Tai Lihua, ballerina rimasta sordomuta all’età di soli 2 anni, è famosa nel mondo per una particolare performance teatrale, diventata veramente internazionale durante lo show della China Central Television per il capodanno lunare del 2005: al rombare di una musica di flauti ed archi, accompagnata da quello che sembra a tutti gli effetti un canto sacro, ella esce da un portale fiammeggiante che rappresenta l’ingresso dell’Inferno, in abiti dorati e con vistosi ornamenti a punta che si estendono dalle dita delle mani. Quindi, rivolgendosi frontalmente al pubblico, cammina fino al bordo più estremo del palco, raccogliendo le mani in un gesto elegante all’altezza del suo petto. Poi, le allarga in un ampio abbraccio, mentre all’altezza delle sue spalle, ne spuntano un altro paio. Ma l’imprevidibilità della scena non termina lì: nel giro di pochi secondi, ai due lati del suo corpo spuntano una miriade di arti, che realizzano una serie di figure ed intriganti gestualità. Completata la prima sequenza, ai presenti viene mostrata la verità: 21 danzatrici anch’esse non udenti, che si nascondevano dietro la schiena di lei, si raccolgono a gruppi di tre, ciascuno dei quali disposto in fila rigorosamente indiana, per continuare separatamente l’improbabile pantomima. Ciascuno impegnato nel rappresentare lo stesso importantissimo personaggio. La “Dea” della Misercordia Guanyin, dalle 11 teste, le mille braccia e quasi altrettanti occhi, altrimenti nota col nome sanscrito di Avalokiteśvara, colei (o colui) che contempla [il male].
Dal punto di vista della Cristianità moderna, il dubbio non può sussistere in alcun modo: la religione Buddhista rientra nel gruppo dei politeismi, ovvero i culti non fondati sull’esistenza dell’unico Dio. Poiché Buddha non è un’entità singola, onnipresente ed onnisciente, bensì un princìpio oscuro che si trova nell’anima di tutti noi, che possiamo arrivare ad illuminare e liberare nel mondo, una volta superato il peso doloroso dell’Esistenza. Per la dottrina fondamentale iniziata da Siddhārtha Gautama, non esiste dunque neppure il concetto di teismo, poiché tutti gli esseri, terreni o ultramondani, sono fondamentalmente la stessa identica, suprema cosa. Eppure, ci sono dei punti di contatto tra le due distanti religioni. Uno di questi è la fiducia che nel mondo siano sempre esistiti, ed esistano tutt’ora, degli individui in grado di esprimere in maniera altruistica la loro probità, ricevendo in cambio il potere salvifico dei loro devoti. Sono costoro i santi, infusi del potere di miracolare la gente osservando le ingiustizie dal Cielo, oppure i santi Bodhisattva, coloro che una volta giunti sulla soglia della suprema realizzazione, hanno scelto di dargli le spalle, e guardando coloro che ancora giacevano intrappolati nel ciclo infinito ed inutile del Samsāra, sono tornati nel mondo per aiutarli. Ce ne sono svariate centinaia, a cui vengono dedicati dei templi in buona parte dell’Asia, più altri innumerevoli e poco noti. Come per i nomi che si affollano nel nostro calendario, ci sono entità Buddhiste che proteggono le madri, i padri, i camionisti, gli idraulici, gli studenti… Una grande proliferazione d’entità specializzate, a cui rivolgersi per determinate situazioni e causalità. Ciò che manca, invece, è la figura uguale per tutti della Madonna. Un’entità supremamente benevola, a cui persino il malfattore possa rivolgersi, nell’attimo fondamentale del pentimento. Eppure… Secondo il Sutra del Loto, il primo e più importante dei testi sacri del Mahayana (“Grande Veicolo”) oggi la corrente più seguita della religione Buddhista, c’è una preghiera che “[…] per un singolo secondo, porterà maggiori benedizioni di tutti i tipi di offerte ad una quantità di Dei pari ai grani di sabbia presenti in tutti e 62 gli aspetti del sacro Gange, per il periodo di una vita intera.” Ed è questa, ovviamente, la preghiera rivolta alla misericordiosa Guanyin.
Nota: la scena di apertura è la rappresentazione della danza di Guanyin in occasione della cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi del 2004 ad Atene. Per questa versione, il gruppo di ballerine era stato triplicato, così come quello delle addette in grado di sentire la musica, con la mansione aiutarle a tenere il tempo nonostante il contesto caotico e tutt’altro che familiare.
