Il grande successo riscosso su Internet dal video dell’incrocio di piazza Meskel ad Addis Abeba, in Etiopia, attraversato ogni giorno da molte migliaia di veicoli, la dice lunga sul funzionamento della mente umana. Poiché in tale incontro di strade, come avviene per molti altri di quel paese, forse per una svista urbanistica o mancanza di fondi, la città non si è mai preoccupata di posizionare alcun tipo di luce semaforica. E le automobili sfrecciano, ciascuna per la sua strada, in un caotico intersecarsi di traiettorie. Mentre pedoni coraggiosi, in un apparente folle iniziativa, s’inoltrano camminando tra i bolidi di metallo, senza che nessuno accenni a rallentare, per evitarli. Eppure, per l’intero lungo momento mostrato, non sembra verificarsi alcun tipo d’incidente. La scena costituisce un esempio manifesto di distopia ed utopia al tempo stesso, in cui tutti sembrano volersi aggiudicare la precedenza, e proprio per questo, nessuno finisce per averla. L’incubo dei trasporti. Il sogno degli spostamenti. Prendete come metrica di confronto, d’altro canto, un comunissimo aeroporto: con i velivoli che girano in cerchio sopra le piste, in attesa del loro turno per atterrare, in un colossale dispendio di carburante, inquinamento acustico, ritardo per i passeggeri. Se l’arrivo al terminal, in quale magnifico modo, potesse in qualche modo acquisire gli aspetti più positivi dell’incrocio di Addis Abeba, senza i pericoli, non credete che dovremmo fare tutto il possibile per agevolare una simile trasformazione? Henk Hesselink, capo del Laboratorio Aerospaziale d’Olanda in Amsterdam, la pensa esattamente come voi. E sono ormai mesi, dopo molti anni di ricerca, che sta ricevendo finanziamenti pubblici e privati per stilare una dettagliata ipotesi, coadiuvata da approfondita sperimentazione, che possa rivoluzionare del tutto la forma e funzionalità degli aeroporti. O in altri termini, ripristinarli al loro stato ideale. Una pista…Tonda. Perché no?
Tecnicamente, qualsiasi luogo in cui gli aerei atterrino o prendano il volo rientra nella categoria degli aerodromi, secondo la definizione concettuale dell’epoca degli albori del volo. Il concetto moderno di aeroporto, attrezzato per l’imbarco/sbarco, con terminal, hangar, strutture di supporto e così via… Nacque soltanto successivamente, con i vertiginosi progressi tecnologici compiuti nel giro di appena mezza generazione. Ora, il suffisso –dròmos (δρόμος) significa in greco “pista” ma se pensate a una qualsiasi delle strutture che lo integrano nel loro nome, come l’ippodromo, il velodromo, il cinodromo… Ciascuna di esse ha in comune una forma, inevitabilmente, immancabilmente circolare. Ed a scanso di equivoci, si: questo valeva, in origine, anche per lo spazio dedicato agli aerei, che potevano avviarsi in qualsivoglia direzione. Non avrebbe mai potuto essere altrimenti, vista la poca potenza dei motori montati dai primi aeroplani, per i quali era semplicemente impossibile decollare, a meno che un vento contrario al senso di marcia non incrementasse notevolmente la portanza delle loro ali contribuendo allo sforzo di farli staccare da terra. Le velocità raggiunte durante una tale operazione, tra l’altro, erano sufficientemente basse da non richiedere alcun tipo di strada asfaltata, e le grandi ruote dei carrelli erano in effetti state concepite per fare presa sull’erba di un qualsivoglia ambito campagnolo. Erano tempi molto più semplici. Ma che tendevano anche, per le pure ragioni della necessità, ad un grado d’efficienza che ormai appare ben lontano dai progetti architettonici dei maggiori svincoli aeroportuali. Nell’idea di Hesselink, dunque, ciò di cui ci sarebbe bisogno oggi, è eliminare del tutto le attuali piste di atterraggio e decollo, per sostituirle con un’altra più larga, non poi così dissimile dal tipico ovale usato per far correre le automobili della formula NASCAR. Nella sua futuribile visione, infatti, gli aeroplani non atterreranno al centro (avrebbe costi di costruzione proibitivi ed occuperebbe troppo spazio) bensì sul perimetro, o circonferenza che dir si voglia, della gigantesca piazza, con un diametro ipotetico di circa 3 Km e mezzo. Come vi fa sentire, tutto ciò? Entusiasti, estatici, affascinati? O dubbiosi… In quest’ultimo caso, credo, sareste perfettamente allineati con la maggioranza del web. Da quando la BBC ha mostrato questa ipotesi al mondo, con un segmento mandato in onda verso la fine di marzo, l’intera Internet è stata letteralmente disseminata da innumerevoli disquisizioni sul perché una simile idea, effettivamente, non avrebbe mai potuto funzionare. Mentre l’atteggiamento più diffuso, in effetti, sembrerebbe essere la rabbia. Per chi osa pensare di sovvertire lo status quo, pretendendo di cambiare un qualcosa che, per una VOLTA, non ne aveva affatto bisogno… Naturalmente nessuno, specie tra i più accesi critici, si è preoccupato in alcun modo di visitare l’esauriente sito ufficiale del progetto, ricco di documentazioni e dati estremamente rilevanti.
