Polvere bianca che galleggia nell’aria. Ovunque. Come la nebbia di Avalon, che oscura la cornice delle porte. Con ampie volute innanzi ai raggi che rimbalzano sulle pareti. Che avvolge le figure umane, come un manto surreale, persistente. E si deposita sul pavimento, in uno strato simile alla prima neve d’ottobre o novembre. Senza il benché minimo preambolo, l’operaio addetto al nastro trasportatore spinge da una parte un cumulo della sostanza, che minacciava di bloccare il meccanismo semovente. Un suo collega, con un tubo d’aria compressa, nebulizza il contenuto di un mulino meccanico semi-cristallizato. Altre nubi, sbuffi, candide folate. Certo, non è un’acciaieria. Una segheria. O un’impianto per polimeri. Qui non vige alcuno standard di sicurezza relativo ai margini d’errore, semplicemente perché nessuno PENSAVA che potesse risultare necessario. Dopotutto chi è mai morto, per un po’ di zucchero che fluttua in aria….
Costituisce uno degli aspetti più crudeli e inappropriati dell’odierna società industriale, il fatto che timbrare, giorno dopo giorno, la stessa scheda recante il proprio nome in fabbrica possa costituire a conti fatti una delle attività più rischiose del vivere moderno: perché il brutto… È ciò che viene dopo. Le 8-9 ore di lavoro, dinnanzi ad una macchina, per l’esecuzione ripetuta degli stessi gesti e movimenti. La mente umana non è fatta per cessare il suo funzionamento. Ma può trasformarsi, molto facilmente, nell’orologio che ripete il ciclico momento, mentre l’immaginazione tenta lievemente di fluttuare altrove. Ed è allora che purtroppo, si verifica l’errore. Ce ne sono di immediati, con effetti gravi sulla singola persona. Mentre altri, addirittura più pericolosi, costituiscono l’accumulo di un potenziale, che progressivamente s’ingrandisce, fino a diventare enorme. Finché un giorno, l’intero edificio esplode. Secondo le approfondite indagini portate avanti a partire dal febbraio del 2008 in Georgia, dall’organo preposto per la sicurezza sul lavoro (OSHA) e la commissione dei rischi collegati alle sostanze chimiche (CSB) il direttore e i soprintendenti della fabbrica Imperial Sugar di Port Wentworth erano pienamente al corrente del pericolo costituito da alte concentrazioni di polvere in ambienti chiusi, come dimostrato anche da un memorandum del 1961, in cui si parlava di un incendio sopraggiunto nella stanza di macinazione, in merito al quale si ordinò al personale di “prestare più attenzione.” Ciò che non era stato considerato, tuttavia, era il pericolo costituito dal dopo. E il fatto che se una volta ti è andata ragionevolmente bene, questo non significa che il risultato sia al sicuro per domani, dopodomani e l’altro giorno ancora. L’inizio della fine si ebbe qualche mese prima del disastro, quando il management decise, con intento assai probabile di conformarsi a nuove norme sull’igiene, di migliorare il nastro di trasporto dello zucchero fino all’antistante impianto d’impacchettamento. Venne decretato, dunque, che questo fosse ricoperto da una serie di pannelli metallici, diventando sostanzialmente un grosso tubo. Ciò sarebbe stato strumentale, secondo l’idea di partenza, nell’evitare che insetti di vario tipo potessero avvicinarsi in modo inappropriato al cibo. Ma non era stato calcolato come si stesse inserendo la sostanziale miccia in una delle più grandi bombe termobariche scoppiate nella storia degli interi Stati Uniti. Che avrebbe tolto la vita a 14 persone, ed ustionato in modo grave 36 dei loro colleghi.
Alle ore 19:00 di febbraio 2008 dunque, poco dopo l’inizio del turno serale, si verifica un nuovo intasamento del nastro, nel tratto sita nel seminterrato dell’edificio principale. Lo zucchero sminuzzato in polvere, formando un bolo inamovibile, genera un tappo in grado di fermare in larga parte l’avanzata dell’intero ammasso susseguente. Con la differenza che stavolta, a causa delle modifiche al meccanismo, l’evento passa inosservato per qualche lungo momento. La polvere generata supera la soglia di sicurezza, e quel che è peggio, riesce a farlo in un ambiente totalmente chiuso di alcun impianto aspiratore, giudicato inutile data la natura chiusa del pertugio di smaltimento. Gradualmente, un ingranaggio inizia surriscaldarsi per lo sforzo. Fino a generare una singola scintilla dalla temperatura superiore ai 480 gradi, che per la cronaca, è il minimo necessario affinché si verifichi la combustione di questa sostanza. Ma il termine “incendio” è largamente riduttivo, rispetto a ciò che stava per verificarsi qui, ed ora. Una vera e propria tempesta, che nella terminologia insegnata ai vigili del fuoco, viene definito “il pentagono dell’esplosione di polvere”. Provate a raffigurarvi nella mente figura con cinque lati: dispersione, confinamento, carburante, comburente (l’ossigeno) ed accensione. Con al centro l’occhio stesso dell’inferno, che si spalanca per vendicarsi dell’impreparazione umana.
