La moto che sale sugli alberi e colui che la guida

Non sarebbe fantastico, almeno una volta nella vita, sperimentare la giornata di un supereroe? A giudicare dalla quantità e qualità di alcuni dei video giunti ai vertici di Internet, nei quali il protagonista costruisce o indossa una ragionevole imitazione dell’armamentario di Batman, Deadpool o Iron Man, non sono in poche le persone che hanno provato un tale desiderio. Naturalmente, una cosa è la parte esteriore dell’intera faccenda, tutt’altra la forza effettiva dell’individuo. Ovvero, ciò di cui egli può effettivamente disporre nella realizzazione del suo progetto. Un uncino per arrampicarsi non è nulla, senza i muscoli nelle braccia per riuscire a tirarsi su. Una katana a cosa serve, se non si ha l’abilità di manovrarla adeguatamente? E il persino più potente degli jet a razzo incorporato nella propria armatura metallica non basterebbe ad alzarsi neppure di un metro, a meno di essere dotati del sufficiente senso dell’equilibrio e una notevole prontezza di riflessi. Allo stesso modo, salire su una moto da trial non farebbe di noi Toni Bou. Certamente avrete presente il paradigma del grande campione degli sport motoristici. Quella figura che per ogni generazione, giunge come una meteora infuocata tra le schiere di uno di questi particolari sport, ottenendo prestazioni così al di sopra della sua concorrenza, da essere apparentemente favorito dallo sceneggiatore del film della vita stessa.
In tempi recenti, la Formula 1 ha avuto Schumacher. Il motociclismo, Valentino Rossi. E se vi siete mai chiesti su chi potesse contare la specialità su due ruote che consiste nel mantenersi in equilibrio, attraverso alcuni dei percorsi da fuoristrada più difficili immaginabili da un commissario di gara, ebbene lasciate che ve lo presenti. Il pilota catalano, originario dell’affascinante cittadina di Piera, che fin dall’età di 6 anni ha fatto il possibile per violare la forza di gravità a bordo della sua bicicletta. E dall’età di 14, finalmente, non ha scelto di dedicarsi completamente a quella che sarebbe diventata la vera passione della sua vita. Partecipando inizialmente alle competizioni a bordo di una moto Aprilia, prima di passare a quella che sarebbe diventata il sinonimo stesso della sua carriera: l’ormai leggendaria Montesa Honda Cota a quattro tempi, di un produttore acquistato nel 1982, ovvero quattro anni prima che lui nascesse, dalla multinazionale giapponese dei motori. Ma che trae l’origine, e resta legata fin dal distante 1944, alla sua stessa regione d’origine nel nord-est della Spagna. Prendere atto delle sue gesta sportiva è un’esperienza che si sviluppa in una fulminea e rivelatoria presa di coscienza: basta osservare una tabella con gli annali dei vincitori delle due specialità del trial a livello internazionale: l’indoor e l’outdoor. A partire dal 2007, l’unico nome che si trova replicato, una volta per riga e in associazione al team Repsol, è semplicemente il suo. Campione quell’anno, campione quello immediatamente successivo…Campione nel 2009 e così via fino al presente. Nessuno, fra tutti gli abilissimi piloti di questa generazione, è mai riuscito a superarlo, neppure una volta. Il che significa, tradotto in termini numerici, che allo stato attuale ci troviamo di fronte al vincitore di 20 titoli mondiali, 10 per ciascuno degli ambiti rilevanti. Qualcosa di semplicemente mai visto, negli sport di corsa “convenzionali” dove parimenti all’abilità del pilota, contano fattori contingenti come la sfortuna di un guasto tecnico o le condizioni dell’asfalto di gara. Mentre c’è questa visione convenzionale dello sport del trial, giusta oppure sbagliata, secondo cui tutto quello che conta sia unicamente la preparazione fisica e mentale del pilota. O forse a questo punto dovremmo chiamarlo, più appropriatamente, un atleta.
Per ciascun grande campione, tuttavia, viene anche il momento di divertirsi. Specie al giorno d’oggi, in cui una sequenza di acrobazie può facilmente fare la fortuna di uno o più sponsor coinvolti, come ben sanno alcune delle bibite energetiche di maggior successo sul mercato (e anche Toni, a giudicare dalla tuta, sembrerebbe avere la sua…) E allora ecco la risposta alla domanda del cosa possa realmente fare, una simile figura, al di sopra del contesto stringente e severo di una gara precisamente regolamentata. Letteralmente, spiccare il volo…

La corteccia di un albero non può offrire una presa sufficiente per gli pneumatici di una moto da trial. Ma lo scoiattolo non lo sa, ed è già saltato via per non rischiare di finire appiattito sul ramo.

