica e alle danze nella cultura degli Yoruba. Alcuni studiosi considerano questo particolare mito il momento esatto in cui l’antica società matriarcale venne soppiantata dal domini degli uomini, secondo il presunto volere degli dei.
Magnifici e variopinti, gli scheletri ornati percorrono le strade delle antiche città. Conosciuti e trasmessi al mondo quindi, grazie agli studi specialistici e al passaggio dei turisti, diventano l’ispirazione per abiti teatrali, fumetti o il moderno character design. Li avrete certamente notati, di sfuggita, tra i personaggi di Final Fantasy e Zelda, nel celebrato videogioco Journey di Jenova Chen, persino tra gli androidi pistoleri del popolare sparatutto Overwatch. È l’avanzata della cultura Pop, che tutto fagocita e rimescola alla ricerca di ciò che è “Cool”. Ma anche una riconoscenza tardiva del merito e del valore delle antiche e pregiate culture del Sud del mondo. Ora, se soltanto si riuscisse a comprenderne le più profonde, sfuggenti implicazioni…