Come dicevamo la pista tonda porterebbe a numerosi vantaggi, almeno nell’idea del suo propositore: innanzi tutto, la possibilità di far atterrare o decollare quattro aerei contemporaneamente in uno spazio che dovrebbe bastare per tre. E poi, nessuna necessità di manovra per allinearsi al senso della pista, poiché questa ne è letteralmente priva, permettendo comunque di riorientarsi, se necessario, al fine di seguire il senso del vento. Ciò eliminerebbe del tutto, in buona sostanza, l’esperienza spesso terrificante di atterrare con forti raffiche di vento traverso. Lo stesso Hesseway racconta di aver avuto la sua intuizione proprio osservando dei video su YouTube di questa procedura simile a un giro sulle montagne russe, nonché probabilmente, di averla sperimentata lui stesso, come del resto capita prima o poi ad ogni assiduo viaggiatore del cielo. Il problema di atterrare in curva, apparentemente insuperabile, nei fatti risulta affrontato con un approccio semplice e funzionale: l’impiego di una pista di tipo parabolico, per cui il mantenimento di una velocità costante, secondo le specifiche del particolare aeroporto, possa tendere a riportare l’aereo in corsa nel punto centrale dello spazio asfaltato a sua disposizione. Mentre nel momento del decollo il problema, almeno in teoria, non dovrebbe porsi: poiché una volta raggiunta una velocità sufficiente affinché la forza centrifuga porti il velivolo verso l’esterno della pista, il suo pilota potrà semplicemente tirare verso di se la cloche, partendo già nella direzione impostata per il resto della sua rotta. Tali e tante facilitazioni, nei fatti, potrebbero incrementare il flusso di aerei in partenza ed arrivo in maniera significativa rispetto all’attuale metodo delle piste convenzionali, specie nel caso in cui le condizioni atmosferiche risultino avverse.