La storia dell’industria alimentare è costellata di eventi simili, principalmente dovuti al grano. È l’effetto tipico degli ascensori di sollevamento, in cui il cereale lavorato viene stipato prima di essere immagazzinato nei silos per l’impiego successivo, generando una concentrazione di polvere incendiabile al benché minimo imprevisto. Ma anche il pericolo di qualsiasi impianto lavori il malto, il riso, il legno… Per non parlare delle miniere di carbone, dove la polvere che satura l’aria risulta persino più vulnerabile all’aumento improvviso della pressione ambientale. Particolarmente grave fu il caso, largamente sconosciuto in Occidente, della miniera di Benxihu in Cina, la cui improvvisa esplosione nel 1942, si ritiene, potrebbe essere costata la vita a 1.549 persone. Che cambiò, letteralmente, il rapporto dell’industria mineraria con la ventilazione. L’evento della Imperial di Wentworth, tuttavia, fu uno dei più gravi incidenti in termini di perdite di vite umane da molti anni. Le ragioni sono molteplici: tanto per cominciare si trattava di un impianto piuttosto vecchio, costruito inizialmente nel 1916 e poi progressivamente ampliato, fino a diventare uno dei principali fornitori di zucchero dello stato. Ciò rendeva la struttura inerentemente più fragile, e priva di ausili alla sicurezza che oggi tendiamo a dare per scontati. Mancava, ad esempio, un sistema di interfono per chiedere i soccorsi in diversi reparti, benché fosse previsto dal protocollo. Successivamente all’esplosione, inoltre, i superstiti dovettero evacuare la fabbrica al buio, per la totale assenza di luci d’emergenza. Interrogati ai commissari governativi quindi, soltanto 5 membri del personale affermarono di aver effettuato un’esercitazione antincendio. Non che fuggire rapidamente, in questo particolare caso, avrebbe potuto salvare i più vicini alla terribile deflagrazione…
L’aspetto più grave dell’esplosione di polvere, in effetti, è il suo propagarsi in una pluralità ondate, successivamente più distruttive. Dopo la prima onda d’urto, proveniente dal seminterrato, il calore raggiunse dunque la stanza principale di lavorazione. Decadi di zucchero accumulato sul pavimento, e la conseguente nebulizzazione della sua parte volatile, avevano dunque generato una cappa, invisibile ma sempre presente. Che ora, s’incendiò. In pochi attimi, l’intero stabilimento venne scosso dalle sue stesse fondamenta, gridando vendetta da ogni apertura disponibile, ed altre immediatamente create per l’occasione. Il cielo stesso diventò di fuoco, mentre le imbarcazioni della guardia costiera, sopraggiunte sull’antistante fiume Savannah, facevano il possibile per assistere nello spegnimento. E tutto questo, soltanto per un po’ di granuli bloccati nel meccanismo!
L’evento di Port Wentworth, ma sopratutto l’opportunità di dimostrare negligenza da parte della direzione della raffineria, avrebbe permesso all’OSHA ed alla CSB di collaborare nella creazione di un nuovo prontuario normativo di appropriata gestione e manutenzione, che venne immediatamente imposto a tutte le fabbriche potenzialmente soggette all’accumulo di polveri sottili. La compagnia fu multata per 8,8 milioni di dollari, poi patteggiati a 6 senza nessuna ammissione di colpa, benché il disastro fosse stato classificato, ufficialmente, come “del tutto evitabile”. Un’altra fabbrica della Imperial, in Louisiana venne fatta chiudere per una settimana e multata di 35.000 dollari per la mancata osservazione delle norme di sicurezza. A questo punto alcuni sopravvissuti dell’incidente, alla ricerca di una compensazione adeguata per coprire le ingenti spese mediche, non ebbero altra scelta che fare causa al consorzio della Savannah Foods, proprietario della Imperial, ed alla Stokes Contracting, l’impresa che aveva ricevuto l’incarico di ripulire la fabbrica nel quotidiano. Entro settembre del 2010, il tribunale di Chatam County si ritrovò a gestire 44 cause civili relative al terribile incidente. Ma ciascuno di loro avrebbe per sempre portato i drammatici segni, e le gravi conseguenze sulla salute, di quel disastro che nessuno, in ultima analisi, aveva mai pensato di prevenire. Altri, purtroppo, non avrebbero avuto neppure questa dolorosa possibilità.
Sarebbe bello, e giusto, affermare che in quell’occasione, l’umanità avesse finalmente appreso il rischio dovuto ad alte concentrazioni di polvere nell’aria. Mentre gli eventi, purtroppo, dimostrano esattamente il contrario. Forse ricorderete il disastro verificatosi a giugno del 2015, durante un concerto al Formosa Fun Coast di Taiwan, causato dalle polveri colorate che gli organizzatori avevano sparso sul pubblico, sul modello della festività religiosa indiana Holi, dedicata all’arrivo della primavera. Occasione in cui perirono 15 persone, mentre la cifra spropositata di 497 riportò ferite ed ustioni di varia entità. Ma il motivo per cui ciò si era verificato, contrariamente a quanto molti pensarono in un primo momento, non fu la composizione chimica del colorante. Che era semplicemente dell’amido di mais. Bensì la più pura e tutt’ora inconcepibile, pericolosità della polvere. Che ben pochi ricordano, nonostante i drammatici precedenti.