Sono in molti persino tra gli originari di questo stesso contesto socio-culturale a pensare, osservando una tale danza, di trovarsi di fronte a una manifestazione rituale, facente parte di un’antica e formale tradizione religiosa. Mentre la realtà è che The Thousand-handed Goddess of Mercy, per usare il titolo internazionale, è soltanto un singolo momento dello spettacolo moderno My Dream, e nello specifico quello concepito dal celebre coreografo Zhang Jigang per la China Disabled Peoples Performance Art Troupe (CDPPAT) un gruppo di 110 artisti teatrali capeggiati dalla stessa Tai Lihua, come direttrice artistica, e con la rappresentanza di Deng Pufang, il figlio rimasto paralizzato dell’importante figura politica della Rivoluzione Culturale, Deng Xiaoping. Tutti affetti da qualche disabilità fisica, come anche i loro coordinatori, coreografi ed insegnanti.
C’è una storia particolarmente significativa dietro al presidente di questa organizzazione, nata da una costola del Fondo per i Disabili istituito nel 1984 dallo stesso Deng Pufang. Individuo che scelse di percorrere la via per i diritti sociali a seguito della defenestrazione subìta dall’altezza del terzo piano dell’Università di Pechino, ad opera di alcuni attivisti fedeli alla Guardia Rossa di Mao, dopo che il padre era stato accusato di simpatie verso il capitalismo. La prima performance di gruppo si ebbe nel 1987, durante il primo Festival delle Arti Cinesi tenutosi a Pechino. Nei 13 anni successivi, dunque, la troupe rimase un’organizzazione per lo più amatoriale, condotta con un certo successo da artisti che vi dedicavano solamente una parte del loro tempo, al motto di “Eguaglianza e Partecipazione”. Finché nel 2000, la CDPPAT non fu trasformata in un gruppo artistico professionale, proprio con l’allestimento dello spettacolo itinerante My Dream, di cui la danza di Guanyin resta tutt’ora la parte più famosa. Il debutto di Tai Lihua arriva quell’anno, benché ella possa affermare, senza alcun attimo di esitazione, di aver dedicato tutta la vita alla danza. Nella sua breve biografia sul sito ufficiale, lei ci racconta di come fino all’età di 5 anni non fosse neppure cosciente di essere diversa dalle altre bambine, finché non si trovò incapace di partecipare ad un gioco di riconoscimento dei suoni. All’età di 7, fu trasferita in una scuola per persone con esigenze speciali, dove apprese a riconoscere la musica dalle vibrazioni del pavimento. Segue la storia, dal suono più che mai in grado di toccare i sentimenti universali e il coinvolgimento di tutti, di lei giovane adolescente, che desidera più di ogni altra cosa al mondo il possesso di un paio di scarpe da ballerina. E del padre che, nonostante il misero stipendio, riesce lo stesso a comprarle. Il resto, come si può facilmente immaginare, è storia [dello spettacolo] e chi potrebbe, tra noi, mai negare che in qualche modo il trionfo sia stato influenzato da una delle mille e più mani della suprema personificazione della Misericordia?
C’è in definitiva una fondamentale differenza, profonda ed innegabile, tra il Santo cristiano e una figura che ha invece rifiutato (temporaneamente?) la buddhità: mentre il primo accetta il suo fato come atto di fede, possibilmente e preferibilmente inclusivo di martirio delle carni sul modello dello stesso Gesù, la seconda sceglie di combattere strenuamente, anche a costo di trasformarsi in guerriero contro le influenze maligne del mondo. La cultura moderna dell’Estremo Oriente, ed in particolare quella globalizzata proveniente dal Giappone, è piena di reinterpretazioni in qualche modo temibili della figura di Guanyin (che può essere sia uomo che donna) portata a dimensioni spropositate, o in qualche modo trasformata nello spirito vendicativo che sconfigge demoni, alieni o mostri di vario tipo. Come pure nell’arte classica, uno dei nove volti del Bodhisattva era feroce ed iracondo, con lo scopo di spaventare coloro che osavano allontanare l’Illuminazione dall’universale collettività.
In una delle leggende legate al suo nome, la dea della Misericordia era stata in vita una principessa di nome Miaoshan, che contrariamente al volere del malefico re, aveva deciso di farsi monaca per studiare il Dharma. O al limite, sposare un dottore. Finché il padre, esasperato dopo numerosi tentativi di darla in sposa ai figli di governanti stranieri, aveva scelto di metterla a morte. Così che lei, poco prima di morire, dichiarò al Cielo e alla Terra il desiderio di farsi carico del peccato del suo stesso genitore, reincarnandosi per la legge spietata del karma nelle profondità di Naraka, l’inferno. Ma fu lì che Amitābha, il Buddha del Cielo, discese per trarla in salvo, donandogli in cambio le numerose paia di occhi, e gli arti, necessari ad assistere il consorzio spropositato delle creature viventi. Un giorno, ancora molto lontano, esse saranno salvate raggiungendo finalmente il termine della sofferenza. Ma fino ad allora, Guanyin continuerà a combattere. E danzare per noi.