Ed allora perché, potreste chiedervi, nessun aeroporto è stato ancora costruito così? Nel primo documento fornito a corredo dal sito di EndlessRunway, intitolato “Background” Hesseway ed il suo staff citano alcuni esempi di tentativi precedentemente effettuati nella realizzazione di questo fantastico ideale. A partire dalla prima ipotesi, presentata e riccamente illustrata dal solito mensile americano Popular Science, addirittura nel 1919. L’idea dello sfrenato articolista di allora voleva porre l’aerodromo addirittura in saldo equilibrio sopra i tetti dei grattacieli di Manhattan, al fine di permettere l’atterraggio nel centro stesso della città. Davvero a volte, il passato appare più avveniristico del nostro presente… Un progetto più serio sarebbe arrivato soltanto nel 1957, grazie all’opera del Prof. John Gibson Winans dell’Università del Wisconsin, appassionato d’aviazione. Egli aveva creato infatti, ispirandosi alle acrobazie di uno stuntman di oltre 20 anni prima, una pista che avrebbe ipoteticamente permesso l’atterraggio con un senso di marcia a spirale, da lui ritenuto l’unico possibile in futuro, con il progressivo aumento della velocità dei jet. A queste due prime storie, dunque, l’autore fa seguire la lunga serie di effettive sperimentazioni finanziate e quindi persino messe in opera, per brevi periodi di prova, dall’Esercito degli Stati Uniti, primariamente tra gli anni ’60 e ’70, da personalità come il pilota della Marina James R. Conrey. Che dimostrarono effettivamente come il concetto della pista circolare potesse funzionare, ma soltanto a fronte della soluzione di due gravi problematiche: il costo di realizzazione, piuttosto elevato, e la creazione di un metodo del tutto innovativo per il controllo aereo da terra in fase di atterraggio, semplicemente inimmaginabile allora. Come potrete facilmente immaginare, Hesseway ha una risposta pronta in entrambi i casi: per il primo, egli ha infatti sviluppato direttive di costruzione che permetterebbero alla spesa media per un aeroporto di non aumentare di più del 50% rispetto a quella attuale. Mentre nel secondo, ci fa notare come le condizioni a supporto siano, oggi, sostanzialmente del tutto differenti. Grazie all’invenzione di un “insignificante” macchinario che si chiama computer…
Ci sono tuttavia, almeno due problemi che non possono semplicemente essere ignorati. Il primo è di natura semplicemente tecnica, presentandosi sostanzialmente nei casi in cui l’aeroporto tondo dovesse trovarsi a latitudini elevate. Dove una temperatura sufficientemente bassa potrebbe, ipoteticamente, far ghiacciare la pista. E cosa succederebbe allora? Con una perdita sensibile di aderenza da parte delle ruote, non è impossibile immaginare gli aerei di linea che scivolano fuori pista durante la lunga curva, con conseguenze fin troppo facili da immaginare. L’aeroporto tondo, dunque, potrebbe dover disporre di un avveniristico sistema di riscaldamento per l’intero estendersi della sua pista. Costoso, ma non impossibile. Il secondo ostacolo, nei fatti, potrebbe invece risultare semplicemente insuperabile. Basta osservare un altro dei documenti a corredo, in effetti, per rendersi conto della complessità di calcoli che il controllo a terra dovrà effettuare di continuo per garantire un corretto utilizzo della singola mega-pista. I quali dovranno essere veicolati, via radio, ai piloti, mediante una serie di riferimenti numerici forniti sulla base dell’orientamento di marcia. Ad un aereo che si dirige verso il sud esatto (gradi 180°) potrebbe essere richiesto di atterrare in uno specifico segmento del cerchio, che si trova, ad esempio, 30 gradi più avanti. Ed a questo punto dovremmo chiederci, con quale precisione riuscirà a farlo? Il mondo è pieno di piloti, abili, non tanto abili, con lunghi anni di esperienza o che hanno appena preso l’abilitazione al volo commerciale. Gli atterraggi o decolli imperfetti sono tutt’altro che rari, ma per fortuna, quasi sempre privi di conseguenze. Se un aereo dovesse tardare o anticipare sensibilmente il suo approccio nel caso della pista di Hesseway, tuttavia, esso finirebbe inevitabilmente per invadere lo spazio di un altro velivolo intento ad usare la sezione successiva del cerchio. Non proprio una condizione ideale…
Ed è forse proprio questo, in ultima analisi, il grande segreto dell’incrocio di Addis Abeba. In cui il traffico procede senza incidenti proprio perché la gente, nata e cresciuta in un tale luogo, non ha semplicemente mai potuto contare sull’assistenza di una luce semaforica da seguire. Tali abilità non sono sempre trasferibili. Portateli a guidare su una delle nostre strade, ed essi sarebbero immediatamente stressati dal peso delle innumerevoli norme, segnali, direttive da parte dei vigili urbani. Secondo la visione più pessimistica, l’adozione della pista circolare in condizioni che possano dirsi ideali potrebbe avvenire soltanto in contemporanea nel mondo intero, a seguito di un approfondito corso d’aggiornamento per tutti i piloti attualmente dotati di brevetto. E ci appare proprio questo, dopo tutto, come il più sfrenato ed irraggiungibile dei sogni umani…