Il fango e l’arte della guerra dei delfini

Dobbiamo soltanto ringraziare il cinema se ad oggi, la stragrande maggioranza conosce tutti i meriti e i pericoli di un Tokyo Drift. La brusca accelerata, su automobili dotate di una coppia significativa e se possibile, con luci azzurre sotto il corpo del veicolo, seguita dalla rotazione del volante fino in fondo da una parte, con conseguente trasformazione chimica degli pneumatici in maleodorante fumo nero. In altri tempi, l’avremmo definita più che altro una “sgommata”. Naturalmente, tale prassi è largamente differente da un Kentucky Drift, per cui si richiede l’impiego di un pick-up con la bandiera dei ribelli sopra il cofano, o un California Drift, praticato mediante l’ausilio aerodinamico di un surf legato sopra il portapacchi. Ma non si può avere tutto, nella vita. E così l’insufficiente generazione annuale di costanti seguiti del grande classico dei buddy movies, Flipper il delfino, ha invece limitato la progressiva diffusione, e conseguente evoluzione, di quell’arte semplice e sublime cui potremmo attribuire l’appellativo per antonomasia di Florida Drift. Per la quale è sempre molto consigliata, come in ciascuno degli altri casi citati, d’impiegare un mezzo con trazione posteriore, e in modo particolare quella garantita da una pinna orizzontale. Ovvero quella tipica dei più simpatici mammiferi marini. Simpatici, non perché trascorrono la notte e il dì ad appisolarsi, come grossi gatti o cani sonnolenti, in attesa del momento in cui riceveranno i loro croccantini.  Bensì simpatici come lo squalo, il barracuda, gioviali quanto il puma di montagna… Veri e propri predatori, i sottili denti aguzzi e il perpetuo, apparente sorriso, che fa da biglietto da visita ad un vero e proprio terrore dei sette+1 mari. Volete sapere, in effetti, il nesso ultimo della questione? Questi super-pesci noi li amiamo, sopratutto, perché sono esattamente come noi. Spietati. E intelligenti. Ma soprattutto, spietati.
Il più annoso fraintendimento che la comunità dei bagnanti perpetua in merito alla questione del Florida Drift è che si tratti di una forma d’intrattenimento usata per il popolo del mare. Del tipo: “Oh, guarda che carino! Il pinnuto sta evocando il senso della gioia della vita, inscenando uno spettacolo tra i flutti e vuole da mangiare, vuole che io mi sporga dalla barca, per tirargli da mangiare…” Mentre se c’è una cosa di cui i delfini non avrebbero giammai bisogno, è il cibo degli umani. Poiché ogni loro singolo neurone, ogni voluta di quell’incredibile cervello ancor più grande del nostro, la natura l’ha creato con un solo ed unico scopo: trovare l’obiettivo, farlo proprio, diventare grossi e forti. Dominare il mondo.  E la sgommata, per loro, è un’arma. Tutto inizia, dunque, con la vista trasversale di un’ammasso di sabbia, che si solleva inspiegabilmente nella grande e bassa baia sita a sud della penisola più lunga degli Stati Uniti. Una persona dotata di vista particolarmente acuta, come l’elfo Legolas, potrebbe triangolar se stesso geograficamente con la sagoma dell’arcipelago antistante di 1.700 micro-isole, unite al continente col viadotto del Seven Miles Bridge. Sono queste le Florida Keys, e sia chiaro che un tale spettacolo, potrai vederlo solamente qui. Nessun altro delfino, orca o balena, in tutto il mondo conosciuto, ha mai praticato questa straordinaria strategia di sopravvivenza, che dal punto di vista della guida, è anche una notevole prova di controllo del veicolo su fondo sabbioso e umido, volendo approfondire la metafora fin qui impiegata. Perché lo sbuffo di sabbia, ormai sarà palese, non è frutto di un piccolo vortice o di un gorgo, bensì dell’atto intenzionale di uno di “loro” per lo scopo attentamente calibrato di arrecar…Disturbo.
Immaginate, dunque, di essere un Ballyhoo (Hemiram-phus brasiliensis) pesce con il becco della baia, o in alternativa un piccolo Haemulidae, o ancora un pesce rospo (Batrachoididae) che gracchiando muto nella sua piccola mente, trascorreva amabilmente la giornata. Quando all’improvviso, contro il sole Sotto l’acqua bassa arriva per stagliarsi la più odiata sagoma del mondo, lo squittente predatore della fine. Uno solo, nessun branco. Ovvio, questo è il punto chiave dell’inganno. Quindi per ragioni a voi del tutto ignote, tutto attorno si solleva un polverone impressionante, che offusca gli occhi, penetra le branchie, rende impossibile capire cosa stia nei fatti succedendo. Cosa fareste? Non salireste fino in superficie? Non tentereste di saltare oltre la barriera vorticante? Non finireste dritti, inconsapevolmente, nelle fauci dei suoi 6 o 7 compari, che tenendosi in disparte, sapevano quand’era l’attimo d’intervenire sulla scena…GNAM.

L’ultima difesa delle prede: unirsi in una palla vorticante, tale da sembrare un’unica massa impenetrabile e pericolosa. Purtroppo, ciò non sembra aver convinto in alcun modo i delfini. Né alcuni cormorani subacquei, che invece di volare, sembrano aver scelto di trasformarsi temporaneamente in altrettanti pinguini.