Certo, di video tributi ad un simile personaggio se ne trovano facilmente online. È semplicemente endemico di un tale contesto operativo. Ce ne sono alcuni, tuttavia, che restano maggiormente impressi. Sono quelli in cui manca un pubblico, evidenti telecamere nell’inquadratura, i fotografi o gli altri testimoni della sua abilità quasi sovrannaturale. Quando sembra, in effetti, di trovarsi di fronte ad un semplice appassionato che si è perso nel bosco, con un gruppo di amici a supporto e nulla oltre a questo, determinato a mettere alla prova i limiti della sua notevole abilità. È allora che inizia, immancabilmente, a palesarsi quel senso d’immedesimazione spontanea da cui nasce il vero e proprio intrattenimento. Benché sia presumibile che la parte manageriale del team, nei periodi immediatamente antecedenti ad un’importante gara, siano ben poco disposti a concedergli la libertà di rischiare infortuni attraverso simili escapade.
Finché giunta l’ora di partecipare alla corsa, non si torna a dover osservare il vero e proprio regolamento del trial. Che per chi non lo conoscesse, è in realtà piuttosto semplice in linea di principio: ci sono 15/20 segmenti di gara (all’aperto o al chiuso, all’interno di uno stadio) che il motociclista deve percorrere senza mai mettere i piedi a terra. Per ciascun tratto, dal punteggio del partecipante vengono detratti gli eventuali errori: un piede equivale ad 1 punto. Entrambi, anche non contemporaneamente sono 2. Tre piedi in totale, prima di aver raggiunto il successivo checkpoint, porteranno ad un penalità di 3. E urtare la fettuccia, uscire dal percorso, toccare col manubrio a terra o saltare del tutto un segmento, ne costerà 5. Il tempo di arriva diventa invece un problema solamente nel caso in cui si superi il limite massimo consentito, portando occasionalmente alcuni partecipanti a saltare parti del percorso o compiere intenzionalmente degli sbagli, al fine di non incorrere a perdite di punti ancora maggiori. Il che da l’idea di uno sport, convenzionalmente, piuttosto strategico e misurato, in cui l’unica soluzione non è sempre correre il più possibile avanti, facendo affidamento sulle prestazioni del proprio veicolo a due ruote. Persino in questo, l’impiego da parte di Toni di una motocicletta Montesa appare molto significativo. Tradizionalmente in effetti, all’interno di questo sport, l’unica tipologia di motori ad ampio utilizzo è stata quella dei due tempi. Più inquinanti, ma anche dotati di una coppia maggiore e considerati dunque più adatti a compiere le particolari evoluzioni di questo sport. La Honda Repsol che abbiamo visto in questi video, invece, è come dicevamo più sopra una quattro tempi, ovvero soggetta al ciclo successivo di aspirazione, compressione, scoppio e scarico. In altri termini, potremmo dire che impiega la benzina più comune invece che la miscela, pur pesando poco meno di 70 Kg. Il che, unito all’impiego di una centralina per il regolamento dei giri, la rende una moto dall’erogazione di potenza estremamente graduale e controllata, benché meno immediata, particolarmente idonea al suo particolare stile di guida. Vera firma d’autore di questo atleta, a tal proposito, è in effetti l’esecuzione pressoché perfetta dell’acrobazia definita Daniel, che consiste nel mantenersi in equilibrio sulla ruota posteriore e riorientare la moto mediante l’impiego di una serie di saltelli. Impresa molto più semplice, quando si può fare affidamento su una reattività molto più prevedibile della manetta e della frizione.

Qualcosa di insolito. Soprattutto in Inghilterra, tutt’ora e fin dall’origine di questo sport, esiste una terza specialità: il trial dei sidecar, con passeggero a bordo. Il tenore e la tipologia di prestazioni richieste in tale configurazione, ovviamente, risulta essere del tutto diverso.

Essere i migliori, raggiungere il limite ed a quel punto, variare il senso stesso delle aspettative comuni. Sembra un’impresa parecchio faticosa. In molti vorremmo essere dei supereroi, ma questo non significa che siamo disposti ad affrontare il lungo regime di allenamento e pratica individuale necessario a raggiungere i vertici di un determinato settore. Il bello, però, è proprio questo: perché quando si è trovata la propria vera strada nella vita, alzarsi la mattina non è più faticoso. Ma il primo paragrafo di un nuovo eccitante capitolo, il momento infinito in cui si potrà di nuovo affrontare la sfida, fare ciò che si ama, e raggiungere infine la gemma dell’immortalità.
Guidare una moto fino alla cima di un albero potrà sembrare un’attività prosaica, rispetto a combattere il crimine sopra i palazzi più alti di New York, facendo seguito ad un filo di ragnatela che si estende ininterrotto dal primo all’ultimo albo a fumetti di una leggenda rossa e blu. La più significativa differenza tra la prima e la seconda alternativa, tuttavia, non può essere affatto ignorata. È la linea che divide la fantasia dalla realtà. E non è affatto detto, in determinate circostanze, quale delle due superi l’altra. Questo, Peter Parker lo sa.

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