La straordinaria intelligenza dei delfini è stata fatta oggetto di una quantità spropositata di studi, condotti nelle situazioni e contesti geografici più diversi. Che hanno tutte condotto alla stessa fondamentale conclusione: che stiamo parlando, senza ombra di dubbio, del singolo animale più intelligente della Terra (uomo escluso). In grado non soltanto di riconoscere la propria immagine allo specchio, ma di trarne immediato e piacevole svago, nell’adozione di una serie di pose che potremmo paragonare ad un bambino che fa le smorfie. Capace di mettere in atto piani complessi ed eseguire pure dei giochetti, grazie alla sua comprensione del rapporto causa-effetto ed il pensiero non-lineare di cui l’evoluzione l’ha dotato. Ma poiché come si usa dire, è la fame che aguzza l’ingegno, è soprattutto in natura che questa classe di creature ha potuto dare sfoggio delle proprie capacità più avanzate per catturare il pesce di passaggio e divorarlo, tra l’ora di colazione quella e dell’ultima, gustosa cena. E gli approcci tattici di caccia dei delfini, in branco o solitario, sono in effetti dei veri spettacoli d’ingegno, tali da sorprendere persino noi sapienti ominidi, per l’efficacia e l’inventiva da cui sembrano trarre l’origine e lo svolgimento.
Resta semplicemente fondamentale usare questa linea d’analisi di provenienza militare (tattica, strategia…) poiché non siamo affatto dinnanzi a soluzioni istintive, bensì a una vera e propria metodologia acquisita, insegnata e tramandata da una generazione all’altra dei delfini di ciascuna area geografica presa in esame. A Shark Bay nell’Australia Occidentale, per esempio, i mammiferi marini sono soliti mettere in scena un’altro approccio marcatamente automobilistico, benché generalmente indesiderato su strada: l’acquaplaning. Che costituisce, come ricorderà soprattutto chi è più fresco di patente, nel trovarsi temporaneamente sollevati dal terreno per l’incapacità degli pneumatici di spostare una quantità sufficiente d’acqua a mantenere l’attrito, causando molto spesso un’incidente. Mentre per il furbo delfino, che riesce a comprendere le ragioni della fisica applicata, tale fenomeno diventa il modo per raggiungere il cefalo (fam. Mugilidae) che si era rifugiato presso la riva, dove ipoteticamente il mammifero predatore non avrebbe mai potuto spingersi, senza ritrovarsi spiaggiato. Può così capitare di avvistare il delfino che in prossimità della spiaggia, inizia a nuotare in senso parallelo, accelerando ancora e ancora, finché all’ultimo momento si volta verso di essa e “fluttua” letteralmente sopra l’acqua, con le fauci spalancate, come una sorta di hovercraft spropositato. Conclusa la faccenda quindi, prima che diminuisca la portanza, volta il muso verso il mare aperto e torna sotto il manto protettivo del mare. E noi dovremmo pensare che una tale prassi, pericolosa e al tempo stesso esilarante, non costituisca per costui anche una forma di divertimento?

La vista di un delfino che plana è un po’ come quella di una barca che naviga sull’autostrada nella pubblicità della benzina. E in entrambi i casi, appare lampante che deve pur esserci un’ottima ragione per tutto ciò…

Tutto quello che abbiamo analizzato fin’ora, del resto, non è che la punta dell’iceberg che mantiene fresca la questione. Poiché esistono delfini che si spiaggiano del tutto per prendere il pesce, confidando nell’arrivo di una successiva onda sufficientemente alta per salvarli. E nel farlo, si premurano di adagiarsi sul fianco destro, poiché la loro particolare conformazione dell’esofago asimmetrico, altrimenti, gli impedirebbe di ingoiare. Ce ne sono altri, invece, che scavano nella sabbia alla ricerca di sogliole nascoste, usando il muso come fosse quello di uno squalo nutrice. O di un’ornitorinco. Sempre a Shark Bay, alcune famiglie di delfini hanno elaborato la tecnica del kerplunking (una palese onomatopea) per cui percuotere fortemente la superficie dell’acqua con la pinna dovrà produrre un caratteristico suono (KER-PLUNK) mirato ad  attirare l’attenzione dei pesci pronti da mangiare. E qualche volta, addirittura, stordirli. Uno studio del 2013 pubblicato sulla rivista Aquatic Mammals da M.Grazia Pennino et. al, Assessing Foraging Tradition in Wild Bottlenose Dolphins, ha dimostrato nel frattempo come i loro distanti cugini dell’isola della Maddalena, a nord della Sardegna, abbiano compreso come districare i pesci dalle reti a tramaglio dei pescatori, disposte ad arte tra gli scogli sommersi. Costoro, come se niente fosse, s’inoltrano tra le maglie ed impiegano il muso per tirare fuori le prede, senza mai restare a loro volta intrappolati. Un aspetto estremamente significativo dell’intera faccenda è che nel 23% dei casi, la prassi sia stata collegata unicamente alla presenza di cuccioli nel gruppo dei predatori, unico fattore sensibilmente determinante dell’intero studio. Capite cosa significa? Le mamme delfino stavano insegnando ai loro figli a rubare. Perché altrimenti non sarebbero sopravvissuti. Se non vi pare questa una prassi fondamentalmente, drammaticamente simile al funzionamento della mente umana, io non saprei proprio che dire…
Siamo a tal punto abituati a considerarci l’unica specie intelligente del pianeta Terra, da aver perso di vista la questione basilare dell’intera faccenda. Che se l’uomo domina ogni territorio alla sua portata, è solamente grazie alle fortunate svolte dei suoi innumerevoli bivi evolutivi. Se non fossimo un dì remoto fuoriusciti dal mare, diventando anfibi e quindi, eoni dopo, dei primati, non avremmo mai avuto la possibilità di sviluppare appendici manipolatorie, costruire strumenti e iniziare ad arare i campi. Se fossimo stati forti e veloci, non avremmo cacciato con l’arco, la lancia il coltello… Ma con l’ingegno, la furbizia e la rapidità. In altri termini, saremmo stati esattamente come i delfini. E forse, dopo tutto, lo siamo lo stesso.

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